Caso di KARINA CEDENO BAEZ - cittadina equadoriana
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dibattitopubbl | Date: Mercoledì, 14/10/2009, 04:03 | Message # 1 |
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| In via di inserimento La signora appartiene alla categoria dei cittadini benestanti. In seguito alla separazione dal cittadino italiano, i gidici del tribunale dei minori di Genova hanno ordinato la detenzione carcerarea dei bambini in un istituto (sic!). I genitori avrebbero dovuto pagare le somme sostanziose di denaro all'istituto. Contrastando reati dei giudici e avendo lo scopo di obbligare i giudici di osservare la legge, sig.ra Baez si era barricata nell'ambasciata del suo paese d'origine e vi ha passato 32 giorni. Questa azione ha avuto un'influenza magica sui giudici: questi hanno revocato la decisione illegale di mettere bambini in detenzione in un istituto! Si precisa che regolari ricorsi e istanze non hanno avuto alcun tipo di riscontro, solo un'azione eclatante e assurda ha portato alla revoca delle decisioni ingiusti e dannosi per bambini, emesse senza un regolare processo. Il caso è seguito anche dal ministero della Giustizia, al tribunale è stata già inviata un'ispezione di controllo. Sig.ra Cedeno Baez è sicura che la decisione di mettere bambini in detenzione in un istituto è stata fatta con lo scopo di procurare all'istituto grandi somme di denaro = profitto (pagamenti mensili a carico dei genitori). Sig.ra Cedeno Baez è fondatrice e presidentessa dell'associazione "Vela latina".
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dibattitopubbl | Date: Mercoledì, 14/10/2009, 04:05 | Message # 2 |
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| Un articolo pubblicato sul giornale "La Repubblica" http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local//2070761 L´odissea di una giovane ecuadoriana che contesta le decisioni della giustizia italiana - Barricata nel consolato con cinque bambini Massimo Calandri Abbandonata dal compagno genovese, da venti giorni vive negli uffici di via Cecchi L´Associazione latino-americana "I giudici dovrebbero ascoltare anche noi mediatori culturali". Karina Cedeno Baez tutte le mattine prepara su di un fornelletto a gas la colazione, e quando il latte è caldo accarezza il capo di ognuno dei suoi cinque bambini. Aspetta paziente che anche i più piccoli, inevitabilmente i più pigri, aprano gli occhi. Li lava, li veste. Dà un´occhiata ai quaderni di scuola. E sgonfia i materassini poggiati sul pavimento, piega le lenzuola, mette un po´ d´ordine nella sala d´aspetto del consolato ecuadoriano dove si è rifugiata venti giorni fa. Si muove con la calma rassegnata di chi sa che altre giornate ed altre notti passeranno, negli uffici di questo palazzo di via Cecchi che è stato chiuso al pubblico da quando ha deciso di trasformarlo nella sua nuova casa. Dalla mattina in cui - racconta - ha giurato di non arrendersi all´ingiustizia della giustizia italiana. Trentadue anni, in Italia dal ´95, Karina ha vissuto da allora con un genovese di trent´anni più vecchio. Un gioielliere, un uomo ricco e molto conosciuto in città, che è il padre naturale di quattro dei suoi figli: il più grande ha 11 anni ed è affetto da sindrome di Down, il più piccolo ne compirà due la settimana prossima. La storia d´amore tra di loro è finita. Un copione purtroppo già letto: lui che s´innamora di un´altra, lei che resta sola, e poi le liti, le incomprensioni, le ripicche. La donna si è rivolta ai giudici chiedendo che l´uomo si occupasse economicamente dei bimbi. Il Tribunale dei Minori, in attesa che la questione civile sia definita, ha deciso che i bambini finiscano in una casa-famiglia con la madre. Che però si ribella, e accusa: «Se io fossi una mamma italiana, una normalissima casalinga, mi avreste lasciato vivere con i piccoli in uno degli appartamenti del mio ex compagno. Una genovese che lavora come me, che non si droga, che non beve, che non si prostituisce, una così non l´avreste mandata in una casa-famiglia. L´avreste protetta. Aiutata. Ma io sono ecuadoriana, e una straniera evidentemente ha meno diritti». Forte delle sue convinzioni, Karina si è rifugiata nel consolato ecuadoriano. Non si muoverà fino a quando non le sarà resa giustizia. Rimane isolata all´interno 30 del civico 4. E´ stanca, nervosa, frustrata. Teme l´irruzione della polizia, minaccia di uccidersi. Se le telefonate sul cellulare, sullo sfondo si sentono le voci dei bimbi. Che tutti i pomeriggi ricevono la visita delle suore che fanno loro un po´ di scuola, e di una psicologa volontaria. Il Ministero degli Esteri del paese latino-americano ha detto ai suoi funzionari - costretti nel frattempo a chiudere gli uffici - di prestarle assistenza. E ha inoltrato una richiesta di chiarimenti al Ministero della Giustizia italiano. Anche perché, ricorda l´avvocato di Karina - Vincenzo Vigiani, cassazionista sanremese - sarebbero numerosi i casi di un presunto "pregiudizio" del Tribunale dei Minori ai danni delle mamme straniere. In una città che negli ultimi anni ha accolto migliaia di badanti, in particolare di origine sudamericana, relazioni e matrimoni misti sono molti. Storie che a volte finiscono davanti ai giudici, che devono decidere sull´affidamento dei figli. «Ma noi non facciamo questioni di nazionalità, ci mancherebbe altro», risponde Adriano Sansa, presidente del Tribunale dei Minori. «Pensare ad un pregiudizio razzista è del tutto privo di fondamento. Disonesto ed autolesionista. Perché in questo modo, denunciando cioè qualcosa di falso, si finisce per danneggiare tutti. Ci sono effettivamente casi, e mi riferisco ad esempio ad aspetti legati alla gestione del servizio sanitario, in cui si commettono delle ingiustizie in nome della presunta nazionalità». Sansa conosce il caso di Karina Cedeno Baez. E pur non potendo addentrarsi nei particolari, precisa che le è stata data la possibilità di restare accanto ai suoi figli. «In camera di consiglio non facciamo i conti con le origini delle parti in conflitto. Il nostro obiettivo è garantire la sicurezza, l´equilibrio di bambini che sono spesso a rischio e in pericolo, vittime di conflitti laceranti. Pensare ad un pregiudizio e mettere di mezzo le autorità di qualche paese straniero può essere molto pericoloso». (03 marzo 2009)
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dibattitopubbl | Date: Mercoledì, 14/10/2009, 04:25 | Message # 3 |
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| Liberazione 27.02.2009 La sfida di Karina, madre di serie B Monica Lanfranco «Posso capire che ci si voglia accanire su una donna, e per di più immigrata. Conosco bene la vendetta degli uomini. Ma la ferocia su cinque bambini no, quella non la capisco e la combatterò con tutte le mie forze». Ha la voce ferma mentre pronuncia la sua sfida Karina Cedeño Baez, la cittadina equadoriana di trentatrè anni che da quattro giorni ha occupato il consolato del suo Paese a Genova con i bambini di 13, 12, 7, 5 e 2 anni, di cui uno disabile, per chiedere protezione e per accendere i riflettori sulla sua vicenda, che ritiene emblematica della condizione di molte donne e madri straniere legate a uomini italiani. Una vicenda rimbalzata da settimane su quasi tutta la stampa latinoamericana, raccontata per intero sul sito vivequador.it che però poco risalto ha avuto fin qui in Italia. Karina vive da quattordici anni in Italia, e per dodici ha una relazione con un facoltoso commerciante genovese, già sposato due volte, con chiusure assai burrascose dei legami precedenti. Da questa unione nascono quattro figli, in mezzo ci sono storie di amanti dell'uomo, ci sono percosse denunciate dalla convivente, e anche, come spesso accade, tentativi di riconciliazione. Durante l'ultimo tentativo di far funzionare il rapporto nasce l'ultimo bimbo, ma due anni fa la relazione per Karina finisce definitivamente. Lei se ne va con i figli, si rende indipendente dal punto di vista lavorativo, e chiede l'affidamento dei bambini, portando anche le prove del tradimento del convivente e svariati attestati delle violenze subite. «Ma lui è ricco, forte e conosciuto - dice Karina - Persino alcune tra le sue ex mogli mi hanno messo in guardia. Mi hanno detto che avrebbe cercato di farmi passare per instabile, pazza, incapace di assumermi responsabilità verso i miei figli. Lo ha già fatto in passato, ora tocca a me». Ma di che cosa è accusata Karina? «L'assistenza sociale sostiene che, a causa del mio lavoro passerei molto tempo fuori casa; sono mediatrice culturale, ho fondato una associazione che fornisce servizi per molti professionisti, è tutto documentato. Sono una donna normale che ha figli, li porta a scuola, li accudisce e ha una attività sua, come moltissime altre donne italiane. Che ho di diverso? Di diverso c'è che il mio ex convivente, forte del suo denaro e delle sue conoscenze, mi vuole togliere i bambini, come già è successo a molte donne latinoamericane legate a uomini italiani. Di peggio c'è che non sono italiana, e questo aggrava la mia situazione». Su Karina, difesa da un avvocato di Sanremo, pesa la decisione del Tribunale dei minori che ha disposto l'affidamento temporaneo dei figli ai servizi sociali. Per questo la donna, fino a che potrà, non vuole uscire dal consolato, e tenta da lì di far parlare di sé e del suo caso il più possibile. Secondo quanto la donna scrive in una lettera aperta al presidente della repubblica dell'Ecuador, Rafael Correa, pubblicata anche sul sito g2 (l'associazione delle seconde generazioni di giovani italiani nati da genitori stranieri), il Tribunale per i minori di Genova starebbe per notificarle la decisione di separarla dai suoi figli che verrebbero affidati ad una casa famiglia, disponendo di destinare anche lei ad una comunità, «senza una ragione che non sia il razzismo e la xenofobia, adducendo ingiustificatamente che non sarei una madre idonea». In un altro passaggio della sua lettera Cedeno Baez, che si definisce «una madre disperata», denuncia inoltre che il suo altro non è se non «un caso in più che va ad aggiungersi ai numerosi che vedono protagoniste non solo madri ecuadoriane ma extracomunitarie, che la giustizia italiana pretende di dichiarare incapaci di aver cura dei propri figli, senza prove reali». Una brutta, bruttissima vicenda che ancora una volta racconta di disparità tra uomini e donne, tra migranti e nativi, tra potere economico e scarsità di tutela per chi non è abbiente. «Non so quanto potrò reggere qui, questa non è una casa dove posso tenere ancora a lungo i miei figli, ma lo scriva: fino a che il presidente dell'Equador non mi caccia io resto, e spero che la stampa italiana si accorga non solo di me, ma anche delle altre donne e madri migranti in condizioni di bisogno in questo paese».
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dibattitopubbl | Date: Domenica, 15/11/2009, 02:54 | Message # 4 |
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