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BAMBINI FIGLI DELLE MADRI DETENUTE NEI CARCERI
MariaRosaDeHellagenDate: Mercoledì, 09/12/2009, 16:22 | Message # 1
Group: Amministratori
Messages: 459
Status: Offline
Cosa succede coi bambini figli di madri detenute? Dove vanno a finire? Come vivono?
Anche in questo settore ci sono tanti problemi, tra cui il più grave è l'inesistenza delle statistiche e della registrazione di tali bambini!

Ecco un articolo sulla tematica:

Bambini condannati al carcere

http://www.alexsandra.it/news.php?readmore=179

I più fortunati, si fa per dire, hanno qualche giocattolo, magari anche un lettino vero, invece della branda dove dormire e una parete colorata. Gli altri, i più, sono trattati come gli adulti. Stanno dentro una cella, imparano il linguaggio carcerario («Andare all'aria», «Arriva la matricola» sono frasi che presto diventano familiari), vivono secondo i tempi e i ritmi della prigione.

Sono i bambini detenuti negli istituti di pena italiani. Figli di madri finite dentro per reati che sono sempre gli stessi, furto o spaccio di droga. Piccoli che vanno dalla settimana di vita fino ai 3 anni. Poi, il giorno del loro terzo compleanno, spente le candeline, vengono tolti alle mamme (lo prevede la legge) e affidati alla famiglia, se c'è, oppure a qualche comunità che li ospiterà fino a quando la madre non avrà scontato la sua pena. Il numero dei bambini detenuti, incredibile, non è certo: «Al momento dovrebbero essere 70, ma il dato è ufficioso.

Quello ufficiale, fornito dal ministero della Giustizia e fermo al 30 giugno 2008, dice che sono 59», spiega Riccardo Arena, un avvocato romano che da sei anni ha abbandonato la professione per dedicarsi al mondo dei detenuti e conduttore di «Radiocarcere», programma di Radio Radicale oltre che rubrica sul quotidiano Il Riformista.

«Quei bambini sono pochi per interessare davvero a qualcuno». Lo dice l'ex ministro delle Pari Opportunità Anna Finocchiaro, attuale capogruppo al Senato per il Partito Democratico, che nel 2001 fece approvare una legge a suo nome. Norma che prevede che «le condannate madri di prole di età non superiore ad anni 10, se non esiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti», abbiano la possibilità di espiare la condanna in strutture che non siano il carcere.

Intento lodevole, peccato che, otto anni dopo, la legge Finocchiaro non ha ancora trovato applicazione. E i bimbi rimangono in carcere. Se n'è ricordato anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano quando, recentemente, ha promesso: «Un bambino non può stare in cella. Approveremo una riforma dell'ordinamento carcerario che consenta di far scontare la pena alle mamme in strutture dalle quali non possano scappare ma che non facciano stare in carcere il bambino». Belle parole.

Peccato che in tutta Italia di queste strutture ce ne sia soltanto una, a Milano. Nell'attesa, i piccoli carcerati devono accontentarsi del Regolamento penitenziario che all'articolo 19 dice: «Presso gli istituti o sezioni dove sono ospitate madri con bambini sono organizzati, di norma, appositi reparti ostetrici e asili nido. Le camere dove sono ospitate madri con i bambini non devono essere chiuse affinché gli stessi possano spostarsi all'interno del reparto o della sezione.

Sono assicurate ai bambini all'interno degli istituti attività ricreative e formative proprie della loro età». Sarà così? Non proprio. «In Italia sono solo sedici gli asili nido allestiti all'interno di istituti di pena 'afferma Arena'. Ma siamo sempre dentro un carcere, tra ogni genere di detenute, urla e rumori. Non è certo l'ambiente adatto a dei bimbi, talvolta neonati».

Le storie di questi piccoli prigionieri sono tutte uguali. Per esempio, quella denunciata in questi giorni da Maria Grazia Caligaris, consigliere socialista della Regione Sardegna. È la storia di Josephine, una bimba nigeriana di un anno e dieci mesi «ancora dietro alle sbarre con la madre, incinta di 7 mesi e detenuta per droga, nel carcere Buoncammino di Cagliari». «Non solo Josephine deve stare in prigione ma non ha neppure ottenuto il permesso di frequentare l'asilo», aggiunge Caligaris. «Il carcere riproduce le stesse disuguaglianze della società. I bambini restano in cella perché, nella maggior parte dei casi, sono figli di donne straniere che non hanno niente, nemmeno un avvocato che le tuteli», dice Anna Finocchiaro.

Secondo l'ex ministro, la soluzione sarebbe nelle mani dei Comuni: «Basterebbe pescare nel loro patrimonio immobiliare per creare centri di accoglienza dove far scontare a queste donne la pena ma permettendo loro di vivere con i figli in ambienti più simili a una casa che a una prigione».

Se per un adulto la detenzione può essere un trauma, immaginiamo quello che rappresenta per un bimbo. Lo racconta una donna italiana, trent'anni, di cui cinque trascorsi nel carcere romano di Rebibbia, uno degli istituti dotati di una sezione Nido, insieme a sua figlia Chiara: «Quando sono stata arrestata la bimba aveva solo cinque mesi. In prigione Chiara ha subito risentito dello spazio chiuso, della mancanza di un ambiente familiare. Ha smesso di sorridere e ha iniziato a piangere in continuazione. È stata male diverse volte, ricoverata in ospedale sempre da sola perché noi mamme detenute non possiamo seguire i nostri piccoli in ospedale.

È rimasta muta fino a due anni e mezzo». Fino a quando non è tornata ad essere una bambina libera. In mancanza delle istituzioni, proprio a Roma, a Rebibbia, è attivo da 15 anni il progetto «Crescere e giocare insieme». A portarlo avanti è un gruppo di volontari organizzato da Leda Colombini, femminista della prima ora, ex deputato Ds. «Il giorno di Natale, quando abbiamo fatto la festa, c'erano 21 madri detenute con i loro figli: due africane, tre italiane e le altre di etnia rom. Vivono nella sezione nido, dove si è cercato di dare una condizione più attenuata del carcere, con un giardinetto e dei giochi. Ma è sempre un ambiente ristretto, sottoposto alle regole del penitenziario».

L'iniziativa principale del progetto Colombini è «ogni sabato portare fuori, dal mattino alla sera, i bambini detenuti per far vivere ad ognuno di loro una giornata normale. D'estate al mare, d'inverno in montagna o in piscina. I piccoli hanno la possibilità di scatenarsi fisicamente, cosa che in carcere non è permessa. Rinunciano volentieri al sonnellino pomeridiano pur di non perdersi qualche ora di gioco». L'altra attività dei volontari consiste nel portare i bimbi di Rebibbia all'asilo esterno: «Abbiamo ottenuto un pulmino dal Comune per portarli in tre nidi della zona.

Sono bambini che fanno tenerezza, molto meno capricciosi dei loro coetanei». Di loro colpisce lo sguardo: «È diverso perché è uno sguardo che sbatte sempre contro un muro e, infatti, la creatività di questi bambini è molto limitata». Leda Colombini ha presentato una proposta di legge che ha consegnato in Parlamento. Per ora nessuna risposta.

fonte:corriere.it

 
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