Le spese processuali nella giurisprudenza recente a cura di Luigi Viola
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(Articolo tratto da Altalex Massimario, la banca dati ed il supplemento settimanale di aggiornamento professionale per i giuristi)
In generale, il criterio della soccombenza impone che le spese processuali siano addebitate al soggetto che risulta non vittorioso nella causa.
In particolare l’art. 91 c.p.c. recita: "Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Eguale provvedimento emette nella sua sentenza il giudice che regola la competenza.
Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall'ufficiale giudiziario con nota in margine all'originale e alla copia notificata.
I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli artt. 287 e 288 dal capo dell'ufficio a cui appartiene il cancelliere o l'ufficiale giudiziario".
Linee guida per la tariffa professionale
La tariffa professionale degli avvocati di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, distingue i criteri generali per la liquidazione degli onorari a carico del cliente rispetto a quelli validi a carico del soccombente. Conseguentemente, per la determinazione degli onorari a carico del cliente si deve fare riferimento al valore della causa determinato a norma del codice di procedura civile e non già sulla base della somma attribuita alla parte vincitrice, che è criterio applicabile nei confronti del soccombente.
Identico parametro deve essere applicato nei gradi di impugnazione; a condizione però che il thema decidendum non subisca modifiche o restrizioni per effetto delle decisioni impugnate e l'ambito della devoluzione al giudice superiore resti esteso all'intero oggetto originario. Solo in quest'ultimo caso, infatti, il valore della causa nei gradi superiori non è rimodulato in relazione all'effettiva entità della riforma che si intende conseguire (Cassazione civile , sez. I, sentenza 12.08.2009 n° 18233).
Compensazione nel processo civile
Il potere di compensazione delle spese processuali può ritenersi legittimamente esercitato da parte del giudice in quanto risulti affermata e giustificata, in sentenza, la sussistenza dei presupposti cui esso è subordinato, sicché, come il mancato esercizio di tale potere non richiede alcuna motivazione, così il suo esercizio, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere, se non da una motivazione esplicitamente "specifica", quanto meno da quella complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede, onde la mancanza assoluta di motivazione, implicita od esplicita, della decisione di compensazione delle spese nei sensi sopra descritti integra gli estremi della violazione di legge denunciabile e sindacabile anche in sede di legittimità (Cassazione civile, sez. II, sentenza 19.11.2007 n° 23993).
In caso di compensazione delle spese giudiziali, è necessario una specifica motivazione: tale condizione non è soddisfatta quando la compensazione si basi su una formula generica che non consente il controllo sulla congruità delle ragioni poste dal giudice a fondamento della sua decisione (Cassazione civile, sez. I, sentenza 16.04.2008 n° 14563).
In altri termini, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese, in deroga al criterio generale della soccombenza, ed al di fuori della "soccombenza reciproca”, normativamente prevista, che implicitamente lo conferma, deve trovare una motivazione che consenta di individuare con chiarezza le ragioni che lo giustificano; ciò potendo avvenire non solo specificamente indicando tali ragioni, ma anche desumendole dalle argomentazioni svolte dal giudice di merito sia sotto il profilo giuridico che di fatto, le quali evidenzino quegli elementi di incertezza della lite che hanno indotto il "soccombente" ad intraprendere il giudizio o a resistervi (Cassazione civile, sez. II, sentenza 17.03.2009 n° 6489).
Nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che deve ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come - a titolo meramente esemplificativo - nel caso in cui si da atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali (Cassazione civile, sez. II, sentenza 19.02.2009 n° 4067).
Compensazione nel processo amministrativo
Per procedere alla compensazione è necessario che sussistano giusti motivi, ma questi possono essere anche desunti dal corpo della sentenza (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 12.03.2009 n° 1471).
Specificatamente, è ben possibile vincere la causa ed essere condannati alle spese.
Il principio secondo cui le spese processuali vanno poste a carico della parte soccombente, non ha carattere di assolutezza, ben potendo il giudice prescindere e regolarne diversamente il relativo onere o compensarle alla luce dell’intera vertenza, della materia controversa, di ogni altro elemento discrezionale ravvisato dal giudice (Consiglio di Stato, sez. IV, decisione 04.02.2008 n° 297).
Processo non concluso e riduzione onorario
In tema di spese di giudizio, nel caso in cui il processo non sia giunto a conclusione con una sentenza che chiude il processo, la parte che ha svolto un'attività processuale, in quanto chiamata in giudizio, ha in ogni caso diritto al rimborso delle spese (Cassazione civile, sez. II, sentenza 08.06.2007 n° 13430).
Potere del giudice
Il giudice, nel procedere alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte vittoriosa, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato indicati nella relativa nota specifica, deve dare adeguata motivazione dell'eliminazione o della riduzione di voci che effettua (Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 03.04.2007 n° 8295); la necessità di un’adeguata motivazione, è stata pure confermata di recente: con riferimento alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte vittoriosa, il giudice deve adeguatamente motivare l’eliminazione o la riduzione delle voci dell’onorario dell’avvocato e dei diritti ed indicare il sistema di liquidazione adottato (Cassazione civile , sez. I, sentenza 07.10.2009 n° 21371).
Tuttavia, il potere del giudice non è illimitato, relativamente all’an ed al quantum; difatti, nel regolamento delle spese giudiziali il giudice incontra il solo limite di legge consistente nel divieto di porle a carico dalla parte interamente vittoriosa. Sotto il profilo del quantum l'onere delle spese a carico alla parte soccombente deve essere ragguagliato all'entità della somma liquidata, piuttosto che a quella domandata (Cassazione civile , sez. I, sentenza 12.08.2009 n° 18231); ciò in coerenza con le Sezioni Unite: il potere del giudice di pronunciare la compensazione fra le parti dell'onere circa il sostenimento delle spese del giudizio non è arbitrario, discrezionale o svincolato dalla correlativa disposizione che impone - in conformità ai canoni del giusto processo ed effettività del diritto di difesa - di gravare il soccombente del costo economico della lite. Conseguentemente, laddove il giudice ritenga di derogare a tale principio devono essere manifestate in modo intellegibile le ragioni che conducono a detta conclusione desumibili anche dalle statuizioni contenute nella motivazione della decisione. Ragioni che possono essere costituite da oscillazioni giurisprudenziali sul thema decidendum, oggettive difficoltà di accertamento dei fatti dedotti in causa, ovvero palese sproporzione fra l'interesse realizzato dalla parte vittoriosa ed il costo delle attività processuali richieste (Cassazione civile, Sez. Unite, 30 luglio 2008, n. 20598[1]).
Ricorso in Cassazione e responsabilità processuale aggravata
E’ inammissibile il ricorso proposto dal difensore non iscritto all'albo speciale della Corte di Cassazione. Trattandosi di inammissibilità originaria, essa prevale su quella sopravvenuta, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (Cassazione penale , sez. VI, sentenza 29.07.2009 n° 31297).
Nell’ambito del ricorso per Cassazione[2], se la procura non è speciale e non è successiva alla data di sentenza di secondo grado, vi è il rischio di essere condannati per responsabilità processuale aggravata (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 04.02.2009 n° 2636).
E’ possibile condannare una parte al pagamento di somma di danaro ai sensi dell'art. 385 c.p.c., che può essere inflitta nel caso in cui la parte soccombente abbia agito o resistito "anche solo con colpa grave" (Cassazione civile, sez. I, sentenza 27.02.2009 n° 4829).
Dipendente pubblico, difesa processuale e rimborso spese
Il dipendente, ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti e responsabilità dell'ufficio, ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la sua difesa entro i limiti di quanto strettamente necessario (trattandosi di erogazioni gravanti sulla finanza pubblica) secondo il parere di un organo tecnico altamente qualificato - l'Avvocatura erariale - per valutare sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale. Tale parere, espressione di discrezionalità tecnica, è soggetto al vaglio del giudice ordinario per il necessario controllo del rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione (Cassazione civile, sez. I, sentenza 03.01.2008 n° 2).
Danno da lite temeraria
Costituisce causa di responsabilità processuale aggravata, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 96 c.p.c., la proposizione di regolamento di giurisdizione senza il riscontro preventivo (nell'esercizio di un minimo di elementare diligenza) dell'erroneità della propria tesi alla stregua della disciplina positiva e della giurisprudenza, costituendo tale difetto di diligenza un elemento rilevatore di un uso distorto del regolamento ai fini meramente dilatori, oltre che, secondo nozioni di comune esperienza, di conseguenze pregiudizievoli per le controparti.
Ai fini della quantificazione del danno la Corte può fare riferimento a nozioni di comune esperienza, tra cui il pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto di essere stata costretta a contrastare un'ingiustificata iniziativa dell'avversario, non compensata, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese e degli onorari del procedimento stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 09.02.2009 n° 3057).
La dottrina recente
Deve osservarsi che non pare possa assumere rilievo alcuno, ai fini dell’estensibilità della condanna di cui all’art. 94 c.p.c. al difensore della parte, il tenore letterale della procura alle liti a questi rilasciata e, in particolare, l’eventuale presenza dell’integrazione dei poteri di cui al 2° comma dell’art. 84 c.p.c. Il conferimento di poteri di disposizione dei diritti in contesa al proprio difensore non muta la sostanza della rappresentanza processuale che resta “rappresentanza tecnica” e, come tale, soggetta alla disciplina di cui all’art. 84 c.p.c. che delinea un ruolo processuale ben distinto da quello del rappresentante “sostanziale” al quale fa riferimento l’art. 77 c.p.c..
Il tenore letterale dell’art. 94 c.p.c., se analizzato in piena autonomia rispetto ai lavori preparatori, si presta, senza necessità di forzature, ad un’interpretazione che comprenda difensori delle parti fra «coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio». L’attuale ordinamento professionale forense è disciplinato dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, vigente da epoca di poco precedente all’attuale codice di procedura civile, il quale all’art. 7 statuisce che «davanti a qualsiasi giurisdizione speciale la rappresentanza, la difesa e l’assistenza possono essere assunti soltanto da un avvocato». La procura ad litem, quindi, senza necessità di particolari integrazioni, conferisce all’avvocato la qualifica di soggetto che «rappresenta e assiste» la parte in giudizio (FICARELLI, La condanna del difensore al pagamento delle spese processuali in presenza di una valida procura alle liti: una interpretazione evolutiva dell'art. 94 c.p.c., in Giur. It., 2009, 1).
Una procura nulla o divenuta successivamente inefficace, è comunque idonea ad instaurare un rapporto processuale tra il legale e la parte rappresentata che, di conseguenza, assurge a potenziale destinataria degli effetti degli atti compiuti nel procedimento, anche in ordine al pagamento delle spese processuali (DE PAOLA, Nota sulla disciplina delle spese processuali e di condanna al pagamento delle spese del difensore senza procura o con procura invalida, in Giur. It., 2007, 8-9).
Nel caso di rimborso delle spese a controparte, il legale emette la fattura nei confronti del proprio cliente, il quale provvede al pagamento della stessa e successivamente riaddebita l'intero importo nei confronti della controparte soccombente.
Ai fini del trattamento fiscale e contabile, è necessario considerare che:
- la somma addebitata dal legale al proprio assistito costituisce un costo deducibile dal reddito d'impresa o professionale;
- il successivo rimborso ottenuto dalla controparte costituisce ricavo imponibile, con il risultato finale di una perfetta neutralità in capo alla parte vincitrice;
- il soggetto soccombente in giudizio, effettivamente inciso dell'onere, dovrebbe essere legittimato alla deduzione della spesa sostenuta poiché, a parere di chi scrive, l'onere trova la sua giustificazione nella sentenza di condanna che lo obbliga al risarcimento nei confronti della controparte vittoriosa in merito ad una causa relativa all'attività d'impresa o professionale (CERATO, POPOLIZIO, Il rimborso delle spese processuali all'avvocato della parte vittoriosa, in Fisco, 2002, 39).
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[1] In Corriere del Merito, 2008, 12, 1274 con nota di TRAVAGLINO.
[2] Per approfondimenti, si veda il focus Ricorso in Cassazione nel processo civile: la giurisprudenza recente.