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RAPPORTI sull'AFFIDAMENTO CONDIVISO
MariaRosaDeHellagenDate: Venerdì, 16/04/2010, 03:06 | Message # 1
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RAPPORTO GESEF SULLA FAMIGLIA disgregata.

La legge 54 del 2006 (Affido Condiviso), che modificava l’art. 155 del codice civile in materia di affidamento dei figli in caso di separazione, in vigore da oltre quattro anni, avrebbe dovuto sancire il principio della Bigenitorialità quale diritto inalienabile dei figli a ricevere cura ed educazione da entrambi i genitori, come stabilito dalla Convenzione ONU ratificata nel 1991 dal nostro Paese.

Benché molti elementi della legge siano stati criticati – esistono già in Parlamento nuove proposte di modifica per tali aspetti -, costituiva comunque un primo traguardo.

Raggiunto grazie alle instancabili ed annose sollecitazioni del Movimento dei Genitori Separati, che hanno superato l’ostracismo di parlamentari rappresentanti di alcune frange della magistratura, avvocatura ed altre categorie professionali interessate al mantenimento della conflittualità per l’indotto economico che produce. E soprattutto della lobby femminista, notoriamente refrattaria all’accettazione di una pariteticità dei ruoli genitoriali.

Il varo trionfalistico delle nuova legge aveva determinato la convinzione che, finalmente, il diritto del bambino alla bigenitorialità fosse culturalmente acquisito. E che le parificazione delle responsabilità genitoriali fosse finalmente riconosciuta.

Ad oggi il bilancio circa l’applicazione della riforma è totalmente fallimentare, sia sul piano della modifica dell’atteggiamento culturale da parte degli operatori dei Servizi preposti all’Infanzia ed alla Famiglia, sia delle politiche sociali a sostegno della Bigenitorialità completamente assenti.

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Lo Scenario Attuale.

Non possiamo parlare degli esiti di una riforma legislativa – ancorché non più recente - senza prima contestualizzarla in un quadro più vasto.

La nostra società occidentale è caratterizzata dall’affievolirsi di figure paterne che abbiano un rapporto sostanziale e continuativo con i bambini. Rapporto generalmente riconosciuto in esclusiva alla madre.
La funzione primaria del padre è quella di interrompere il legame simbiotico del bambino con la madre, del suo avvolgimento protettivo e di appagamento dei bisogni. Portatore della norma, il suo principio di autorità è costitutivo della personalità del figlio e condizione per il suo sviluppo: insegna che la vita non è solo appagamento, conferma, rassicurazione, ma anche perdita, rinuncia, impegno. Passaggi fondamentali per l’individuo che esce dall’infanzia e si affaccia alla società cui è chiamato a partecipare.

La figura paterna è pertanto insostituibile – non vicariabile dalla madre – negli equilibri educativi, nella formazione dell'identità, nella costituzione dell'autostima, nell'orientamento sessuale e nella socializzazione dei figli
A sua volta il figlio che entra in relazione con l’autorità paterna sperimenta di non essere onnipotente: l’accettazione anche dolorosa di regole e limiti da rispettare lo libera dall’ansia, poiché a livelli profondi ricerca istintivamente un contenimento alle proprie pulsioni indifferenziate.

Ben sanno educatori e pedagogisti come l’assoluta libertà di comportamento – conosciuta come metodo “antiautoritario” - provochi una regressione verso la disorganizzazione psicotica, ipereccitabilità, depressione. Sindromi oggi curate con droghe chimiche simili a quelle che gli adolescenti cercano poi nei divertimenti notturni..
La nostra è pertanto “una società senza padri”.

Da Alexander Mitscherlich (Dal Patriarcato agli alimenti – Verso una società senza padri) a Robert Bly (La società degli eterni adolescenti), da Claudio Risé (Il padre: l’assente inaccettabile) a Rino Della Vecchia (Questa Metà della Terra), e Marco Cavina (Il padre spodestato), è un fiorire di analisi.

Il padre di oggi non può contare su riferimenti certi ed accettati, poiché già espropriato della sua funzione normativa dall’attacco progressivo della cultura dominante. Il pestaggio morale vigente da lustri che ha per obiettivo la criminalizzazione tout court dell’intero genere maschile, ha svuotato la figura paterna di ogni valore.
Negati i fondamenti naturali della bigenitorialità, il principio paterno è ormai subordinato a quello materno e la funzione biologica, sociale e simbolica della paternità è relegata ad un ruolo subalterno e ancillare, quella del "mammo". Resta inalterata ed inamovibile la piattaforma dei doveri per tutto quanto concerne l’economico, il patrimoniale ed il giuridico sia nei confronti di moglie e figli sia verso lo Stato, il fisco, le istituzioni, a cui risponde in primis.

A far da maestro ai futuri padri oggi non sono più i loro padri, o simboli maschili di riferimento,. ma l’armamentario ideologico radicato nella vita collettiva – politica, legislativa, mediatica, artistica, culturale - che diffama sistematicamente la figura paterna, per tutto e per il contrario di tutto.

L’eliminazione del simbolico paterno, quale canale di trasmissione di regole e valori che aiutano il figlio a maturare e responsabilizzarsi, è frutto di una necessità funzionale alle società avanzate. Va di pari passo con la globalizzazione della dottrina cosiddetta femminista, che a sua volta è strumentale alla globalizzazione dei mercati, dei prodotti, degli stili di vita. Dove la famiglia – comunque formata - è ridotta a pura cellula economica.

Persino la riproduzione umana (bonus per i neonati) e la cura della prole viene monetizzata. Infatti la citata modifica di legge prevede che, nel determinare l’entità dell’eventuale assegno a favore del genitore convivente con il figlio, deve essere considerata la valutazione economica dei compiti di cura della prole. In pratica un genitore, per legge, deve essere remunerato dall’altro – anche se non più convivente – per occuparsi materialmente del proprio figlio.

Il valore del ruolo materno non gode peraltro di buona salute.
L’educazione e l’assistenza dei bambini è demandata perlopiù ad agenzie esterne, mentre le problematiche relazionali e di adattamento sono gestite dall’apparato medico/psicologico e socio/giudiziario.

Alle tradizionali funzioni della famiglia – tramandate attraverso le generazioni – si è così sostituito in maniera coercitiva lo Stato Sociale. Da cui gli individui, privati di forti legami affettivi e di una identità certa, isolati deresponsabilizzati e disadattati, si vogliono far dipendere.

Al tempo stesso si avverte la necessità di istituire corsi che insegnano ai genitori come essere tali. Demolita l’eredità valoriale formatasi nei secoli, si procede alla rieducazione secondo canoni stabiliti a tavolino dalla burocrazia di turno.

Il femminismo – parimenti funzionale al circuito produzione/consumo/controllo sociale – sfrutta le donne con l’inganno di un nuovo potere che il propagato modello di disgregazione famigliare mira a conferire.

Mentre si celebra l’emancipazione da un ineluttabile destino biologico, la dottrina della differenza di genere predica una nuova mistica della maternità, quale diritto e status sociale primario. Da una parte si assegna alle donne il monopolio riproduttivo e decisionale, oltreché una indiscussa superiorità di genere, dall’altra però le si ratifica vittime della perdurante oppressione patriarcale.

Perduti i saperi e le conoscenze che forgiavano l’identità delle loro nonne, e da cui discendeva considerazione e rispetto sociale, l’attuale generazione di donne-madri dipende unicamente dai consigli degli “esperti”. Bombardata da messaggi contraddittori, è sospinta in una prigione di rivendicazionismo esasperato che inibisce la maturazione e l’espressione di potenzialità realmente innovative.
Un patrimonio sprecato ed un disastro sociale.

Le donne consumano così immense energie nell’antagonismo con l’altro sesso, inseguendo al contempo una confusa affermazione personale. Per poi scoprirsi anch’esse intercambiabili, fragili, sopraffatte dalla solitudine e dalla depressione, disarmate ed in colpa nei confronti di figli non più gestibili, improvvisamente estranei. Non ce la fanno a sopportare l’intero carico educativo di cui si sono volute appropriare.

E non ne possono più di uomini docili, femminili, insicuri, rinunciatari, arrendevoli, politicamente corretti. Nei momenti di cupo malumore confessano a se stesse il desiderio più recondito e trasgressivo: avere accanto un uomo “vero”, maschio, autorevole, da cui sentirsi protette ed a cui finalmente potersi appoggiare.
L’identità femminile ne esce distrutta.

Scrive l’antropologa Ida Magli (Sesso e Potere, 1998): “Le donne….sono cadute nel facile, tragico inganno che il nuovo modello fosse di per sé la distruzione del vecchio…. Ma al centro di questi ruderi ci sono le donne. Erano loro il mattone che era stato messo dai maschi a fondamento del palazzo. Tolto il mattone il palazzo è crollato. Prive di un qualsiasi progetto, di una qualsiasi immagine di sé, le donne vivono alla giornata, come se la libertà e il potere consistessero appunto nel non avere né progetti né mete”.

In tale scenario il fenomeno separazione/divorzio non poteva avere evoluzione diversa ed essere manovrato altrimenti.
La conflittualità abilmente alimentata dall’esterno è funzionale alla lacerazione delle relazioni familiari ma anche alla fissazione dei ruoli ritenuti convenienti. Il padre reperisce le risorse. La madre le rivendica e gestisce i consumi. I figli crescono privi di validi modelli di riferimento con i quali misurarsi ed attingere forza, sicurezza in se stessi e del proprio posto nella società; incapaci di scelte autonome assumono supinamente gli schemi consumistici loro imposti.
Si moltiplicano problematiche, devianze, comportamenti improntati al bullismo. Democraticamente livellati senza distinzione di ceto, reddito, ambito culturale.
Dopo decenni di meticoloso smantellamento, la famiglia è ora messa spudoratamente sotto accusa dagli stessi demolitori per la sua incapacità educativa e di contenimento. Viene invocata l’autorevolezza paterna dalle medesime voci che da lustri la discreditano e censurano. Ed il controllo dello Stato Sociale – attraverso i suoi apparati perlopiù al femminile - si rafforza.

Il risvolto demografico.

Recenti statistiche indicano che i neo-papà italiani sono tra i più vecchi in Europa: l’età media alla nascita del primo figlio è 33 anni.
La popolazione giovanile per il 65% permane nella famiglia d’origine mediamente fino a 30 anni di età. Di questa fascia circa il 15% è costituita da figli di genitori separati/divorziati.

Riteniamo che altrettanti abbiano fratelli o parenti più anziani già reduci da tale esperienza.
I giovani potenziali padri quindi – ironicamente definiti Peter Pan o eterni adolescenti - sono perlopiù a conoscenza di quale sia la condizione di genitori separati, e delle conseguenze relazionali con i figli.
Inoltre, la polemica che ha accompagnato la citata riforma legislativa ha ulteriormente messo in luce tale realtà, evidenziando come proprio la paternità responsabile venga ad essere emarginata e punita.

La Gesef opera con uno sportello di ascolto dal 1994: ha quindi una conoscenza approfondita della situazione, che contrasta spesso con le versioni ufficiali diffuse da altri enti.

I soggetti che si rivolgono alla nostra struttura sono per l’83% padri separati, di un’età compresa tra i 27 e 54 anni. Tutti lamentano sofferenza per la frattura del rapporto quotidiano con i figli, nonostante le cure loro prodigate fin dalla nascita ed il profondo legame affettivo. Di questi oltre il 70% dichiara che, anche stabilita una nuova unione, non intende generare altri figli: il timore di rivivere le stesse angosce è troppo profondo.

L’attuale dibattito intorno al fenomeno della denatalità verte unicamente sulle problematiche della madre lavoratrice e sull’età tarda dei neo-genitori.

Si omette con dovizia di considerare le conseguenze derivanti dalla separazione/divorzio, così come oggi vissute dall’elemento più debole della coppia genitoriale: il padre.

Considerato l’aumento esponenziale delle separazioni richieste dalle donne nell’70% dei casi. e la consapevolezza degli effetti deleteri, sarebbe opportuno valutare quanto la denatalità sia riconducibile ad una volontà maschile ben ponderata.
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Il risvolto economico.

Le conseguenze economiche della separazione/divorzio stanno determinando una fascia di nuovi poveri: sono i padri separati non affidatari con lo “stipendio fisso” dimezzato, gravati dal mutuo per una casa in cui non abiteranno mai più, oltre alle spese per una nuova sistemazione. Ovviamente impossibilitati ad accedere all’edilizia pubblica, poiché proprietari o single e dunque sprovvisti dei requisiti necessari.

Le a recenti finanziarie hanno ritenuto opportuno punirli ulteriormente: non hanno diritto alle detrazioni per i figli, pur continuando a mantenerli, a favore unicamente del genitore convivente o collocatario.
I più fortunati hanno almeno un familiare disponibile a riaccoglierli. Taluni trovano ospitalità presso la Caritas. Qualcuno dorme in macchina, quando ancora se la può permettere.
Il 66% di coloro che si rivolgano a noi rientra in questa casistica.

Quasi tutti gli Enti locali, sull’intero territorio nazionale, finanziano - da decenni e con soldi dei contribuenti perlopiù uomini - la Casa delle Donne o centro similare che presta aiuto alle donne/madri.
Solo oggi, nel 2010, si comincia a prendere in considerazione la necessità di approntare strutture di accoglienza per uomini-padri in difficoltà, ma i contributi erogati niente hanno a che vedere con le centinaia di milioni di euro a favore del genere femminile.

Questi nuovi poveri vengono ignorati dalle statistiche ufficiali. Che però registrano puntualmente i casi di inottemperanza al pagamento dell’assegno di mantenimento per ex coniuge e figli decretato dal Tribunale.
Casi che si moltiplicano di anno in anno. Parallelamente al moltiplicarsi delle denunce strumentali da parte del genitore affidatario/collocatario contro l’altro.

Nell’80% delle situazioni di omissione infatti, il padre inadempiente lamenta – oltre al depauperamento legale – il ricatto illegale da cui non esiste difesa: ovvero la “concessione” a frequentare il figlio solo in cambio di laute mance extra sentenza.
E quando al posto della mancia arrivavano i carabinieri, scatta immediata la ritorsione: denuncia strumentale di maltrattamenti o abuso sotto l’insegna “il bambino ha raccontato che………”. Che la macchina giudiziaria anziché sanzionare utilizza per stritolare ulteriormente la relazione figlio/genitore bersaglio, a tutto vantaggio dei professionisti del circuito integrato.

Innegabilmente c’è chi, previdente e ben informato, provvede per tempo a mettere al sicuro beni e risorse.
Indignarsi è superfluo: sarebbe più utile domandarsi perché padri disponibili in qualunque momento a spendere fortune per i propri figli, arrivano in tribunale improvvisamente spilorci e nullatenenti. E prendere atto che la frattura di coppia non può continuare a tradursi in una “punizione” che condanna un padre incolpevole all’ indigenza, oltreché alla separazione dai figli.
Di tutto ciò, ormai, c’è cognizione diffusa.

Si sta infatti consolidando un fenomeno nuovo: i giovani in procinto di sposarsi o diventare padri difficilmente risultano intestatari di un bene immobiliare/patrimoniale, anche quando la condizione della famiglia di origine lo consentirebbe.

La legge sull’affido condiviso.

Quale impatto ha avuto la nuova normativa dell’affido condiviso in questo scenario? Ad oggi nessuno
A prescindere da alcune ambiguità tecniche presenti nel testo, il principio della Bigenitorialità è rimasto tale: l’applicazione è solo formale.

Dalla documentazione giudiziaria esaminata si rileva che, pur leggermente modificato l’approccio degli operatori, si continua a privilegiare l’interesse dell’adulto sul piano patrimoniale ed economico. Il percorso legale continua a sollecitare l’antagonismo tra i genitori separandi anziché potenziare un’autentica collaborazione nel primario interesse del figlio, come il principio ispiratore della legge esige.

Sciatteria mentale degli operatori, nonostante il potere che la legge conferisce loro? Oppure una precisa volontà di mantenere inalterate le rendite parassitarie?

Una riforma sbandierata come rivoluzionaria è oggi colpevolmente inapplicata in primis dai magistrati al punto che sono stati presentati in Parlamento progetti di legge per la modifica della modifica. Ma è davvero necessario?

Un autorevole letterato ha scritto che è meglio una pessima legge applicata da giudici eccellenti, piuttosto che una legge eccellente in mano a giudici pessimi.

Per i genitori già separati dai figli equivale ad un raggiro, che aumenterà ulteriormente lo scollamento tra cittadini ed istituzioni politiche e giudiziarie.
Per quelli che si avviano alla separazione, più battaglieri, equivale ad affilare le armi facendo proprie quelle fin qui utilizzate da una sola parte. Le accuse diventeranno reciproche: la cronaca offre purtroppo argomenti convincenti per colpire quel fronte materno che finora sembrava immune da qualunque attacco.

I figli continueranno ad essere le vittime sacrificali, oltreché strumenti di guerra.

Il risvolto futuro.

Gli adolescenti di oggi, cresciuti in ambienti governati perlopiù al femminile (baby-sitter, educatrice, maestra, insegnante, pediatra, catechista ecc.), sono totalmente alieni dal senso di colpa che ha marchiato la vita dei loro padri e dei loro nonni travolti dalla rivoluzione femminista. Non si sentono affatto in debito nei confronti del genere femminile. Anzi.

Depositari di diritti indiscussi e paritetici, sono estranei al senso del dovere e protezione che nella società patriarcale distingueva il ruolo maschile. Percepiscono rapidamente come le azioni positive promosse dalla politica delle cosiddette “Pari Opportunità” altro non sono che una discriminazione contro il maschio, e reagiscono di conseguenza.

Omologati al consumo impulsivo e narcisistico, non c’è più spazio nel loro mondo alla mistica del lavoro e dell’accumulo: il tempo libero ed il divertimento hanno ormai una valenza esistenziale.

L’esperienza vissuta dai figli della separazione li ha già addestrati ad un sistema che, anziché valorizzare le responsabilità paterne ne disincentiva l’assunzione. Dopo essere stati vittime di quel sistema come figli, difficilmente saranno disposti a diventarlo come padri.

La massiccia disgregazione familiare degli ultimi venti anni, e dei valori connessi, ha avuto l’esito – poco considerato – di esaurire anche le risorse capitalizzate dalle generazioni del boom economico
La flessibilità lavorativa che si va affermando azzera il mito del “posto fisso”, mentre i costi abitativi sono quadruplicati: a stento una famiglia appartenente alle classe media e medio/bassa, può farvi fronte senza un pregresso risparmio.

Le famiglie separate del futuro imminente saranno sicuramente più povere, ed i loro figli più soli.
I futuri padri, senza stipendio fisso, con occupazioni flessibili, sprovvisti di proprietà, non saranno più ricattabili, e certo non si affanneranno ad elemosinare la salvaguardia di un ruolo genitoriale in disuso.

Orfani di un modello cui riferirsi poiché già cresciuti in una società senza padri, saranno i primi a scappare di fronte alle difficoltà

L’assegno di mantenimento, oggi principale rivendicazione femminile, sparirà dal vocabolario forense
Le future madri dovranno contare solo su se stesse: lo Stato Sociale tende ormai a limitare l’elargizione di benefici economici ad personam. Si estende piuttosto il controllo ed il dislocamento dei bambini da una famiglia presunta “inidonea” ad una “casa famiglia” concretamente sovvenzionata, secondo criteri di valutazione troppo spesso lontani dalle reali esigenze dei bambini.

Che continueranno a pagare per tutti.

Si può concludere che una legge, ancorché lacunosa e disattesa e per quanto perfettibile, non è sufficiente.
Per arrestare il disastro sociale in atto, i padri, le madri, le famiglie non hanno bisogno di essere messi sotto accusa; ma di essere aiutati. Occorre pertanto che le Istituzioni preposte al Sociale si voltino ad esaminare con coraggio le macerie disseminate lungo il cammino fin qui fatto, e si orientino alla svelta in direzione di un nuovo percorso culturale.

Il principio della Bigenitorialità, nell’accezione di diritto inalienabile del bambino, per potersi effettivamente affermare deve essere coniugato al ripristino ed al sostegno della funzione paterna. Che automaticamente restituisce dignità e valore al ruolo materno.

I padri che hanno marciato per anni davanti al Parlamento quando chiedevano una nuova disciplina legislativa, e che di nuovo si mobilitano per rivendicare il loro ruolo, sono probabilmente l’ultima scheggia di una generazione ancora consapevole delle proprie responsabilità.
Bisogna ricominciare da qui.

Elvia Ficarra
Responsabile Osservatorio Famiglie Separate - GESEF

Roma, 19 marzo 2010

 
MariaRosaDeHellagenDate: Mercoledì, 12/05/2010, 06:01 | Message # 2
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http://comunicazionecondiviso.blogspot.com/2009/05/affido-condiviso-in-italia-unanalisi.html


L’AFFIDO CONDIVISO IN ITALIA

di Guido de Blasio, Michela Dini

(da: http://www.nelmerito.com)

La procedura giudiziaria che, ai sensi della Legge 54 del 2006, dovrebbe stabilire l’affidamento condiviso dei minori in caso di separazione o divorzio dei genitori alimenta incentivi perversi sia per gli avvocati, che in vari casi incoraggiano una domanda per i propri servizi in eccesso rispeso all’interesse del cliente, sia per i magistrati, spinti a trincerarsi dietro le perizie tecniche. I periti, che di fatto decidono le sorti dei minori, lo fanno sulla base delle loro personali convinzioni, a volte suffragate da elementi privi di valore scientifico riconosciuto. Gli interessi economici in gioco sono ingenti.

Una legge applicata in modo frammentario e distorto.

Mentre si accumula evidenza empirica rigorosa sugli effetti positivi dell’affido condiviso (link: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001045.html), l’applicazione della Legge 54 del 2006 nei Tribunali della Repubblica avviene in maniera frammentaria e spesso distorta. In alcuni casi, l’affido condiviso non viene disposto per motivi che la legge esclude possano rilevare (ad esempio, la conflittualità tra i genitori, l’età dei figli o la distanza tra le abitazioni)(1). In molti casi, l’affido condiviso viene formalmente disposto ma poi, in concreto, la frequentazione tra il minore e il genitore non convivente - il padre nella maggioranza dei casi - viene disciplinata in un modo del tutto analogo a quello adottato in caso di affidamento esclusivo (si pensi al diffuso modulo di frequentazione che prevede la permanenza del minore presso il padre per poche ore, uno o al massimo due pomeriggi a settimana).

Alcuni principi poco chiari, provenienti dalla precedente normativa e mantenuti in quella attuale, ne hanno amplificato le difficoltà applicative. La legge da un lato sancisce il principio della bigenitorialità (ovvero il diritto del minore ad avere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori nonché di ricevere da loro cura, educazione e istruzione) e dall’altro ne demanda la concreta attuazione al giudice, che deve stabilire i tempi e le modalità della presenza dei minori presso ciascuno dei genitori, tenendo conto del loro "interesse morale e materiale". Il criterio dell'interesse del minore, nella maggioranza dei casi, viene però interpretato come distinto, se non contrapposto, rispetto al principio della bigenitorialità e tale, quindi, da temperarne l’applicabilità in concreto(2). Perciò, nella sua attuazione pratica, la legge è stata sostanzialmente svuotata del suo contenuto modernizzatore (in realtà, la legge innova proprio perché stabilisce che la bigenitorialità rappresenta l’interesse del minore)(3,4).

Gli incentivi degli avvocati.

La mancanza di un quadro di riferimento chiaro incentiva gli avvocati – la cui assistenza è obbligatoria nei giudizi di separazione e divorzio(5) – a stimolare una domanda per i propri servizi in eccesso rispetto all’interesse del cliente(6). In un campo nel quale le valutazioni di tipo tecnico-giuridico lasciano spesso spazio a considerazioni di tipo psicologico, ma anche a osservazioni di tipo comune su aspetti relazionali, gli avvocati sono portati a sostenere le istanze dei loro assistiti con qualsiasi mezzo (a volte anche di dubbia correttezza deontologica, come nei casi in cui viene prodotta documentazione non veritiera, sia di tipo finanziario che personale) e a favorire l’instaurarsi di conflitti su più fronti (si pensi alla frequenza con cui, nel corso del giudizio di separazione o divorzio, vengono mosse accuse aventi rilevanza penale). Ciò in quanto, da un lato, tutto ciò si traduce in ulteriori possibilità di guadagno, dall’altro, nell’incertezza circa la rilevanza dei vari elementi prodotti ai fini del giudizio, melius abundare quam deficere. Il risultato è rappresentato da copiose memorie processuali, dalla lettura delle quali il giudice fatica a distinguere gli elementi veri da quelli falsi o comunque non verificabili. I costi sono ingenti: a quelli privati sostenuti dalle parti(7), si associano quelli sociali relativi alla congestione degli uffici giudiziari.

Il ruolo dei magistrati.

I magistrati sono chiamati a pronunciarsi su questioni particolarmente delicate per gli effetti che possono produrre nella vita degli interessati. Le incertezze normative e il basso valore informativo delle memorie prodotte dagli avvocati ne complicano ulteriormente il compito. Essi, perciò, preferiscono demandare la decisione finale a psicologi e psichiatri, nella convinzione che essi posseggano gli strumenti tecnici per assumere, nel caso concreto, le migliori decisioni nell’interesse dei minori.

Il business delle perizie.

Nella maggior parte dei casi, il giudice nomina uno psicologo o psichiatra come suo consulente (CTU, consulente tecnico d’ufficio), attribuendo alle parti i relativi costi. Il CTU è chiamato a svolgere alcune indagini, di carattere psicologico, sulle parti (spesso coadiuvate da un CTP, consulente tecnico di parte) e sui minori, per poi esporre al giudice le sue conclusioni in ordine alle modalità che ritiene preferibili per la disciplina dei rapporti tra il minore e i genitori. Nella quasi totalità dei casi, il giudice recepisce integralmente i suggerimenti del CTU che dunque, di fatto, è chiamato a decidere la causa.

Il ruolo che il CTU è venuto ad assumere presenta due gravi problemi. 1. Il CTU decide sulla base dei propri orientamenti personali(8). Si tratta quindi di decisioni improntate alla più ampia discrezionalità, con la conseguenza che casi simili vengono giudicati in maniera difforme e casi molto dissimili, talvolta, in maniera eguale (in grave contrasto con l’art. 3 della Costituzione, visto che tali decisioni vengono quasi automaticamente recepite in sede giudiziaria). 2. Le conclusioni del CTU sono sostanzialmente inattaccabili, sia da un punto di vista legale (in quanto, avendo carattere tecnico, non possono essere contestate né dagli avvocati né dai magistrati; e infatti la maggior parte dei reclami promossi avverso di esse viene rigettato), sia da un punto di vista sostanziale, in quanto gli elementi portati a sostegno delle decisioni sono eminentemente non scientifici (e quindi "non falsificabili"). In molti casi, le conclusioni del CTU vengono corroborate con i risultati di test psicologici (ad esempio, il Minnesota o il Rorschach), che vengono riportati come inoppugnabili, mentre a) il loro valore scientifico è ampiamente dibattuto nella letteratura più autorevole del settore(9); b) possono facilmente essere manipolati dai consulenti di parte, i quali a volte "preparano" i loro assistiti ai test, al fine di alterarne i risultati nella maniera desiderata.

Gli interessi economici che ruotano attorno alle perizie tecniche sono enormi: una perizia viene a costare nel complesso circa 10.000 Euro(10), che le parti solitamente devono dividersi. Da quanto si apprende sulla base di opinioni raccolte presso alcuni operatori del settore, visto che sul tema vige una mancanza di trasparenza quasi assoluta, le perizie sono in mano ad un numero ristretto di CTU, ai quali il magistrato si affida con regolarità e che, pertanto, godono di una rendita monopolistica all’interno del tribunale di appartenenza. Questo genera ulteriori effetti distorsivi, di natura clientelare. Ad esempio, gli psicologi che somministrano i vari test della personalità alle parti e ai minori sono persone di fiducia del CTU, che si avvantaggiano dalle commesse che il CTU somministra. I CTP vengono scelti, su indicazione degli avvocati, sulla base della loro "vicinanza" alla CTU, affinché possano influire sui suoi orientamenti a favore della parte che li impiega.

Che fare?

Sono state recentemente presentate alcune proposte di modifica del testo della Legge 54 del 2006(11). Queste proposte prendono le mosse dalla situazione di frammentaria e distorta applicazione della legge e provano a riformularne il testo per sgombrare il campo dagli aspetti di maggiore ambiguità. Si tratta di proposte che vanno nella giusta direzione, specialmente nella parte in cui chiariscono che l’interesse del minore è rappresentato dalla bigenitorialità(12). Chiaramente, se le ambiguità normative hanno sicuramente alimentato gli incentivi perversi di avvocati, magistrati e periti, sarebbe illusorio aspettarsi, vista anche l’entità degli di interessi economici coinvolti, che la modifica del testo della legge possa essere sufficiente ad assicurarne la sua corretta attuazione. Un contributo importante, crediamo, può essere dato da una maggiore trasparenza. Sarebbe utile avere informazioni affidabili non solo sui tempi e costi delle procedure, ma anche sulle caratteristiche delle decisioni giudiziarie. Le informazioni dovrebbero riguardare anche l’attività svolta da avvocati e periti, per fare luce sull’effettivo contributo che queste figure professionali apportano affinché la risoluzione delle controversie in materia di affidamento avvenga in base a quanto stabilito dalla legge.

1) In base alle statistiche dell’anno 2006, che riflettono i primi 9 mesi di applicazione della legge, la percentuale di minori affidata esclusivamente alla madre era ancora prossima al 60%.

2) Del resto, si tratta dello stesso criterio che, nel vigore della precedente normativa, aveva portato ad elaborare la nozione di "genitore più idoneo", ossia del genitore che appariva maggiormente in grado assicurare la tutela e lo sviluppo fisico, morale e psicologico del minore e al quale dunque bisognava affidare il minore in via esclusiva (nella quasi totalità dei casi si trattava della madre), nella convinzione che ciò avrebbe ridotto, per quanto possibile, i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

3) Le norme di altri paesi europei sono più chiare. Il Belgio, ad esempio, ha regolato la materia stabilendo esplicitamente tempi di permanenza sostanzialmente uguali del minore presso i due genitori. In Francia, la residenza alternata è prevista come regola generale. In caso di disaccordo tra i genitori, la decisione è rimessa al giudice, che può disporre comunque in via provvisoria la residenza alternata, per poi adoperarsi per facilitare il raggiungimento di un accordo tra le parti.

4) Anche per il sostentamento economico dei figli cambia davvero poco. In base alle informazioni dell’Istat, nel 2005 il 91% delle separazioni con figli minori si concludeva prevedendo la corresponsione di un assegno per il loro mantenimento da parte del genitore non affidatario (per un importo medio di 483 €). Nonostante la Legge 54 del 2006 prevedesse un ridimensionamento del ruolo di questo trasferimento, a favore di un contributo diretto e per capitoli di spesa da parte di entrambi i genitori alle esigenze dei figli, nel 2006 esso era ancora previsto nel 90% dei casi (per un importo medio di 500€).

5) Ai sensi dell’art. 707 c.p.c. (come modificato dal D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito nella Legge 14.05.2005 n. 80) "i coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore".

6) Non si tratta di una pratica limitata agli avvocati di diritto di famiglia. In base ad uno studio condotto dalla Banca d’Italia (cfr. Relazione Annuale, 2007) su dati provinciali per il periodo 2000-05, che riguarda l’intero mercato dei servizi legali, vi sarebbe un nesso causale positivo tra elevato numero di avvocati (in rapporto alla popolazione) e il numero di procedimenti legali.

7) Nel mercato romano, la parcella di un professionista di media bravura va dai 5.000 ai 10.000 Euro. Considerati i costi delle perizie (vedi nota x), la spesa totale per ciascuno degli ex-coniugi oscilla tra i 10.000 e i 15.000 Euro.

8) Di fatto, molto spesso il CTU ritiene preferibile che un minore debba stare principalmente con uno dei genitori o comunque che sia necessario limitare la frequentazione dell’altro. Sulle ragioni "culturali" di questa posizione, unitamente a quelle, più rilevanti, di natura economica si veda Maglietta (2006) "L’affidamento condiviso dei figli", Franco Angeli.

9) Si veda, ad esempio, http://www.psychologicalscience.org/newsresearch/publications/journals/sa1_2.pdf, e la letteratura ivi citata.

10) Il dato fa riferimento al mercato romano. Nel dettaglio, i costi per una singola parte in causa sono i seguenti: compenso del CTU (€ 1.000); compenso del CTP (€ 3.000), compenso degli psicologi che somministrano i vari test alle parti e ai minori (€ 1.000).

11) Si vedano, ad esempio, le proposte di legge della Camera dei Deputati n. 53 e n. 1304 del 2008 e il Disegno di Legge del Senato della Repubblica n. 957 del 2008.

12) Ad esempio, una proposta recita "il minore ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi i genitori, pariteticamente, salvo i casi di impossibilità materiale".

 
MariaRosaDeHellagenDate: Sabato, 07/08/2010, 00:19 | Message # 3
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http://rc-comunicazione.it/images/gs/DossierDM.pdf - Dossier sull'affido condiviso 2010 di Marino Maglietta
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MariaRosaDeHellagenDate: Venerdì, 25/03/2011, 21:40 | Message # 4
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Affidamento condiviso: cronaca di una legge non applicata – di Tiberio Timperi
7 febbraio 2011

La cosa è ben nota al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che nel 2010 e in questo inizio di 2011 ha ricevuto un’interrogazione parlamentare da parte dell’Onorevole Rita Bernardini, dei Radicali Italiani.

A questa, per gli stessi motivi, si è aggiunta di recente la class action contro il CSM. Ad organizzarla Adiantum, una delle associazioni di genitori separati più accreditate.

In sostanza, l’orientamento culturale prevalente della magistratura è tale da far naufragare lo spirito che ha animato il legislatore: quello della bigenitorialità. O se si preferisce, del diritto del figlio di avere due genitori. Sulla carta, una rivoluzione, considerato che prima, di fatto, il padre all’indomani della separazione, veniva cancellato.

Purtroppo, successivamente all’entrata in vigore della legge, è stato subito chiaro il sapore gattopardesco.
Cinque anni dopo, parole a parte, la situazione è rimasta identica.

Andiamo con ordine.

Per l’Istat e i tribunali, l’affidamento condiviso viene concesso nel 90 per cento dei casi.

Sulla carta. In realtà le cose sono ben diverse. Esaminiamo.

La legge prescrive che il minore abbia un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori? I giudici concedono al padre che vuol fare il padre, 8 giorni in media al mese contro i 23 della madre.

La legge prescrive l’assenza di genitore prevalente ?
I giudici si sono inventati, a loro uso, la collocazione del minore. Ovviamente 9 volte su 10 presso la madre. A prescindere dalla richiesta del padre.

La legge prescrive il mantenimento diretto, vale a dire la possibilità per il genitore che deve provvedere al mantenimento, di farlo direttamente?
I giudici ricorrono all’assegno per il genitore collocatario, 9 su 10 la madre, assegno che si trasforma spesso in rendita parassitaria non essendoci obbligo di rendicontazione.

Insomma la legge viene ignorata.

Dopo il divorzio, per i padri che vogliono fare i padri, solo doveri.

Per le madri che vogliono approfittare di una consuetudine, un vitalizio.

Meglio, un win for life.

Tempi, usi e costumi sono cambiati. E con essi, anche il modo di vivere la paternità.
Ma certi avvocati, certi giudici e certi psicologi fanno orecchie da mercante.

Il divorzio all’italiana fa comodo. Complice la lentezza della giustizia e l’orientamento culturale prevalente che vede al centro la mamma e non il minore, il divorzio alimenta un lucroso business sulla pelle dei nostri figli. E dei padri. Senza se e senza ma.
Attenzione, questa non è una battaglia dei padri contro le madri o viceversa.
Semmai contro il sistema.

Un sistema che favorisce, ad esempio, certi avvocati che, pur di gratificare il cliente, avallano strategie processuali basate su false denunce piuttosto che avviare una mediazione. So di cosa parlo, avendolo vissuto sulla mia pelle. Con buona pace della deontologia professionale.

Al salone della giustizia di Rimini, questa mia affermazione ha molto irritato un insigne giurista (difesa di categoria?) e un membro dell’AIAF, associazione avvocati italiani della famiglia. Segno che forse a pensar male si fa peccato ma difficilmente si sbaglia.

200.000 avvocati in Italia sono tanti, per alcuni troppi. Il cliente è sacro. Il figlio meno…

Un altro aspetto del condiviso, è legato alle famigerate CTU, ovvero le consulenze tecniche. Nei tribunali vengono sempre scelti gli stessi, come in una compagnia di giro. Con l’assurdo che magari il CTU nominato dal giudice è amico del consulente di parte, magari della moglie… Succede anche questo nelle aule. O il fatto che quel giudice partecipi a quel congresso organizzato dall’associazione cui quel CTU appartiene in un singolare processo osmotico che può prestare il fianco ad eventuali ed inevitabili critiche.

E, per non fare torto a nessuno, una parola anche per i servizi sociali.

Tutti sono concordi nel lamentare la loro scarsa professionalità. Rare le punte di eccellenza.

Dipendenti comunali, fortemente ideologizzati che, spesso senza un’adeguata formazione, hanno diritto di vita e di morte sui nostri figli. Diritto esercitato in tandem con i giudici.

Spesso si ha la sensazione che certi giudici non vogliano essere disturbati.
Che non si leggano i fascicoli.
Che non vogliano prendere posizione.
Giudici equilibristi.
Giudici cerchiobottisti.

Semplificano parlando genericamente di conflittualità, senza distinguere tra chi aggredisce e chi viene aggredito.

Aggredito che, se ricorre alle vie legali per far valere i suoi diritti calpestati, viene giudicato come conflittuale.
Mentre l’altro genitore, qualora un pm non archivi, rischia una modica sanzione.

In Olanda e nei Paesi Bassi, invece, l’arresto…

A questo punto è indifferibile, con l’appoggio di tutti gli schieramenti politici, un intervento chirurgico sulla legge a prova di furbi o interpretazioni ideologiche.

Una modifica che renda realmente paritario, qualitativamente e quantitativamente, il rapporto del minore con entrambe i genitori.

Una modifica che con effetto domino, demolisca la figura del genitore collocatario, espressione coniata dai giudici, e garantisca l’uso e la disponibilità della casa coniugale da parte del suo proprietario.

Sarà mica un caso che in Italia stiano spuntando come funghi case accoglienza per padri separati?

Serve la radiazione dall’albo di quegli avvocati che avallano strategie processuali basate su false denunce.
Serve che ci siano giudici specializzati nel diritto di famiglia. E, in caso di loro separazione, non esercitino fino al divorzio.

Serve che il mantenimento dei figli sia legato a reali esigenze e non agganciato al reddito paterno e al tenore di vita che, inevitabilmente, si dimezza.

Serve che il divorzio sia immediato. Un sì per sposarsi, un sì per divorziare. Basta con il gioco dell’oca che vede prima tre anni di separazione e poi, come nel gioco dell’oca si azzera tutto e si ricomincia daccapo con il divorzio.

Serve il contratto prematrimoniale.

Serve demolire la certezza, da parte della donna, di avere il coltello dalla parte del manico. Di ottenere sulla carta figlio, casa, e soldi. Che razza di pari opportunità sono queste?

I diritti e i doveri devono essere equamente distribuiti.
Ed oggi così non è.

Con buona pace di una sinistra che continua a chiudere gli occhi davanti a disagio e dolore.
Una sinistra che, nella strenua difesa della donna, paradossalmente vanifica le conquiste del femminismo e si trasforma in maschilista.
Con una donna, di fatto, mantenuta ad libitum dall’uomo.

[Fonte: adiantum.it]

 
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