Dibattito pubblico
Sabato, 21/12/2024, 15:29
Welcome Visitatore | RSS
 
Main Notizie interessanti su affido condiviso e separazioni - ForumRegistrationLogin
[ New messages · Members · Forum rules · Search · RSS ]
  • Page 1 of 1
  • 1
Notizie interessanti su affido condiviso e separazioni
Tagliaventi_FDate: Domenica, 25/04/2010, 01:00 | Message # 1
Group: Iscritti anonimi
Messages: 11
Status: Offline
Iniziata oggi mercoledì 21 al Senato la discussione sul Disegno di Legge N. 957 (Affido Condiviso bis). FINALMENTE!

Calendarizzato presso la Commissione Giustizia del Senato il ddl 957 (M. Maglietta), comunemente indicato come « condiviso bis », poiché rivede le norme sull’affidamento dei figli introdotte dalla legge 54/2006, oggi in vigore. La discussione del provvedimento inizierà mercoledì 21 e ne sarà relatrice la sen. Alessandra Gallone, del PdL.

Comincia così il cammino parlamentare di uno dei testi di modifica del condiviso, ed è probabile che, una volta approdato alla Camera, i contenuti vengano unificati con quelli del PDL 2209 e di altri progetti normativi in materia.

Secondo il nuovo testo non potranno più essere stabiliti affidamenti detti formalmente “condivisi”, ma che vedono i figli collocati permanentemente o quasi presso un solo genitore, al quale è rimessa ogni responsabilità e cura nei loro confronti. Si introduce, infatti, il diritto del figlio ad avere domicilio presso entrambi i genitori e a frequentarli per quanto possibile pariteticamente, affidato alle cure e alla responsabilità di entrambi. Inoltre, la forma diretta del mantenimento dei figli trova inequivoca definizione attraverso l'indicazione di capitoli di spesa da rimettere alla competenza dell'uno o dell'altro genitore. La tutela dei diritti dei figli di coppie coniugate e non sposate trova una completa unificazione sul piano della competenza presso il tribunale ordinario, mentre la mediazione familiare esce dal limbo di una facoltativa segnalazione del giudice a ostilità già iniziate – di dubbia efficacia - collocandosi come passaggio preliminare, obbligatorio sotto il profilo dell'informazione, presso un centro accreditato, condizione di procedibilità per le coppie in disaccordo.

***********************************

Comunicato stampa

Roma 19 aprile 2010 - Calendarizzato presso la Commissione Giustizia del Senato il ddl 957, comunemente indicato come « condiviso bis », poiché rivede le norme sull’affidamento dei figli introdotte dalla legge 54/2006, oggi in vigore. La discussione del provvedimento inizierà mercoledì 21 e ne sarà relatrice la sen. Alessandra Gallone, del PdL.

Il testo nasce da uno studio dell’associazione Crescere Insieme, dalla quale era pure partita la precedente riforma, che ha constatato una applicazione riduttiva e disomogenea della legge 54, dimostrata anche dai recenti dati Istat che, ad es., hanno evidenziato a Torino l’80% circa di applicazione dell’affidamento condiviso, anche solo di nome, a fronte di un 40% circa a Catania. Secondo il nuovo testo non potranno più essere stabiliti affidamenti detti “condivisi”, ma che vedono i figli collocati permanentemente o quasi presso un solo genitore, al quale è rimessa ogni responsabilità e cura nei loro confronti. Si introduce, infatti, il diritto del figlio ad avere domicilio presso entrambi i genitori e a frequentarli per quanto possibile pariteticamente, affidato alle cure e alla responsabilità di entrambi. Inoltre, la forma diretta del mantenimento dei figli trova inequivoca definizione attraverso l'indicazione di capitoli di spesa da rimettere alla competenza dell'uno o dell'altro genitore. La tutela dei diritti dei figli di coppie coniugate e non sposate trova una completa unificazione sul piano della competenza presso il tribunale ordinario, mentre la mediazione familiare esce dal limbo di una facoltativa segnalazione del giudice a ostilità già iniziate – di dubbia efficacia - collocandosi come passaggio preliminare, obbligatorio sotto il profilo dell'informazione, presso un centro accreditato, condizione di procedibilità per le coppie in disaccordo.

Andrea Bocelli, testimonial d’eccezione del provvedimento e già strenuo sostenitore dell’affidamento condiviso, ha espresso vivo compiacimento e soddisfazione per l’iniziativa del Senato ed ha auspicato la rapida approvazione delle nuove norme.

Marino Maglietta (Pres. Ass. Naz. Crescere Insieme)

 
MariaRosaDeHellagenDate: Mercoledì, 12/05/2010, 06:08 | Message # 2
Group: Amministratori
Messages: 459
Status: Offline
http://comunicazionecondiviso.blogspot.com/2008/02/anche-i-nonni-in-giudizio-se-la-madre.html

Se la madre ostacola il rapporto del figlio con i nonni paterni, questi possono intervenire "ad adiuvandum" nel giudizio di separazione del proprio figlio.

CdA Perugia 27.09.2007

Questa la vicenda alla base del pronunciamento:

una coppia ha in corso presso il Tribunale di Perugia la separazione giudiziale; all’udienza presidenziale era stato disposto l’affidamento condiviso dei due figli minori; nelle more dell’istruttoria i nonni paterni lamentano che, malgrado le provvisorie disposizioni presidenziali, essi riescono a frequentare i nipotini solo una volta alla settimana, allorché il padre li conduce a pranzo da loro. V’è un dettaglio che rende la vicenda alquanto paradossale: e cioè che l’abitazione della madre dei minori è una sorta di “dépendance” della stessa villa ove dimorano i nonni paterni.

La madre dei minori eccepiva l’inammissibilità dell’intervento in giudizio dei suoceri; il Tribunale, con sentenza parziale, accoglieva l’eccezione. I nonni ricorrevano in Appello per veder riconosciuta la loro legittimazione a stare in giudizio, insieme (“ad adiuvandum” – art. 105/2 c.p.c.) al figlio.

Nel merito del ricorso la Corte si richiama al “nuovo” art. 155 c.c. – novellato dalla legge sull’affidamento condiviso (l. 54/2006) – laddove postula il “diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di (...) conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Poi richiama l’esegesi seguita dal giudice di primo grado, secondo il quale il suddetto postulato andrebbe letto solo nell’ottica del diritto del minore, senza poterne inferire una speculare legittimazione processuale degli ascendenti; a rinforzo dell’interpretazione restrittiva quel giudice allegava la “confusione processuale” che sarebbe potuta derivare dall’indiscriminata ammissibilità di intervento in giudizio dei più disparati parenti del minore.

Andando in contrario avviso, la Corte si richiama alla giurisprudenza che s’era già formata prima della riforma del 2006, secondo la quale (Cass. 25-9-1998 n. 9606) “in tema di provvedimenti connessi all'affidamento dei figli in sede di separazione personale dei coniugi, la mancanza di un'espressa previsione di legge non è sufficiente a precludere, al giudice, di riconoscere e regolamentare le facoltà di incontro e frequentazione dei nonni con i minori, né a conferire a tale possibilità carattere solo "residuale", presupponente il ricorso di gravissimi motivi. Infatti non possono ritenersi privi di tutela vincoli che affondano le loro radici nella tradizione familiare, la quale trova il suo riconoscimento anche nella Costituzione (art. 29 Cost.) (...) è da ritenere (...) non già che il diritto di visita possa essere riconosciuto eccezionalmente solo in presenza di gravissimi motivi che pregiudicano il rapporto con il genitore, ma viceversa che debba essere negato unicamente quando il rapporto dei nonni con il nipote appare pregiudizievole per il medesimo”.

Poi la Corte passa a svolgere un’analisi intorno alla nozione di “interesse processuale” del terzo in giudizio, distinguendolo dall’”interesse ad agire”, proprio di chi faccia valere un suo diritto sostanziale: per tal via essa riconosce che l’interesse degli ascendenti è condizionato di riflesso dalla vittoria o soccombenza dell’attore (nella specie: il proprio figlio).

Sul piano più sostanziale, la Corte si richiama a pregressi arresti giurisprudenziali che avevano delineato l’”interesse esistenziale” che la persona realizza nelle relazioni famigliari siccome rientranti nella sua “sfera di realizzazione”, costituzionalmente protetta.

Ne consegue l’ammissibilità dell’intervento dei nonni nel giudizio di separazione del figlio, in funzione delle modalità di affidamento dei nipoti.

Ecco il testo della sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA
S E Z I O N E C I V I L E
Composta dai Magistrati:
dott. Sergio Matteini Chiari Presidente
dott. Sandro Cossu Consigliere est.
dott. Salvatore Ligori Consigliere
Ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
Nella causa civile iscritta al n. 145 anno 2007 Ruolo Gen. Contenzioso Civile,
DA

XXXXXXXXX E YYYYYYYYY elettivamente domiciliati in Perugia, Via
Fani n. 14 presso l’ Avv. Rosa Conti, che li rappresenta e difende in giudizio
giusta delega a margine del ricorso per intervento in primo grado
APPELLANTI
CONTRO

ZZZZZZZZZZ elettivamente domiciliata in Perugia, Via Bontempi n. 1 presso
l’Avv. Anna Rosa Sindico, che la rappresenta e difende giusta delega in calce alla
copia notificata dell’atto di appello
APPELLATA
E
p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify">WWWWWWWWWW, elettivamente domiciliato in Perugia, via XX Settembre
n. 57 c/o avv. Vincenzo Rossi
APPELLATO CONTUMACE
e con l’intervento del Pubblico Ministero, in persona del dr. Pietro Maria
Catalani, Sostituto Procuratore Generale
OGGETTO: legittimazione ad agire – separazione dei coniugi
CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DELLE PARTI
Per gli appellanti come all'atto di appello: “Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello,
disattesa ogni contraria istanza, dichiarare l’ammissibilità dell’intervento ad
adiuvandum degli appellanti nel procedimento di separazione iscritto al n.
2299/06 R. G. C. del Tribunale di Perugia. Con vittoria di spese, funzioni ed
onorario o eventuale compensazione delle stesse.”
Per l’appellata come alla comparsa di costituzione e risposta: “Voglia la Corte
d’Appello di Perugia respingere l’appello proposto da XXXXXXXXX E
YYYYYYY, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Con vittoria
di spese ed onorari di entrambi i gradi del giudizio.”
Per il Pubblico Ministero: “Chiede l’accoglimento del ricorso”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel corso del giudizio di separazione giudiziale tra i coniugi
ZZZZZZZZZ E WWWWWWWW con una peculiare istanza proposta ai sensi
dell’art. 155, 1° comma, c.c., gli odierni appellanti XXXXXXXX E
YYYYYYYYYY genitori del ricorrente, intervenivano in causa, lamentando che
i figli minori delle parti, M. e F. , nonostante il provvedimento di affidamento
condiviso adottato in sede presidenziale, erano stati di fatto dalla madre impediti
di mantenere con i cuginetti e con i nonni i rapporti che invece prima erano
frequenti, financo di giocare nella piscina della villa di questi.
Gli intervenuti specificavano che, mentre prima della separazione, a causa degli
impegni lavorativi di entrambi i genitori, i minori trascorrevano con gli esponenti
medesimi i pomeriggi e, durante le vacanze estive, l’intera giornata, la situazione
era poi interamente cambiata, tanto che essi vedevano i nipoti solo una volta alla
settimana, quando il padre li portava a pranzo e ciò nonostante la casa coniugale,
concessa dai suoceri alla famiglia, fosse collocata nella stessa struttura della villa
della famiglia XXXXXXX.
A seguito dell’eccezione di inammissibilità dell’intervento sollevato dalla
resistente Bertinelli, il Tribunale emetteva sentenza (8-15/3/2007) parziale nel
procedimento di separazione, escludendo la legittimazione degli ascendenti e
dichiarando quindi inammissibile l’intervento stesso
Avverso detta pronuncia, notificata il 30-3-2007, hanno proposto appello gli
intervenuti con ricorso depositato tempestivamente il 26-4-2007 chiedendo alla
Corte di riformarla e di riconoscere la loro legittimazione.
Sull’adesione al ricorso da parte del P.M., si è costituita ZZZZZZZZZZ
postulando la reiezione del gravame.
La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza in camera di
consiglio del 27-9-2007, sulle conclusioni rassegnate come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre dichiarare la contumacia di
WWWWWWWWWW nei cui confronti il contraddittorio ed il rapporto
processuale si sono ritualmente integrati.
Va altresì premessa l’ammissibilità dell’appello, nonostante la mancanza
di ogni richiesta di merito, poiché oggetto dell’impugnazione è la mera
affermazione di inammissibilità dell’intervento e la relativa pronuncia ha natura
di sentenza non definitiva nel giudizio di separazione, ma è idonea a configurarsi
come definitiva in relazione al preteso diritto degli intervenuti a partecipare al
giudizio de quo.
Venendo al merito della questione, l’intervento –sia pure sotto la
singolare forma di “ricorso e/o istanza d’urgenza ex art. 155, 1° comma, c.c.”,
ma di eventuali irregolarità formali non può oggi tenersi conto, attesa
l’accettazione del contraddittorio sul punto avvenuta nel giudizio di primo gradoè
giustificato dai coniugi XXXXXXXXX E YYYYYYYY sulla base della
ritenuta portata innovativa della nuova formulazione dell’art. 155 c.c., come
sostituito dalla L. 8-2-2006 n. 54, prevedendo detta norma il diritto del minore di
mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di
……”conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale”.
Secondo gli intervenuti, nonostante contrari arresti giurisprudenziali precedenti,
che limitavano la possibilità di intervento alle ipotesi degli artt. 333 e 336 c.c.,
l’innovazione legislativa menzionata rendeva nell’attualità possibile l’intervento
degli ascendenti anche nel giudizio di separazione, ad adiuvandum la posizione
del coniuge di riferimento, ed al fine di ottenere, nell’ottica della tutela del diritto
affermato dalla novella, provvedimenti idonei alla realizzazione di esso, in
ordine all’aspetto specifico dei rapporti con gli ascendenti ed i parenti del ramo
genitoriale paterno. Ciò era stato riconosciuto da alcuni Giudici di merito ed in
particolare dal Tribunale di Firenze con sentenza 22-4-2006.
Il Tribunale di Perugia è andato, invece, di contrario avviso, reputando
che nessuna portata innovativa poteva essere riconosciuta, per il profilo in
discussione, all’art. 155 c.c. novellato, che non era idoneo ad attribuire, in modo
da giustificarne la legittimazione sostanziale, agli ascendenti un diritto al
mantenimento dei rapporti con i discendenti, ma invece operava una
configurazione “codificata” dell’estensione del diritto del minore; erano tuttavia
sempre e solo i genitori a poter far valere giudizialmente tali diritti, che il
Giudice doveva attuare, a mente del 2° comma dell’art. 155 citato, mediante
provvedimenti adottati con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale
della prole.
Il Tribunale, poi, sottolineava come l’estensione della legittimazione, che
avrebbe dovuto comportare anche quella di non ben individuati “parenti”,
avrebbe aperto la strada ad una congerie di interventi disparati, idonei ad
allargare inammissibilmente il contenzioso inerente il giudizio di separazione,
che doveva essere destinato alla soluzione degli aspetti personali ed economici
riguardanti esclusivamente i coniugi ed i figli.
Gli appellanti censurano la decisione del Tribunale –ritenendola anche
eccessivamente preoccupata da esigenze di “politica giudiziaria” connesse alla
paventata proliferazione di giudizi estranei all’oggetto della causa di
separazione- rilevando invece, come affermato dal Tribunale fiorentino, che
l’intervento ad adiuvandum, ai sensi dell’art. 105, 2° comma, c.p.c., era possibile
per far valere un interesse proprio all’attuazione di un diritto altrui, nella specie
quello del minore, a sua volta fatto valere da uno dei soggetti naturalmente a ciò
legittimati, cioè, nella fattispecie, il padre.
Il Pubblico Ministero, nel sostenere tale impostazione, aggiunge che
l’interesse che giustifica l’intervento è direttamente tutelato dall’ordinamento, né
poteva ritenersi (come aveva fatto il Tribunale) che la protezione di esso fosse
forzatamente demandata ad altri soggetti, magari in contrasto con i diritti dei
minori o di questi disinteressati per specifici aspetti. Richiama, a sostegno, le
disposizioni legislative in tema di interdizione e inabilitazione, che addirittura
prevedono come contraddittori necessari i parenti fino al quarto grado.
Questa Corte condivide certamente le preoccupazioni del Tribunale di
Perugia in ordine alla possibilità di una proliferazione –peraltro non così
scontata- delle possibilità di intervento in causa di soggetti, appartenenti ad una
non ben definita categoria parentale e motivati, sotto la copertura della tutela
dell’interesse del minore, dal fine di soddisfare, invece, proprie posizioni
personali, moltiplicando le ragioni del contendere in un ambito in cui il giudizio,
promosso esclusivamente dai genitori, deve essere invece teso a definire gli
assetti familiari dei coniugi e della prole in modo il più possibile rapido e
congruo.
Nondimeno, la prospettazione di tali presumibili inconvenienti non può fornire
una base solida da cui partire per risolvere la soluzione concreta della vicenda
giuridica, poiché, comunque, nel novero degli assetti familiari di cui si è detto,
sicuramente la posizione degli appartenenti ai rami parentali dei coniugi
separandi rappresenta un indiscutibile elemento che contribuisce in concreto,
sotto il profilo spirituale e morale, nonché materiale, alla configurazione concreta
di essi.
A questo proposito, è vero che il diritto esplicitamente riconosciuto al
minore dalla nuova formulazione dell’art. 155 c.c. non costituisce una novità in
senso sostanziale, ma solo una formulazione codicistica espressa in modo più
consono alla mutata ed accresciuta sensibilità sociale e giuridica dei tempi
attuali, con un rafforzamento esplicito del concetto, già presente, dell’esclusivo
riferimento all’interesse materiale e morale della prole nell’adozione dei
provvedimenti relativi. Ma tale affermazione non può condurre in alcun modo a
convalidare un’impostazione che a torto si fa discendere dalla precedente portata
della norma in rassegna e che, comunque, la modifica letterale della
formulazione legislativa impone di riconsiderare in termini di rafforzata tutela
tanto del diritto del minore, quanto delle posizioni giuridiche soggettive,
qualunque ne sia la latitudine, che con il primo si correlano.
Ed infatti, già da tempo la giurisprudenza più attenta ha configurato il concetto di
interesse precipuo del minore nel senso di comprendervi quello che la legge
oggi ha esplicitato; giova riportare il significativo ed illuminante arresto di Cass.
25-9-1998 n. 9606 per cogliere il senso e la portata dell’affermazione che
precede: In tema di provvedimenti connessi all'affidamento dei figli in sede di
separazione personale dei coniugi, la mancanza di un'espressa previsione di
legge non è sufficiente a precludere, al giudice, di riconoscere e regolamentare
le facoltà di incontro e frequentazione dei nonni con i minori, ne' a conferire a
tale possibilità carattere solo "residuale" presupponente il ricorso di gravissimi
motivi. Infatti non possono ritenersi privi di tutela vincoli che affondano le loro
radici nella tradizione familiare la quale trova il suo riconoscimento anche nella
Costituzione (art. 29 Cost.), laddove, invece, anche un tal tipo di provvedimenti
deve risultare sempre e solo ispirato al precipuo interesse del minore.
Nella stessa sentenza il Supremo Collegio motivava affermando che Questa
Corte del resto ha già avuto modo di evidenziare la posizione non secondaria
che i nonni assumono nell'ordinamento, nell'ambito della famiglia, desumibile
dagli obblighi di ordine patrimoniale loro imposti dagli artt. 148 e 433 nn. 2 e 3
C.C. nonché dalla qualità di legittimari riservata, oltre al coniuge ed ai figli,
anche agli ascendenti (Cass. 24.2.1981 n .1115), esempi ai quali possono
aggiungersi quelli indicati dal P.M. Ed ancora, afferma il Giudice di legittimità,
è da ritenere ….non già che il diritto di visita possa essere riconosciuto
eccezionalmente solo in presenza di gravissimi motivi che pregiudicano il
rapporto con il genitore, ma viceversa che debba essere negato unicamente
quando il rapporto dei nonni con il nipote appare pregiudizievole per il
medesimo.
Deve, dunque, ritenersi indubitabile che un interesse all’attuazione del diritto
preminente attribuito al minore risieda anche in capo a soggetti, in primis gli
ascendenti, che nell’ambito della posizione della famiglia –sia pure per aspetti in
parte differenti da quelli che caratterizzavano l’antica famiglia patriarcale- e
soprattutto nel caso di sfaldamento del nucleo familiare principale, rivestono una
posizione di rilievo. Si consideri, del resto, che l’attuazione del diritto suddetto,
ancorché in situazioni particolari, è demandata anche all’iniziativa pubblicistica,
attribuita sì al Pubblico Ministero, ma anche ad organismi collaterali di sostegno
e di intervento costituiti proprio allo scopo di protezione dell’infanzia e della
famiglia in genere, cosicché sembra inevitabile riconoscere tale possibilità, ed in
modo più incisivo, proprio ai soggetti che godono del vantaggio della prossimità
ordinaria all’oggetto della protezione.
Si consideri anche che i provvedimenti che il Giudice può adottare per regolare i
rapporti inerenti alla prole, sia a mente dell’art. 155 c.c., quanto in relazione alle
previsioni degli artt. 330 e sgg. c.c., non sono schematizzati, ma anzi il loro
contenuto può essere il più vario, in relazione alle circostanze del caso concreto.
Queste considerazioni “di sistema”, dunque, sono dirette al fine di
illustrare sinteticamente e riconoscere la posizione di “interesse”- senza che, per
ora, meriti identificarne la qualificazione giuridica- che i nonni posseggono nella
regolazione dei rapporti della famiglia separata, per quanto attiene l’attuazione
del diritto preminente riconosciuto ai minori, un aspetto rilevantissimo del quale
è, appunto, rappresentato dalla “conservazione di rapporti significativi con gli
ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”, quale ordinario strumento
di stabilità e di riferimento nella disgregazione della famiglia “centrale”.
Venendo allo specifico oggetto della controversia e trasponendo le
argomentazioni sopra svolte nel campo della legittimazione all’intervento ad
adiuvandum, giova ricordare che la facoltà concessa dall’art. 105, 2° comma,
c.p.c. di intervenire volontariamente in un processo pendente tra altre persone è
correlata alla tutela di un proprio interesse a che una delle parti vinca, ovverosia
ottenga il riconoscimento del proprio diritto in modo corrispondente all’interesse
dell’interventore, che non è l’interesse ad agire, ma quello, diversamente
atteggiato e purché non di mero fatto, ma giuridicamente protetto, determinato
dalla necessità di impedire il ripercuotersi di conseguenze dannose sulla sfera
giuridica del terzo, ancorché ciò non gli attribuisca un diritto autonomo da far
valere nel rapporto controverso (Cass. 14-3-1995 n. 2928).
In questa ottica sembra non potersi, dunque, condividere l’unico arresto noto del
Supremo Collegio (Cass. 17-1-1996 n. 364) con il quale è stata negata la
legittimazione processuale dei parenti dei coniugi ad intervenire nel giudizio di
separazione, sia pure al limitato fine di meglio tutelare l’interesse dei figli
minori, assumendosi, in sintesi che il nostro ordinamento non riconosce, a
differenza di altri, il diritto di visita dei nonni nei confronti dei nipotini, offrendo
una tutela soltanto indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i
minori, attraverso il riconoscimento della legittimazione a sollecitare il controllo
giudiziario sulle modalità di esercizio della potestà genitoriale; lo stesso minore,
del resto, non era parte del giudizio.
Ora, ancorché non voglia ammettersi, stante l’oggetto del giudizio di separazione
personale dei coniugi, l’esistenza di un loro diritto autonomo da far valere nel
giudizio stesso, non sembra possa negarsi che l’interesse che gli ascendenti oggi
intendono far valere -e che la stessa sentenza di legittimità che qui si critica
riconosce- non corrisponde ad un interesse di mero fatto, ma deriva da un
rapporto giuridico sostanziale tra adiuvante ed adiuvato, in modo che la
posizione giuridica soggettiva del primo è pregiudicata dal disconoscimento
delle ragioni fatte valere dal secondo nei confronti della controparte, anche in via
solo indiretta e riflessa (v. Cass. 24-1-2003 n. 1111).
Non va invero sottaciuto che il diritto –per quanto concerne lo specifico aspetto
trattato- che viene fatto valere nel giudizio di separazione da ciascuno dei
coniugi in modo indifferenziato e, quindi, dal quale dipende la posizione dal
genitore dell’interveniente, è –anche- il diritto della prole minorenne alla
conservazione dei rapporti con ciascuna delle famiglie di origine dei genitori, il
cui disconoscimento o la cui inadeguata tutela (anche solo per una trascuratezza
difensiva) ha effetti negativi indiretti e riflessi – e forse non solo- anche sul
contenuto del rapporto che lega l’ascendente al proprio discendente ed alla sua
famiglia, ovvero i nipoti. Il rapporto in questione è appunto quello familiare, che
trova riconoscimento diretto e preminente nella stessa Costituzione (artt. 2 e 29),
oltre che nel complesso delle norme ordinarie che tutelano le relazioni
interparentali, nella quale a buon diritto si inserisce quella dell’art. 155 c.c. come
novellato dalla L. n. 54/2006.
Questo rapporto, costituzionalmente tutelato e favorito, non è certo assimilabile a
qualunque altro rapporto di natura patrimoniale, incidendo non su meri interessi
economici, ma su interessi di natura “esistenziale”, ovverosia di situazioni
soggettive protette dall’ordinamento e, nel caso di specie, direttamente attribuite
dalla Costituzione, la cui lesione comprime la sfera di realizzazione della persona
e non a caso esplicantisi essenzialmente proprio in ambito familiare e rilevanti
anche a fini meramente risarcitori, secondo la nota evoluzione interpretativa del
Supremo Collegio in tema di diritti della persona in quanto tale (Cass. 8827 e
8828/2003 e molte altre successive, tra cui S. U. 6572/06), avallata dalla Corte
Costituzionale n. 233/2003, che ha fatto riferimento, appunto, ad “interessi
costituzionalmente protetti”: spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza
come esistenziale, derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango
costituzionale inerenti alla persona) recita C. Cost. 233/03 citata, nel definire
l’ambito di risarcibilità del danno non patrimoniale.
L’inesistenza di un diritto proprio, che legittimerebbe l’intervento autonomo o
litisconsortile di cui al primo comma dell’art. 105 c.p.c., non giustifica, dunque,
l’esclusione dell’intervento in relazione al 2° comma della stessa disposizione,
quantomeno per la difesa dell’interesse alla integrale ed adeguata conservazione
del complesso delle facoltà comprese nel rapporto di famiglia tutelato
costituzionalmente.
E’ altresì innegabile che la conservazione dell’interesse costituzionalmente
tutelato di cui si tratta è dipendente, appunto, dalla soluzione concreta data alla
controversia, nell’ambito di ammissibilità già delineato e sembra francamente
impossibile, dopo averne riconosciuta la rilevanza a fini risarcitori (si pensi alla
risarcibilità del danno conseguente alla perdita del nipote a seguito di incidente
stradale anche per il profilo considerato), escluderne addirittura l’ontologica
sussistenza al fine di negare la legittimazione processuale ex art. 105 cpv. c.c.
Ed infatti, anche le pronunce che negano la configurabilità di un’autonoma
categoria di danno “esistenziale” in quanto tale, per ricomprenderla in quella di
danno biologico o di danno morale, affermano che il danno non patrimoniale
deve essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche
nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti
(quali la salute, la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero) ai quali va
riconosciuta la tutela minima, che è quella risarcitoria (Cass. 9-11-2006 n.
23918; Cass. 20-4-2007 n. 9510; Cass.).
I rapporti familiari, dunque, a prescindere dai singoli aspetti, sono protetti
dall’ordinamento in quanto tali ed in essi non può non ricomprendersi quello
fatto valere nell’odierno giudizio.
Da quanto argomentato, consegue, dunque, doversi affermare la
sussistenza di un interesse “giuridicamente protetto” in capo agli ascendenti.
Né appare convincente la considerazione per cui la legittimazione ad agire nel
giudizio di separazione non sarebbe consentita in capo alla stessa prole, neppure
attraverso la nomina di un curatore speciale in caso di conflitti d’interesse.
Invero, a prescindere dall’indimostrata assolutezza di una tale affermazione, alla
luce della disposizione dell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del
fanciullo ratificata con L. 27-5-1991 n. 176 (dalla quale si evince, ad es., che il
minore è interlocutore necessario nei procedimenti che lo coinvolgono), la scelta
legislativa di affidare interamente ai genitori la legittimazione sostitutiva
all’esercizio dei diritti del minore, nell’occasione e nell’ambito della soluzione
del conflitto inerente alla dissoluzione del nucleo familiare centrale non incide né
sull’esistenza né sulla latitudine di essi, con tutte le conseguenze che ne derivano
in relazione all’espansione nei rapporti interfamiliari della portata di tali diritti.
Quanto alla utilizzabilità degli istituti di cui all’art. 336 c.c., osserva la
Corte che essi rappresentano lo strumento per l’attuazione del diritto del minore
su altri piani non sempre coincidenti e non vicariano in alcun modo quelli, per
così dire, di partenza, cioè che devono essere utilizzati per modulare
adeguatamente i rapporti della famiglia separata fin dal momento della
separazione ed in vista esclusiva di questa, nonché per l’attuazione dello
specifico diritto alla conservazione del rapporto bigenitoriale e “biparentale” fin
ab origine, atteso che l’esigenza della prole ad un adeguata crescita spirituale e
materiale si realizza in concreto nelle ordinarie situazioni della vita quotidiana,
che vengono regolamentate proprio dalle condizioni stabilite in sede di
separazione, piuttosto che nei procedimenti “patologici” previsti dalle
disposizioni di tutela, che potrebbero definirsi di secondo livello.
Ciò è tanto vero che l’esplicitazione di tale diritto –la cui osservanza è
presupposta nell’ambito della famiglia non separata- è inserita nel sistema
proprio in relazione ai provvedimenti riguardanti i figli dei coniugi separandi e
separati
Nei limiti della tutela del diritto della prole alla conservazione dei rapporti con le
famiglie di origine dei genitori, come è nella fattispecie, l’intervento dei nonni è
dunque ammissibile, con l’ovvia esclusione della fase presidenziale, riservata
alla mera emanazione di provvedimenti cautelari e provvisori
Resta peraltro impregiudicato il contenuto concreto dei provvedimenti adottandi
da parte del Tribunale, tanto in ordine all’accertamento della necessità, sempre in
concreto, di specifiche statuizioni sul punto, quanto al contenuto di queste,
essendo la presente decisione limitata alla mera questione di ammissibilità
dell’intervento, così come restano impregiudicate le soluzioni da adottare in
ordine all’ammissibilità dell’appello, in relazione alla vincolatività specifica del
provvedimento adottato.
La novità e peculiarità della questione impongono la compensazione delle spese
di lite di entrambi i gradi del giudizio, relativamente, per il primo grado, alla fase
fin qui svoltasi.
P.Q.M.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sulla controversia di cui in
epigrafe, dichiarata la contumacia di WWWWWWWW, in accoglimento
dell’appello ed in riforma della sentenza 8-15/3/2007 del Tribunale di Perugia,
dichiara ammissibile l’intervento, nei limiti di cui in motivazione, di
XXXXXXXX E YYYYYYYYY nel giudizio di separazione intercorrente tra
ZZZZZZZZZZ E WWWWWWWWW ; compensa integralmente le spese di
entrambi i gradi del giudizio.
Così deciso in Perugia il 27 settembre 2007.

 
MariaRosaDeHellagenDate: Mercoledì, 12/05/2010, 06:13 | Message # 3
Group: Amministratori
Messages: 459
Status: Offline
Ora le madri separate non sono piu intoccabili: anche loro alla "sbarra"

Tre recentissimi casi di cronaca dimostrano che l'intoccabilità della madre separata non è più un tabù. Anche la legge si rende conto che l'interesse della società e del minore hanno un peso e vanno tutelati. Prima ancora dei diritti dei due "contendenti".

Un recentissimo processo civile ha condannato una madre a pagare 650 euro al figlio di 10 anni (da depositare con libretto vincolato a favore del ragazzo) e 350 euro all’ex-marito: la Corte di Appello di Firenze ha così sancito che la condotta della donna “costituisce violazione delle statuizioni espresse dal Tribunale e questo arreca implicitamente danno alla corretta crescita della personalità del minore, ledendo altresì il diritto del padre al rapporto con il figlio”. Per la prima volta la Corte ha così applicato l’art. 709-ter del codice di procedura civile, introdotto nel 2006, il quale prevede che il genitore che non rispetta i provvedimenti del Giudice possa essere sanzionato e condannato a corrispondere, a titolo di risarcimento danni, una somma a favore del figlio e dell’altro genitore, oltre che ad essere condannato ad una pena pecuniaria sino a 5000 euro a favore dello Stato.

In seguito al costante e proficuo impegno sociale in favore dei figli anche da parte dell’Associazione “PapàSeparati”, nel settembre 2007 il giudice Angela Minerva del Tribunale di Varese ha accettato la costituzione di parte civile in ambito penale di un bambino di 6 anni che per lungo tempo non aveva potuto incontrare il padre poichè la madre adottava ogni subdola strategia per impedire i loro incontri programmati in sentenza. L’avvocato ha quantificato in diecimila euro il risarcimento che la madre dovrebbe versare al figlio per il danno da subito da quest’ultimo.

Ma in data 3 marzo 2008 il Giudice Maria Pia Urso ha emesso presso il Tribunale di Acireale (CT), una decisione certamente destinata a mutare i destini di molti figli di genitori separati o divorziati non ancora maggiorenni.

Nell'ambito di un processo penale in cui si discuteva unitamente ad altri capi d’imputazione ai danni della stessa madre M.F.F., nota neuropsichiatra infantile, “del reato di cui agli artt. 81 e 388 c.p. per avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, eluso l’esecuzione della sentenza della Prima Sezione Civile del Tribunale di Catania e della successiva sentenza della Corte di Appello di Catania in tema di separazione personale dei coniugi e concernente l’affidamento del figlio e le modalità secondo i tempi e modi del c.d. diritto di visita del padre, non ottemperando all’obbligo nello stesso sancito di farlo tenere al padre nei giorni e negli orari stabiliti nelle sentenze di affidamento citate” il Giudice accettava senza riserve la richiesta di costituzione di parte civile, oltre che del padre stesso, anche del figlio di 13 anni, assistito da un legale nominato dal genitore. A tal proposito ricordiamo che il fatto che il padre fosse co-affidatario (affidamento condiviso) al momento della nomina dell’avvocato, è particolare assolutamente ininfluente poichè anche il genitore non affidatario può procedere esattamente nello stesso modo.

In tal modo si è venuto a creare un casus giuridico di assoluto rilievo ed unico per tutta l’Itala centro-meridionale: si stabilisce infatti che laddove vi siano diritti lesi di un minore, questi può partecipare al processo in prima persona tramite un proprio difensore, acquisendo anch’egli il diritto ad esser risarcito persino dal proprio genitore.

Si tratta di un provvedimento rivoluzionario e, a ben guardare, bi-partisan che oggi riguarda un figlio privato della figura paterna, ma un domani potrebbe ben riguardare anche un minore per il quale il genitore, contravvenendo alle disposizioni del Tribunale, non versa invece gli alimenti o non ottempera dolosamente agli obblighi di visita.

Viene affermato anche il principio che questo tipo di reato è “plurioffensivo” in quanto esso lede non solo l’ Amministrazione della Giustizia, ma anche l’altro genitore e, come finalmente riconosciuto e sancito, persino il figlio minorenne. Quest’ultimo, infatti,, privato immotivatamente ed arbitrariamente del padre subisce, anche senza rendersene conto, un gravissimo danno morale e psicologico (cosa tanto ovvia quanto fino ad oggi del tutto trascurata). Il fatto poi che egli non sia più spettatore, arma, strumento, vittima del conflitto coniugale e del processo, ma finalmente parte attiva potrà sicuramente rappresentare un valido deterrente per evitare che comportamenti antigiuridici del genere si perpetuino con conseguenze spesso disastrose anche a distanza di molti anni.

 
MariaRosaDeHellagenDate: Mercoledì, 30/03/2011, 23:40 | Message # 4
Group: Amministratori
Messages: 459
Status: Offline
http://www.genitorisottratti.it/2011/03/tpm-milano-separazione-multata-la-madre.html

25.3.11

TpM-Milano - Separazione: multata la madre che chiede senza motivo l’affido esclusivo del figlio

Rischia una multa salata da versare all’ex marito la madre che senza validi motivi chiede insistentemente, in sede di separazione, l’affido esclusivo del figlio.
Applicando la riforma al processo civile scattata nel 2009, il Tribunale per i minorenni di Milano ha condannato una mamma a versare al suo ex marito 500 euro di multa per aver chiesto, in assenza di valide ragioni, l’affido esclusivo della bambina.
Il padre aveva infatti coltivato con la piccola sempre un ottimo rapporto, non si era mai tirato indietro sul mantenimento. Secondo i giudici, dunque, la donna aveva “abusato del processo”, e le nuove norme prevedono, oltre alle sanzioni per lite temeraria, anche una sorta di multa, da molti definitiva alla francese, da versare alla parte danneggiata, in questo caso l’ex coniuge.
“Orbene, - si legge in sentenza - tenuto conto che la resistente ha tenuto ferma la richiesta dell’affidamento esclusivo della piccola nelle tre udienze e nelle memorie, non ha indicato elementi a sostegno della sua domanda, ha fortemente limitato – in quantità e qualità – il libero esplicarsi del diritto del ricorrente ad allevare la figlia, che le motivazioni addotte a sostegno di tale ultimo comportamento si sono rivelate infondate, ritenuta tale condotta contraria ai doveri di lealtà e probità espressi dall’art. 88 c.p.c., ritenuto che i tempi di definizione del presente procedimento, e degli altri a ruolo presso questo Tribunale, sono stati determinati anche dalla condotta processuale della donna, che tale condotta abbia impegnato tempi e risorse eccessive rispetto al materiale probatorio raccolto e scrutinato alla luce delle richieste di parte resistente, in applicazione del potere officioso concesso a questo Tribunale dal combinato disposto degli artt. 155-bis c.c. e 96, c. 3, c.p.c., la signora va condannata al pagamento di una somma equitativamente determinata”.
Fonte: www.cassazione.net

 
MariaRosaDeHellagenDate: Mercoledì, 30/03/2011, 23:41 | Message # 5
Group: Amministratori
Messages: 459
Status: Offline
http://www.genitorisottratti.it/2009/12/cass-il-padre-che-omette-il.html

17.12.09

Cass. - Il padre che omette il mantenimento perde l'affido condiviso

CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE I CIVILE

Sentenza 17 dicembre 2009, n. 26587

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 5 marzo 2008 la Corte di appello di Catanzaro, - pronunciando sull’appello proposto da A.B.L. nei confronti di D.I.A.S. avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia in data 5 giugno 2007, che, nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i suddetti coniugi, aveva affidato ad entrambi i genitori i figli minori e l’esercizio della relativa potesta’, ponendo a carico del D. I. l’obbligo di corrispondere in favore della A., quale contributo per il mantenimento dei figli, la somma mensile di Euro 600,00 - affidava i figli minori alla madre, attribuendole in via esclusiva la potesta’ di genitore, provvedendo a regolamentare gli incontri dei figli medesimi con il padre, ponendo al carico del D. I. l’obbligo di contribuire, nella misura della meta’, al pagamento delle spese straordinarie dei figli per esigenze scolastiche, extrascolastiche e mediche e confermando nel resto la sentenza impugnata.

1a. A fondamento della decisione la Corte di merito osservava, per quel che rileva nel presente giudizio di cassazione, che l’affidamento esclusivo dei figli ad uno dei genitori doveva considerarsi come una eccezione alla regola dell’affidamento condiviso, da applicarsi rigidamente soltanto nelle ipotesi in cui esista una situazione di gravita tale da rendere detto affidamento condiviso contrario all’interesse dei figli, valutandosi tale contrarieta’ esclusivamente in relazione al rapporto genitore - figlio e quindi con riferimento a carenze comportamentali di uno dei genitori, di gravita’ tale da sconsigliare l’affidamento al medesimo per la sua incapacita’ di contribuire alla realizzazione di un tranquillo ambiente familiare. Nel caso di specie i giudici di appello rilevavano la totale inadempienza del padre, sin dal 1996, all’obbligo di versare l’assegno di mantenimento stabilito dal tribunale e la discontinuita’, desumibile dalla sentenza di separazione dei coniugi in data ****, con la quale il D. I. aveva inteso esercitare il proprio diritto di visita, valutando detti comportamenti come altamente sintomatici della inidoneita’ del padre ad affrontare le maggiori responsabilita’ che un affidamento condiviso comportava, cosi’ da determinare proprio quella situazione di contrarieta’ all’interesse del minore richiesta dalla norma per derogare all’affidamento condiviso.

2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il D.I. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l’ A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 155 bis c.c. - deduce che la Corte di appello non ha tenuto conto che la sua inadempienza all’obbligo di mantenimento dei figli derivava dalla esiguita’ dei redditi di cui egli disponeva e dalla consapevolezza che i figli stessi erano comunque adeguatamente mantenuti dalla moglie, grazie anche all’aiuto dei suoi genitori, e che la discontinuita’ nell’esercizio del diritto di visita era dovuto
al comportamento della madre, che aveva sempre ostacolato i rapporti tra padre e figli. Soggiunge il ricorrente che il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento e la discontinuita’ dell’esercizio del diritto di visita non costituiscono fatti di gravita’ tale, da giustificare la deroga al principio generale dell’affidamento condiviso.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e si duole che la Corte di merito non abbia tenuto conto delle ragioni per le quali egli non ha adempiuto all’obbligo di versare l’assegno di mantenimento in favore dei figli ed ha esercitato con discontinuita’ il diritto di visita.

3. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, sono privi di fondamento.

Sulla questione di diritto sollevata dal ricorrente questa Corte si e’ gia’ pronunciata (Cass. 2008/16593), osservando che “...nel quadro della nuova disciplina relativa ai provvedimenti riguardo ai figli dei coniugi separati, di cui ai citati artt. 155 e 155 bis c.p.c., come modificativamente e integrativamente riscritti dalla L. n. 54 del 2006, improntata alla tutela del diritto del minore (gia’ consacrato nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 resa esecutiva in Italia con L. n. 176 del 1991) alla c.d. bigenitorialita’ (al diritto, cioe’, dei figli a continuare ad avere un rapporto equilibrato con il padre e con la madre anche dopo la separazione), l’affidamento condiviso (comportante l’esercizio della potesta’ genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione, appunto, delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore) si pone non piu’ (come nel precedente sistema) come evenienza residuale, bensi’ come regola, rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo.

Alla regola dell’affidamento condiviso puo’ infatti derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore. Non avendo, per altro, il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa alla decisione del giudice nel caso concreto da adottarsi con provvedimento motivato, con riferimento alla peculiarita’ della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo...”.

Perche’ possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, occorre quindi “...che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneita’ educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore...” (come nel caso, ad esempio, di un’obiettiva lontananza del genitore dal figlio, o di un suo sostanziale disinteresse per le complessive esigenze di cura, di istruzione e di educazione del minore), con la conseguenza che “...l’esclusione della modalita’ dell’affidamento esclusivo dovra’ risultare sorretta da una motivazione non piu’ solo in positivo sulla idoneita’ del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneita’ educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potesta’ genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento...”.

3.1. Da tali principi, applicabili anche ai casi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, in virtu’ del richiamo operato dalla L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2 la Corte di merito, nella specie, non si e’ discostata. Infatti, in relazione alla violazione dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, i giudici di appello hanno congruamente motivato, osservando che D.I. e’ rimasto totalmente inadempiente e pertanto “...non ha manifestato, sin dal lontano marzo 1996, alcuna volonta’ di fronteggiare i bisogni materiali dei propri figli, magari offrendo loro quanto era nelle sue possibilita’ materiali...”, in quanto “... l’obbligo di un genitore di provvedere al mantenimento dei figli implica il dovere di soddisfare primariamente le esigenze dei figli stessi e quindi di anteporre le esigenze di questi alle proprie...”.
Di conseguenza, sempre secondo la Corte di merito, la eventuale esiguita’ del reddito a disposizione non giustifica la totale inadempienza, protratta per molti anni, da parte del genitore e tale inadempienza “...incide, con riferimento ai figli, non solo sul piano strettamente materiale, impedendo loro la possibilita’ di sfruttare al meglio le proprie potenzialita’ formative, ma incide, ancora di piu’, sotto il profilo morale...” essendo sintomatica della mancanza di qualsiasi impegno da parte del genitore inadempiente diretto a soddisfare le esigenze dei figli “... e quindi della carenza di responsabilizzazione nei loro confronti e di inidoneita’ del detto genitore a contribuire a creare per i propri figli quel clima di serenita’ familiare necessario per una sana ed equilibrata crescita”.

3.2. Quanto al discontinuo esercizio del diritto di visita, la Corte di merito, dopo aver posto in evidenza la mancanza di prova in ordine agli ostacoli asseritamente frapposti dalla madre dei minori all’esercizio di tale diritto, ha osservato, con adeguata e logica argomentazione, che il comportamento del D.I., gia’ gravemente inadempiente all’obbligo di mantenimento dei figli, e’ altamente sintomatico della sua inidoneita’ “...ad affrontare quelle maggiori responsabilita’ che un affido condiviso comporta anche a carico di quel genitore con il quale il figlio non stia stabilmente...” e determina concretamente una situazione di contrarieta’ all’interesse del minore ostativa per legge (art. 155 bis c.c., comma 1) ad un provvedimento di affidamento condiviso, “...non valendo ad offrire ai figli quell’ambiente familiare stabile e sereno a cui gli stessi hanno pure diritto”.

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, devono ritenersi insussistenti sia la dedotta violazione degli artt. 155 e 155 bis c.c., che i prospettati vizi di motivazione della sentenza impugnata, considerato altresi’ che le ulteriori censure sollevate dal ricorrente si risolvono in doglianze di merito, non consentite in sede di giudizio di legittimita’, in ordine alla valutazione delle risultanze processuali ed all’accertamento dei fatti di causa da parte della Corte di appello.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e le spese processuali, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 29 ottobre 2009.

 
MariaRosaDeHellagenDate: Sabato, 02/04/2011, 07:55 | Message # 6
Group: Amministratori
Messages: 459
Status: Offline
http://www.corriere.it/cronache/11_marzo_31/marchetti-sentenza-affido-skype_2d93332a-5b8b-11e0-84a3-c33181ebdcc4.shtml
http://www.corriere.it/cronach....4.shtml

SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI LONDRA
«Usate Skype»: padre in GB e madre in Australia, il giudice affida i figli alla donna
La lontananza non distrugge il rapporto, sostiene la corte d'Appello. E ordina il «contatto virtuale»

Un famoso e rispettato giudice della Corte d’appello di Londra ha rigettato il ricorso presentato da un padre contro la decisione della ex compagna di portare i figli a vivere in Australia, spiegando all’uomo che può rimanere in contatto con i ragazzi tramite Skype

 
AmministratoreDate: Domenica, 08/05/2011, 06:45 | Message # 7
Group: Amministratori
Messages: 133
Status: Offline
Caporgno Claudia

"AZZURRI ITALIANI"

PROGRAMMA POLITICO ELETTORALE AMMINISTRATIVO DI
CLAUDIA CAPORGNO: MISURE
E SOSTEGNO AI PADRI SEPARATI

Come è noto una delle molte realtà sociali, divenuta nel tempo, sempre più problematica ed indifferibile (come risoluzione necessaria) è l’indigenza, povertà e riduzione dei propri redditi a danno dei genitori separati (in particolare i padri separati) a causa di una logica e politica sbagliata ed irrazionale di <> tipica italiana. Tale fenomeno sociale ha assunto sempre più proporzioni e dimensioni inaccettabili e gravi, in quanto conseguente all’inefficiente ed aberrante impianto normativo ed istituzionale della famiglia e dei minori (ed in particolare) delle separazioni, che comportano (in Italia specialmente) livelli di povertà allarmante ed insostenibile.

Quel che risulta ancora più grave, è che il problema accennato si ripercuote anche sui bambini (figli) soprattutto e quindi su soggetti deboli, che vanno a tutti i costi sostenuti e tutelati.

In tale contesto, si inserisce l’impegno e l’obiettivo del partito "Azzurri Italiani" una nuova forza politica pura, che nasce dalle esigenze della gente e per l’esigenze della gente.

A proposito della questione dei padri separati, per la città di Torino, si vuole seguire come riferimento e come esempio, quello che, fruttuosamente e costruttivamente, è avvenuto nella città di Genova, a favore dei padri separati.

A prescindere da valutazioni politiche dettagliate e fuorvianti, noi di "Azzurri Italiani" intendiamo proporre ed applicare misure concrete e di sostegno a favore dei padri separati e disagiati (che abbiano subito reali riduzioni economiche consistenti). Tali misure consisteranno in interventi economici diretti ed indiretti (defiscalizzazione).

L’idea e l’impegno concreto può essere attuato con:

l’utilizzo di fabbricati comunali (idonei) come dormitori (ostelli) da fruire anche (eventualmente) insieme ai figli (e soprattutto) in concomitanza delle frequentazioni genitoriali (da utilizzare quindi periodicamente). Tale iniziativa, peraltro, consentirebbe, ai padri (a cui oggi viene inibita qualsiasi tipo di frequentazione con i propri figli) di poter esercitare tale diritto-dovere;
la fruizione di mense ad hoc per i padri indigenti;
agevolazioni fiscali comunali (defiscalizzazioni) su alcune imposte comunali a favore dei padri separati indigenti (realmente documentati: es. come nel caso di avvenuto pignoramento alimentare su stipendio (oltre il 40 %).

Questo è il quadro di proposte ed obiettivi concreti, su cui mi impegno io, madre separata, a cui hanno sottratto (senza alcun fondamento giuridico e senza alcun procedimento penale a mio carico) un figlio indebitamente ed ingiustamente

Infine, evidenzio quello che hanno fatto le precedenti amministrazioni e governi comunali (a Torino) su tali problematiche e gli innumerevoli danni e dissesti sociali che hanno arrecato.

Premesso che il dettato normativo costituzionale sancisce principi e regole chiare , fondate sulla solidarietà sociale e sulla tutela dei più deboli e minori; orbene, cosa hanno fatto finora le precedenti amministrazioni comunali su tali problematiche? NULLA!!!! Ma non solo, non hanno fatto nulla, ma addirittura hanno agito nella direzione contraria e distruttiva sociale, a danno dei genitori separati, e conseguentemente dei minori.

Mi spiego meglio, in poche parole: le precedenti amministrazioni comunali di Torino, hanno impiegato le risorse dei contribuenti cittadini, male e favorendo le sottrazioni dei minori ai genitori naturali, in casi, in cui, sostenendo i genitori deboli (con provvidenze economiche) avrebbero evitato il dissesto ed epurazione sociale, che hanno perpetrato, favorendo la disgregazione sociale e familiare ed emarginazione genitoriale e minorile.

Un esempio pratico? Le case famiglie dei minori (veri e propri lager) in cui sono state realizzate efferate sottrazioni dei figli minori ai propri genitori (in molti casi non necessarie, giuridicamente, e crudeli) in cui sono stati dilapidati fiumi di denaro pubblico (a danno dei contribuenti) in un contesto di sperpero di denaro, motivato dal noto fenomeno (tristemente conosciuto) di business sui minori, che gira tra i Municipi, Servizi Sociali e cooperative sociali, in cui (peraltro) ha sguazzato l’illegalità, la mancanza di trasparenza nella gestione delle risorse economiche pubbliche, l’affarismo e la malversazione!!!!!!!

In altre parole, le precedenti amministrazioni comunali hanno impiegato le risorse economiche male e con enormi sprechi nella direzione contraria, con cui hanno realizzato e consolidato un nuovo status:

lo status dei minori orfani con genitori vivi!!!!

Concludo la panoramica valutativa dei mali del sistema perverso ed afferente i disagi a danno dei genitori separati e dei minori, constatando l’efferata manipolazione e violazione della legge n.54/2006 (che è una legge vigente dello Stato) che sancisce il principio dell’affidamento condiviso genitoriale e la tutela della bigenitorialità.

Le conseguenze sociali ed i mali di questo sistema perverso è sotto gli occhi di tutti. Le conseguenze sociali di tutti questi mali (accennati) le violazioni, le inadempienze ed omissioni istituzionali e genitoriali (..si sa) ricadono esclusivamente sui bambini ed i minori (solamente a tiolo esemplificativo) cito la P.A.S. (sindrome alienazione genitoriale) la dislessia, i disagi e fallimenti scolastici, il bullismo, l’alcolismo, la tossicodipendenza, l’emarginazione e la propensione alla gravidanza prematura (tipica nelle adolescenti) come mali conseguenti e disagi (quasi automatici) che possono colpire i figli dei separati e (soprattutto i figli separati ignobilmente dai propri genitori naturali) tutti figli (molto più fragili e provati) non sufficientemente sostenuti e tutelati da parte delle istituzioni, a cominciare dallo Stato fino ai Municipi).

Io Claudia Caporgno, mi impegno (nel mio piccolo, se mi sarà consentito dai Vostri riscontri e consensi elettorali) affinché tutto ciò non avvenga più, al fine di raggiungere un equo e più giusto sistema (sulle tematiche della famiglia e dei minori) a cominiciare proprio dalla città di Torino…., da cui potrebbe partire il coraggioso e radicale esempio di civiltà solidale per tutta la Nazione.

Claudia Caporgno

 
dibattitopubblDate: Giovedì, 12/05/2011, 18:14 | Message # 8
Admin
Group: Amministratori
Messages: 782
Status: Offline
L'AIMMF e le modifiche in Senato all'affidamento condiviso (ddl 957 e 2454)

di Marino Maglietta e Matteo Santini

http://www.altalex.com/index.php?idstr=24&idnot=14051 (http://www.altalex.com/index.php?idstr=24&idnot=14051)

Firenze, 25 aprile 2011. L’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia (AIMMF) ha recentemente espresso forte preoccupazione in ordine alle proposte contenute nel ddl 957 (Comunicato Stampa del 9 aprile 2011), che torna sul tema dell’affidamento condiviso dei figli di genitori separati, introdotto dalla Legge 54/2006. Ciò facendo l’AIMMF compie opera del tutto apprezzabile, evidenziando la propria viva e permanente attenzione ai temi del diritto di famiglia. Nel merito, l’AIMMF riproduce molto da vicino i rilievi e le riserve già espresse negli ultimi tempi da gruppi di avvocati e segnatamente da UNCM, AIAF, OUA e Osservatorio Nazionale sul diritto di Famiglia. Verso queste associazioni quanti hanno a cuore il benessere dei minori e lavorano da sempre per esso non possono che provare gratitudine per le garbate, accurate e costruttive osservazioni, che verranno nel prosieguo analizzate ordinatamente.

E’, anzitutto, da notare che il ddl 957, risalendo al 2009, ha richiesto qualche sia pur secondario aggiustamento e diversi mesi fa è stato quindi virtualmente sostituito dal ddl 2454 (16 novembre 2010), che, lasciando integralmente inalterato il corpo del progetto, ha dato tuttavia preventiva risposta a un paio tra le preoccupazioni espresse, laddove esisteva qualche possibilità di equivoco, meramente formale. E’ dunque alla versione più recente che verrà qui fatto riferimento, anche se di essa nessuna delle associazioni sopra ricordate sembra avere preso contezza.

Iniziando dal dissenso sulla cosiddetta pariteticità dei genitori (comunque, già per la legge in vigore affidatari entrambi), “Viene così imposta per legge la divisione del tempo dei figli minori in misura eguale presso ogni genitore”, nessuna preoccupazione, perché non di tempi si tratta, ma del diritto del minore “di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi pariteticamente, salvo i casi di impossibilità materiale”. Del resto sul punto è inequivocabile l’introduzione: “… si faccia ben attenzione: si tratta di una pariteticità che non è affermata per i tempi, fiscalmente e rigidamente, (sarebbe del resto assurdo pretendere lo stesso numero di pernottamenti avendo il doppio dei pomeriggi, e viceversa), ma invoca pari responsabilità e paritetica assunzione di concreti doveri.”

Altra rassicurazione può essere fornita sul “doppio riferimento abitativo, per cui il figlio dovrebbe fare il pendolare tra le case dei due genitori ed avere la doppia residenza”. La proposta infatti dice altro, ossia che il giudice assume le decisioni riguardanti la presenza dei figli presso i genitori “stabilendone il domicilio presso entrambi, salvo accordi diversi dei genitori”. Ora, ai sensi dell’art. 43 c.c. i concetti di domicilio e di residenza sono ben distinti (1°, ovvero 2° comma) e poiché il primo è il luogo del principale riferimento degli interessi di una persona, essendo il figlio affidato contemporaneamente ai due genitori appare del tutto corretto e consigliabile che possa sentirsi “ a casa sua” sia presso la madre che presso il padre. Dei supposti “pendolarismi” si è già detto al punto precedente e comunque perfino con l’affidamento esclusivo gli spostamenti dei figli di genitori separati sono inevitabili.

Poco chiara è l’origine della successiva preoccupazione: “Viene altresì imposta per legge una formale e presunta parità economica dei genitori senza alcun riferimento alla diversità delle loro condizioni reddituali e patrimoniali in concreto, avvantaggiando in tal modo ingiustificatamente il genitore economicamente più forte.”, visto che in realtà per il contributo al mantenimento dei figli si prevede che “Salvo accordi diversi delle parti, ciascuno dei genitori provvede in forma diretta e per capitoli di spesa al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle proprie risorse economiche”. Forse è si è avuto un improprio allargamento del giudizio negativo a partire dalla prevalente avversione giurisprudenziale per la forma diretta del mantenimento a favore dell’assegno, la quale tuttavia non rappresenta una novità del condiviso bis, essendo già prevista dalla legge in vigore.

Altro motivo di allarme è per l’AIMMF nella presunta “eliminazione, nel 2° comma dell’art. 155 c.c., del riferimento all’interesse morale e materiale dei figli nella decisione del giudice”. Ma così non è, essendo stato questo semplicemente riportato, nel medesimo comma, nella sua giusta posizione, la stessa che occupava incontestatamente nel codice civile prima della riforma del 2006, laddove si afferma che il giudice: “Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. Ed è logico che ad un principio generale il legislatore rimandi non dove il testo di legge elenca precise prescrizioni – che devono semplicemente essere osservate – ma dove la genericità delle facoltà del giudice impone un ausilio applicativo. Si è solo inteso rimediare a una svista.

Interessante è anche il rilievo dell’AIMMF sulla assegnazione della casa familiare: “Contraria all’interesse del minore risulta la previsione della perdita ope legis del godimento della casa familiare in caso di convivenza more uxorio, in quanto tale revoca andrebbe a nuocere inevitabilmente sul mantenimento dei riferimenti sociali e ambientali dei figli minori nel cui esclusivo interesse viene assegnata la casa familiare al genitore con cui gli stessi convivono.” Tale giudizio rappresenta una conferma del permanere della difficoltà per la magistratura minorile a realizzare con le proprie decisioni la svolta voluta dal legislatore a favore della bigenitorialità, pur esplicitamente espressa. Se il minore già con la legge in vigore ha diritto ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, è chiaro che non esiste un “genitore convivente”. Il figlio vive un rapporto simmetrico, intercambiabile nella sua flessibilità, all’insegna di autentiche pari opportunità da utilizzare privilegiando di volta in volta la temporanea collocazione che meglio soddisfi le sue esigenze. In un regime di questo tipo è evidente che, superato il concetto di “collocazione privilegiata”, viene meno anche la giustificazione giuridica per scavalcare il diritto di proprietà. Del resto il concetto è ampiamente illustrato nella relazione introduttiva al ddl. Il legislatore, infatti, non ignora la pronuncia 308 del 2008 della Corte costituzionale, ma ritiene che, una volta riaffermato e rispettato l’equilibrio anche abitativo nel rapporto del figlio con ciascun genitore cadano automaticamente pure le preoccupazioni per la presunta «sottrazione della casa al minore» su cui ruota tutto il ragionamento della pronuncia suddetta. D’altra parte, si tiene dovutamente conto della ben più convincente pronuncia della Corte di cassazione, (sentenza 17 dicembre 2007, n. 26574), secondo la quale la casa familiare non è un insieme di muri, ma il luogo degli affetti familiari per cui, una volta che “la famiglia” si sia smembrata, e per giunta si voglia introdurre in quegli ambienti una persona estranea, vengono irreversibilmente meno quei requisiti di «nido», di habitat consueto dei figli che in via del tutto eccezionale permette di superare le normali regole di godimento dei beni immobili. E’ dunque evidente il permanere del favor dell’AIMMF per il modello dell’affidamento esclusivo, che si continua a ritenere più adatto a realizzare l’interesse del minore e che si cerca di mantenere in vita con la parte sostanziale delle decisioni, pur piegandosi ad utilizzare il nome di “affidamento condiviso”.

Una tendenza che si conferma nel deprecare la “eliminazione del riferimento al tenore di vita anteriore alla separazione”, una espressione chiaramente, ma impropriamente, mutuata dagli obblighi tra coniugi, dove però ha senso, dovendosi disciplinare le risorse future di soggetti che non vivranno più insieme, e oltre tutto relativa a necessità ormai stabilizzate. Un caso ben diverso da quello dei figli, soggetti in età evolutiva e quindi dai bisogni permanentemente variabili, nonché conviventi con i genitori, e quindi logicamente chiamati ad adeguarsi ai mutamenti familiari, sia in meglio che in peggio. Il legislatore, pertanto, ha inteso evitare illogici riferimenti a ciò che si era stati prima: la separazione cambia il contesto economico, e oltre tutto può anche coincidere con svolte positive. Si pensi al comune caso di una moglie casalinga che, per affrontare la nuova situazione, inizi a lavorare, più che superando in tal modo l’impoverimento sempre legato alla separazione in se stessa. Il riferimento al passato in una situazione del genere risulterebbe riduttivo, a tutto danno dei figli.

Quanto al timore per “l’eliminazione della possibilità di disporre indagini per individuare la capacità reddituale dei genitori”, non ha fondamento. Il comma dell’art. 155 che prevede le indagini è il 6°. Le modifiche previste dal ddl in oggetto arrivano fino al 5°. Dunque è pacifico che il 6° resta intatto. Del resto si tratta di uno degli aspetti già presenti nel testo base (pdl 66) per la legge 54/2006, elaborato come i ddl in oggetto dall’Ass. Crescere Insieme, quindi non è pensabile che la stessa fonte oggi ne proponga la soppressione.

Non è facile, inoltre, comprendere quale sia lo spunto per le preoccupazioni espresse in merito alla mediazione familiare: “Suscita poi perplessità l’imposizione obbligatoria della mediazione familiare in tale materia (con la conseguente penalizzazione del genitore che sarà ritenuto colpevole di averne provocato l’insuccesso)”. Il ddl, infatti, prevede solo l’obbligo di informarsi sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione, restando liberi di non effettuarlo. Inutile dire che di quanto venga detto in esso, o nell’incontro informativo, nulla giunge al giudice, al quale le parti si limiteranno a presentare la certificazione dell’avvenuto passaggio. Qualcuno ha detto che anche quest’obbligo è eccessivo perché impedirebbe un libero accesso dei cittadini alla giustizia. Può replicarsi, tuttavia, che qualsiasi tipo di richiesta rivolta alle istituzioni richiede dei pre-adempimenti: dall’obbligo di procurarsi il certificato di residenza e di matrimonio, alla esibizione delle dichiarazioni dei redditi. Nulla più di un consenso (o dissenso) informato prima del più banale intervento chirurgico.

Altro motivo di preoccupazione risulta ciò che viene definito “la legittimazione attiva dei nonni a proporre nel giudizio di separazione la domanda relativa al loro autonomo diritto di visita destinata ad accentuare la conflittualità familiare, con ulteriori ripercussioni negative sull'equilibrio dei minori, il cui interesse a mantenere relazioni con i familiari è già tutelato dalla possibilità per i nonni, ma anche per gli zii ed altri parenti, di proporre domanda al Tribunale per i Minorenni ai sensi dell’art. 336 c.c. ”. Ma, in effetti il testo del ddl 2454 dice che ai parenti: “…, è data facoltà di chiedere al giudice di disciplinare il diritto dei minori al rapporto con essi”. E’ intuibile che non si tratta di allargare le parti del processo di separazione, ma di consentire che essi possano attivare un procedimento a sé stante per rendere effettivo un diritto che stando in capo a un soggetto che non ha la capacità di agire resterebbe lettera morta. Esattamente come deve muoversi un figlio già maggiorenne ma non indipendente economicamente al momento della separazione dei suoi genitori, che non sia soddisfatto della sorte a lui destinata da essi, senza per questo diventare “parte” nella separazione. Quanto all’art. 336, afferma la possibilità che in caso di maltrattamenti o ancor più gravi circostanze possano attivarsi anche i parenti, quindi è sembrato consigliabile al legislatore disciplinare anche situazioni di opportunità, senza giungere allo stato di necessità.

Validissimo, infine, il suggerimento di rivedere il riferimento agli istituti di educazione, tanto che nel testo del ddl 2454 (novembre 2010) si legge: “In ogni caso il giudice può per gravi motivi ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nell’impossibilità, in una comunità di tipo familiare.”.

In definitiva, appare probabile che ciò che maggiormente abbia sollevato perplessità, ovvero dato fastidio, e abbia contribuito ad una valutazione fortemente negativa della nuova proposta sia stato un aspetto citato solo indirettamente nel comunicato stampa dell’AIMMF, ovvero il mancato sostegno al progetto di istituire un tribunale unico dei minori e della famiglia, sostanzialmente trasformando in tale struttura gli attuali tribunali per i minorenni. Difatti l’art. 12 dei ddl risolve a favore del tribunale ordinario i dubbi sulla competenza relativamente alle famiglie di fatto. Si tratta certamente di una posizione degna di rispetto, così come riteniamo valutabili le motivazioni dei nuovi ddl: “ … si ritiene preferibile che il dibattito si svolga in luoghi più facilmente accessibili agli utenti (il rapporto numerico è 165:29) e ove sono più ampie le garanzie per le parti: una precauzione che appare necessaria, atteso il principio del rispetto dell’interesse del minore che informa tutti i provvedimenti in materia.”. Ma questo è certamente un tema prematuro, che sarà oggetto di futuri più ampi dibattiti.

Accanto a questo genere di considerazioni, che attengono alla specificità del nuovo progetto, non può tuttavia tacersi, di fronte alla forte ondata di critiche giunte dalle associazioni citate all’inizio, che si ha la sensazione che si tratti di qualcosa di diverso e di più profondo, rispetto al dissenso su singoli aspetti. La sensazione è che ci si sia sforzati di trovare criticità e negatività nel disegno di legge 957 (o meglio 2454), e solo quelle, essenzialmente perché è il modello stesso che a molti non piace, che non è mai piaciuto. Volgendosi indietro, non si può non rammentare che se sono occorsi dodici anni per far entrare nel nostro ordinamento l’affidamento a entrambi i genitori (a dispetto di quella lunga serie di convenzioni internazionali così spesso invocate a tutela dell’ “interesse del minore”) è perché quelle medesime associazioni lo hanno fortemente avversato o, nel migliore dei casi, hanno taciuto. La simpatia, la propensione, verso il modello monogenitoriale traspare da ogni loro intervento, da ogni loro scritto. Onestà intellettuale vuole che se ne possano anche vedere delle ragioni, siano o meno prevalenti o esaustive. Innegabilmente il sistema fondato sul “genitore affidatario” (o “collocatario” che è la stessa cosa) permette una serie di automatismi e di semplificazioni (attribuzione della casa, w-e alternati, assegno …), fino a quella massima, che è l’uso di prestampati, o di formulari salvati sul computer. Non così se ci si deve calare nel caso particolare, studiandone usi e abitudini, in modo da confezionare per esso abiti su misura, precisando compiti di cura e capitoli di spesa. In effetti per queste necessità la mediazione familiare si rivelerebbe preziosissima, ma qui subentra un altro tipo di difficoltà, soprattutto in altri ambiti: il mediatore di problemi potrebbe risolverne troppi, potrebbe invadere troppo spazio. O, almeno, si è portati a temere che ciò possa avvenire. Sarà un caso che la mediazione familiare incontri tante resistenze?

 
dibattitopubblDate: Giovedì, 12/05/2011, 18:16 | Message # 9
Admin
Group: Amministratori
Messages: 782
Status: Offline
Convegno STATI GENERALI SULLA GIUSTIZIA FAMILIARE

http://dibattitopubbl.ucoz.com/forum/24-270-1622-16-1304823800
http://dibattitopubbl.ucoz.com/forum/24-270-1622-16-1304823800

 
dibattitopubblDate: Giovedì, 12/05/2011, 18:20 | Message # 10
Admin
Group: Amministratori
Messages: 782
Status: Offline
Rho, "casa dei papà separati" Consegnati alloggi ai genitori

http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2010/05/15/332301-casa.shtml

Gli ospiti potranno usufruire delle stanze per periodi fino a 12 mesi, ma dovranno essere separati legalmente e con reddito non superiore a 20mila euro.

Milano, 15 maggio 2010 - Secondo le stime dell'Associazione matrimonialisti italiani, solo tra il capoluogo lombardo e la sua provincia, sono circa 50mila i padri che vivono in difficoltà economiche dopo essersi separati dalla moglie. Per dare un aiuto a questa categoria la Provincia di Milano mette da oggi a disposizione di padri separati legalmente e con reddito non superiore a 20mila euro, 15 camere nel Collegio dei padri oblati missionari di Rho, nel Milanese. Gli ospiti potranno usufruire delle stanze per periodi fino a 12 mesi.

L’assessore provinciale alle Politiche sociali, Massimo Pagani ha spiegato: "La ‘casa dei papà separati’, realizzata insieme all’ Associazione famiglie separate cristiane eèun primo progetto pilota che vorremmo replicare in tutto il territorio. Da oggi la Provincia si fa carico in prima persona di un’emergenza sociale spesso invisibile ma reale".

Il presidente del consiglio di Regione Lombardia, Davide Boni, presente all’inaugurazione del progetto insieme al presidente della Provincia, Guido Podestà, ha aggiunto: "Il modello adottato ha la dignità per diventare un modello regionale. Esiste una nuova fascia di popolazione che va tutelata. Penso che si possa anche pensare ad avviare un tavolo per un’iniziativa di legge regionale a sostegno di queste persone, magari attraverso forme di defiscalizzazione o garantendo loro punteggi piu’ alti per accedere alle case popolari".

 
dibattitopubblDate: Mercoledì, 01/06/2011, 05:20 | Message # 11
Admin
Group: Amministratori
Messages: 782
Status: Offline
http://www.iusfamiliae.it/ius_archive/ma-non-si-puo-far-divorziare-i-nipotini-dai-nonni-di-f-camon/

Ma non si può far divorziare i nipotini dai nonni – di F. Camon

Il governo inglese sta lavorando a una revisione del diritto di famiglia, al fine di permettere ai nonni di continuare a vedere i nipotini anche dopo che i genitori si sono separati. Trovo la cosa giusta da ogni punto di vista, sociale, psicologico, pedagogico, e anche giuridico: perdere il diritto di vedere i nipoti è una punizione nella vita dei nonni, e non si capisce quale “colpa” la giustifichi.

È un trauma immotivato e immeritato. Dire, come fa qualche magistrato italiano, che è meglio non tener presenti i nonni nelle cause di separazione, perché altrimenti si complica enormemente il lavoro della giustizia, significa considerare gli uomini al servizio della giustizia e non viceversa. I nonni non hanno con i nipotini una relazione superficiale e transitoria, ma profonda e definitiva: spesso, molto spesso, quasi sempre, i nonni vivono “in funzione” dei nipotini.

Il lettore si domanderà perché dico “nipotini” e non “nipoti”: perché purtroppo la separazione dei genitori avviene sempre più presto; succede che due si sposano, fanno un paio di figli e subito si separano, come se ciascuno non potesse più sopportare l’altro. Che a capire come l’altro sia insopportabile ognuno dei due arrivi solo dopo essersi sposato e aver fatto dei figli, è un grande errore che peserà sul resto della vita. I nonni, nella stragrande maggioranza dei casi, non ne sanno niente. Vedono arrivare la separazione come una fatalità, non possono farci nulla.

E i figli lo stesso: padre e madre si separano, la vita dei figli riparte da zero, le relazioni fondanti vanno reimpostate. Operazione difficilissima. Non di rado impossibile. Qualcosa cambia per sempre dentro i bambini. Una delle due figure genitoriali diventa più potente e più presente, l’altra perde presenza e influenza. In un certo senso, il divorzio dei genitori diventa anche un divorzio dei figli dai genitori, o dal genitore che sarà meno presente. E diventa anche un divorzio dei nipotini dai nonni, in questo senso: i nonni non sono contemplati nelle cause di divorzio; esiste un diritto dei nipoti a vedere i nonni, ma non esiste un diritto dei nonni a vedere i nipoti. Questo diritto non è vietato, nel senso che il giudice può inserirlo; ma non è automatico, la legge non lo impone. Una situazione che il premier britannico ha definito nei giorni scorsi “folle”, e che vuol cancellare.

In Italia resiste. Cosa succede ai nonni che perdono i nipotini?

Succede che si svuota la loro vita, in un certo senso si anticipa la loro morte. La morte è un distacco, e la perdita dei nipotini è il distacco per eccellenza. La vita dei nonni che perdono i nipoti diventa una vita abbandonata, si lasciano andare. Colto o incolto, ricco o povero, ogni essere umano sente il figlio come una propria rinascita, una garanzia contro la morte; il nipote arriva come una garanzia per tutta la stirpe, e infatti quando nasce si cerca subito di capire a chi somiglia, chi rinasce in lui, il padre? il nonno? e quale nonno? Nei coniugi che si separano scatta spesso l’avversione, oltre che di uno verso l’altro, anche verso la stirpe dell’altro. Si combatte contro l’ex-coniuge e contro i suoi genitori. I figli diventano un’arma di combattimento. Con quell’arma puoi sconfiggere il nemico e tutta la sua razza, farli piombare nella disperazione o nella follia. Il capo del governo inglese ha capito che questa situazione è da pazzi, e vuol metterci fine.

Bene, in Italia ci sono ogni anno 25 mila nonni che perdono i nipotini, si vedono esclusi dalla loro vita. È la stessa identica “follia”. Anche in Italia urge un rimedio.



Ferdinando Camon

Fonte: avvenire.it
 
claudiaDate: Sabato, 27/08/2011, 03:38 | Message # 12
Group: Iscritti anonimi
Messages: 1
Status: Offline
Amministratore, Ben Contenta di trovare il messaggio postato l' 8 maggio recante il mio scritto utilizzato in campagna elettorale, chiedo gentilmente all' amministratore che lo ha inserito di indicarmi le sue generalità in quanto non ho autorizzato nessuno a pubblicarlo.
Con questo non vi chiedo di cancellare il messaggio, anzi, ma vorrei solamente avere informazioni a riguardo.
Grazie, cordiali saluti.
 
dibattitopubblDate: Giovedì, 03/11/2011, 05:20 | Message # 13
Admin
Group: Amministratori
Messages: 782
Status: Offline
Utente "Claudia", iscritta in modalità anonima, può presentare le Sue generalità? Il comunicato elettorale ci è stato inviato dalla politica che si sottoscrive Caporgno Claudia, nell'arco delle sue attività politiche elettorali con lo scopo di pubblicità personale. Il comunicato non contiene avviso che non deve essere pubblicato, anzi, è stato inviato con lo scopo di diffusione e pubblicazione, con l'intitolazione DIFFONDETE.
Cordialità!
 
  • Page 1 of 1
  • 1
Search:

Copyright MyCorp © 2024