RAPPORTO GESEF SULLA FAMIGLIA disgregata. La legge 54 del 2006 (Affido Condiviso), che modificava l’art. 155 del codice civile in materia di affidamento dei figli in caso di separazione, in vigore da oltre quattro anni, avrebbe dovuto sancire il principio della Bigenitorialità quale diritto inalienabile dei figli a ricevere cura ed educazione da entrambi i genitori, come stabilito dalla Convenzione ONU ratificata nel 1991 dal nostro Paese.
Benché molti elementi della legge siano stati criticati – esistono già in Parlamento nuove proposte di modifica per tali aspetti -, costituiva comunque un primo traguardo.
Raggiunto grazie alle instancabili ed annose sollecitazioni del Movimento dei Genitori Separati, che hanno superato l’ostracismo di parlamentari rappresentanti di alcune frange della magistratura, avvocatura ed altre categorie professionali interessate al mantenimento della conflittualità per l’indotto economico che produce. E soprattutto della lobby femminista, notoriamente refrattaria all’accettazione di una pariteticità dei ruoli genitoriali.
Il varo trionfalistico delle nuova legge aveva determinato la convinzione che, finalmente, il diritto del bambino alla bigenitorialità fosse culturalmente acquisito. E che le parificazione delle responsabilità genitoriali fosse finalmente riconosciuta.
Ad oggi il bilancio circa l’applicazione della riforma è totalmente fallimentare, sia sul piano della modifica dell’atteggiamento culturale da parte degli operatori dei Servizi preposti all’Infanzia ed alla Famiglia, sia delle politiche sociali a sostegno della Bigenitorialità completamente assenti.
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Lo Scenario Attuale.
Non possiamo parlare degli esiti di una riforma legislativa – ancorché non più recente - senza prima contestualizzarla in un quadro più vasto.
La nostra società occidentale è caratterizzata dall’affievolirsi di figure paterne che abbiano un rapporto sostanziale e continuativo con i bambini. Rapporto generalmente riconosciuto in esclusiva alla madre.
La funzione primaria del padre è quella di interrompere il legame simbiotico del bambino con la madre, del suo avvolgimento protettivo e di appagamento dei bisogni. Portatore della norma, il suo principio di autorità è costitutivo della personalità del figlio e condizione per il suo sviluppo: insegna che la vita non è solo appagamento, conferma, rassicurazione, ma anche perdita, rinuncia, impegno. Passaggi fondamentali per l’individuo che esce dall’infanzia e si affaccia alla società cui è chiamato a partecipare.
La figura paterna è pertanto insostituibile – non vicariabile dalla madre – negli equilibri educativi, nella formazione dell'identità, nella costituzione dell'autostima, nell'orientamento sessuale e nella socializzazione dei figli
A sua volta il figlio che entra in relazione con l’autorità paterna sperimenta di non essere onnipotente: l’accettazione anche dolorosa di regole e limiti da rispettare lo libera dall’ansia, poiché a livelli profondi ricerca istintivamente un contenimento alle proprie pulsioni indifferenziate.
Ben sanno educatori e pedagogisti come l’assoluta libertà di comportamento – conosciuta come metodo “antiautoritario” - provochi una regressione verso la disorganizzazione psicotica, ipereccitabilità, depressione. Sindromi oggi curate con droghe chimiche simili a quelle che gli adolescenti cercano poi nei divertimenti notturni..
La nostra è pertanto “una società senza padri”.
Da Alexander Mitscherlich (Dal Patriarcato agli alimenti – Verso una società senza padri) a Robert Bly (La società degli eterni adolescenti), da Claudio Risé (Il padre: l’assente inaccettabile) a Rino Della Vecchia (Questa Metà della Terra), e Marco Cavina (Il padre spodestato), è un fiorire di analisi.
Il padre di oggi non può contare su riferimenti certi ed accettati, poiché già espropriato della sua funzione normativa dall’attacco progressivo della cultura dominante. Il pestaggio morale vigente da lustri che ha per obiettivo la criminalizzazione tout court dell’intero genere maschile, ha svuotato la figura paterna di ogni valore.
Negati i fondamenti naturali della bigenitorialità, il principio paterno è ormai subordinato a quello materno e la funzione biologica, sociale e simbolica della paternità è relegata ad un ruolo subalterno e ancillare, quella del "mammo". Resta inalterata ed inamovibile la piattaforma dei doveri per tutto quanto concerne l’economico, il patrimoniale ed il giuridico sia nei confronti di moglie e figli sia verso lo Stato, il fisco, le istituzioni, a cui risponde in primis.
A far da maestro ai futuri padri oggi non sono più i loro padri, o simboli maschili di riferimento,. ma l’armamentario ideologico radicato nella vita collettiva – politica, legislativa, mediatica, artistica, culturale - che diffama sistematicamente la figura paterna, per tutto e per il contrario di tutto.
L’eliminazione del simbolico paterno, quale canale di trasmissione di regole e valori che aiutano il figlio a maturare e responsabilizzarsi, è frutto di una necessità funzionale alle società avanzate. Va di pari passo con la globalizzazione della dottrina cosiddetta femminista, che a sua volta è strumentale alla globalizzazione dei mercati, dei prodotti, degli stili di vita. Dove la famiglia – comunque formata - è ridotta a pura cellula economica.
Persino la riproduzione umana (bonus per i neonati) e la cura della prole viene monetizzata. Infatti la citata modifica di legge prevede che, nel determinare l’entità dell’eventuale assegno a favore del genitore convivente con il figlio, deve essere considerata la valutazione economica dei compiti di cura della prole. In pratica un genitore, per legge, deve essere remunerato dall’altro – anche se non più convivente – per occuparsi materialmente del proprio figlio.
Il valore del ruolo materno non gode peraltro di buona salute.
L’educazione e l’assistenza dei bambini è demandata perlopiù ad agenzie esterne, mentre le problematiche relazionali e di adattamento sono gestite dall’apparato medico/psicologico e socio/giudiziario.
Alle tradizionali funzioni della famiglia – tramandate attraverso le generazioni – si è così sostituito in maniera coercitiva lo Stato Sociale. Da cui gli individui, privati di forti legami affettivi e di una identità certa, isolati deresponsabilizzati e disadattati, si vogliono far dipendere.
Al tempo stesso si avverte la necessità di istituire corsi che insegnano ai genitori come essere tali. Demolita l’eredità valoriale formatasi nei secoli, si procede alla rieducazione secondo canoni stabiliti a tavolino dalla burocrazia di turno.
Il femminismo – parimenti funzionale al circuito produzione/consumo/controllo sociale – sfrutta le donne con l’inganno di un nuovo potere che il propagato modello di disgregazione famigliare mira a conferire.
Mentre si celebra l’emancipazione da un ineluttabile destino biologico, la dottrina della differenza di genere predica una nuova mistica della maternità, quale diritto e status sociale primario. Da una parte si assegna alle donne il monopolio riproduttivo e decisionale, oltreché una indiscussa superiorità di genere, dall’altra però le si ratifica vittime della perdurante oppressione patriarcale.
Perduti i saperi e le conoscenze che forgiavano l’identità delle loro nonne, e da cui discendeva considerazione e rispetto sociale, l’attuale generazione di donne-madri dipende unicamente dai consigli degli “esperti”. Bombardata da messaggi contraddittori, è sospinta in una prigione di rivendicazionismo esasperato che inibisce la maturazione e l’espressione di potenzialità realmente innovative.
Un patrimonio sprecato ed un disastro sociale.
Le donne consumano così immense energie nell’antagonismo con l’altro sesso, inseguendo al contempo una confusa affermazione personale. Per poi scoprirsi anch’esse intercambiabili, fragili, sopraffatte dalla solitudine e dalla depressione, disarmate ed in colpa nei confronti di figli non più gestibili, improvvisamente estranei. Non ce la fanno a sopportare l’intero carico educativo di cui si sono volute appropriare.
E non ne possono più di uomini docili, femminili, insicuri, rinunciatari, arrendevoli, politicamente corretti. Nei momenti di cupo malumore confessano a se stesse il desiderio più recondito e trasgressivo: avere accanto un uomo “vero”, maschio, autorevole, da cui sentirsi protette ed a cui finalmente potersi appoggiare.
L’identità femminile ne esce distrutta.
Scrive l’antropologa Ida Magli (Sesso e Potere, 1998): “Le donne….sono cadute nel facile, tragico inganno che il nuovo modello fosse di per sé la distruzione del vecchio…. Ma al centro di questi ruderi ci sono le donne. Erano loro il mattone che era stato messo dai maschi a fondamento del palazzo. Tolto il mattone il palazzo è crollato. Prive di un qualsiasi progetto, di una qualsiasi immagine di sé, le donne vivono alla giornata, come se la libertà e il potere consistessero appunto nel non avere né progetti né mete”.
In tale scenario il fenomeno separazione/divorzio non poteva avere evoluzione diversa ed essere manovrato altrimenti.
La conflittualità abilmente alimentata dall’esterno è funzionale alla lacerazione delle relazioni familiari ma anche alla fissazione dei ruoli ritenuti convenienti. Il padre reperisce le risorse. La madre le rivendica e gestisce i consumi. I figli crescono privi di validi modelli di riferimento con i quali misurarsi ed attingere forza, sicurezza in se stessi e del proprio posto nella società; incapaci di scelte autonome assumono supinamente gli schemi consumistici loro imposti.
Si moltiplicano problematiche, devianze, comportamenti improntati al bullismo. Democraticamente livellati senza distinzione di ceto, reddito, ambito culturale.
Dopo decenni di meticoloso smantellamento, la famiglia è ora messa spudoratamente sotto accusa dagli stessi demolitori per la sua incapacità educativa e di contenimento. Viene invocata l’autorevolezza paterna dalle medesime voci che da lustri la discreditano e censurano. Ed il controllo dello Stato Sociale – attraverso i suoi apparati perlopiù al femminile - si rafforza.
Il risvolto demografico.
Recenti statistiche indicano che i neo-papà italiani sono tra i più vecchi in Europa: l’età media alla nascita del primo figlio è 33 anni.
La popolazione giovanile per il 65% permane nella famiglia d’origine mediamente fino a 30 anni di età. Di questa fascia circa il 15% è costituita da figli di genitori separati/divorziati.
Riteniamo che altrettanti abbiano fratelli o parenti più anziani già reduci da tale esperienza.
I giovani potenziali padri quindi – ironicamente definiti Peter Pan o eterni adolescenti - sono perlopiù a conoscenza di quale sia la condizione di genitori separati, e delle conseguenze relazionali con i figli.
Inoltre, la polemica che ha accompagnato la citata riforma legislativa ha ulteriormente messo in luce tale realtà, evidenziando come proprio la paternità responsabile venga ad essere emarginata e punita.
La Gesef opera con uno sportello di ascolto dal 1994: ha quindi una conoscenza approfondita della situazione, che contrasta spesso con le versioni ufficiali diffuse da altri enti.
I soggetti che si rivolgono alla nostra struttura sono per l’83% padri separati, di un’età compresa tra i 27 e 54 anni. Tutti lamentano sofferenza per la frattura del rapporto quotidiano con i figli, nonostante le cure loro prodigate fin dalla nascita ed il profondo legame affettivo. Di questi oltre il 70% dichiara che, anche stabilita una nuova unione, non intende generare altri figli: il timore di rivivere le stesse angosce è troppo profondo.
L’attuale dibattito intorno al fenomeno della denatalità verte unicamente sulle problematiche della madre lavoratrice e sull’età tarda dei neo-genitori.
Si omette con dovizia di considerare le conseguenze derivanti dalla separazione/divorzio, così come oggi vissute dall’elemento più debole della coppia genitoriale: il padre.
Considerato l’aumento esponenziale delle separazioni richieste dalle donne nell’70% dei casi. e la consapevolezza degli effetti deleteri, sarebbe opportuno valutare quanto la denatalità sia riconducibile ad una volontà maschile ben ponderata.
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Il risvolto economico.
Le conseguenze economiche della separazione/divorzio stanno determinando una fascia di nuovi poveri: sono i padri separati non affidatari con lo “stipendio fisso” dimezzato, gravati dal mutuo per una casa in cui non abiteranno mai più, oltre alle spese per una nuova sistemazione. Ovviamente impossibilitati ad accedere all’edilizia pubblica, poiché proprietari o single e dunque sprovvisti dei requisiti necessari.
Le a recenti finanziarie hanno ritenuto opportuno punirli ulteriormente: non hanno diritto alle detrazioni per i figli, pur continuando a mantenerli, a favore unicamente del genitore convivente o collocatario.
I più fortunati hanno almeno un familiare disponibile a riaccoglierli. Taluni trovano ospitalità presso la Caritas. Qualcuno dorme in macchina, quando ancora se la può permettere.
Il 66% di coloro che si rivolgano a noi rientra in questa casistica.
Quasi tutti gli Enti locali, sull’intero territorio nazionale, finanziano - da decenni e con soldi dei contribuenti perlopiù uomini - la Casa delle Donne o centro similare che presta aiuto alle donne/madri.
Solo oggi, nel 2010, si comincia a prendere in considerazione la necessità di approntare strutture di accoglienza per uomini-padri in difficoltà, ma i contributi erogati niente hanno a che vedere con le centinaia di milioni di euro a favore del genere femminile.
Questi nuovi poveri vengono ignorati dalle statistiche ufficiali. Che però registrano puntualmente i casi di inottemperanza al pagamento dell’assegno di mantenimento per ex coniuge e figli decretato dal Tribunale.
Casi che si moltiplicano di anno in anno. Parallelamente al moltiplicarsi delle denunce strumentali da parte del genitore affidatario/collocatario contro l’altro.
Nell’80% delle situazioni di omissione infatti, il padre inadempiente lamenta – oltre al depauperamento legale – il ricatto illegale da cui non esiste difesa: ovvero la “concessione” a frequentare il figlio solo in cambio di laute mance extra sentenza.
E quando al posto della mancia arrivavano i carabinieri, scatta immediata la ritorsione: denuncia strumentale di maltrattamenti o abuso sotto l’insegna “il bambino ha raccontato che………”. Che la macchina giudiziaria anziché sanzionare utilizza per stritolare ulteriormente la relazione figlio/genitore bersaglio, a tutto vantaggio dei professionisti del circuito integrato.
Innegabilmente c’è chi, previdente e ben informato, provvede per tempo a mettere al sicuro beni e risorse.
Indignarsi è superfluo: sarebbe più utile domandarsi perché padri disponibili in qualunque momento a spendere fortune per i propri figli, arrivano in tribunale improvvisamente spilorci e nullatenenti. E prendere atto che la frattura di coppia non può continuare a tradursi in una “punizione” che condanna un padre incolpevole all’ indigenza, oltreché alla separazione dai figli.
Di tutto ciò, ormai, c’è cognizione diffusa.
Si sta infatti consolidando un fenomeno nuovo: i giovani in procinto di sposarsi o diventare padri difficilmente risultano intestatari di un bene immobiliare/patrimoniale, anche quando la condizione della famiglia di origine lo consentirebbe.
La legge sull’affido condiviso.
Quale impatto ha avuto la nuova normativa dell’affido condiviso in questo scenario? Ad oggi nessuno
A prescindere da alcune ambiguità tecniche presenti nel testo, il principio della Bigenitorialità è rimasto tale: l’applicazione è solo formale.
Dalla documentazione giudiziaria esaminata si rileva che, pur leggermente modificato l’approccio degli operatori, si continua a privilegiare l’interesse dell’adulto sul piano patrimoniale ed economico. Il percorso legale continua a sollecitare l’antagonismo tra i genitori separandi anziché potenziare un’autentica collaborazione nel primario interesse del figlio, come il principio ispiratore della legge esige.
Sciatteria mentale degli operatori, nonostante il potere che la legge conferisce loro? Oppure una precisa volontà di mantenere inalterate le rendite parassitarie?
Una riforma sbandierata come rivoluzionaria è oggi colpevolmente inapplicata in primis dai magistrati al punto che sono stati presentati in Parlamento progetti di legge per la modifica della modifica. Ma è davvero necessario?
Un autorevole letterato ha scritto che è meglio una pessima legge applicata da giudici eccellenti, piuttosto che una legge eccellente in mano a giudici pessimi.
Per i genitori già separati dai figli equivale ad un raggiro, che aumenterà ulteriormente lo scollamento tra cittadini ed istituzioni politiche e giudiziarie.
Per quelli che si avviano alla separazione, più battaglieri, equivale ad affilare le armi facendo proprie quelle fin qui utilizzate da una sola parte. Le accuse diventeranno reciproche: la cronaca offre purtroppo argomenti convincenti per colpire quel fronte materno che finora sembrava immune da qualunque attacco.
I figli continueranno ad essere le vittime sacrificali, oltreché strumenti di guerra.
Il risvolto futuro.
Gli adolescenti di oggi, cresciuti in ambienti governati perlopiù al femminile (baby-sitter, educatrice, maestra, insegnante, pediatra, catechista ecc.), sono totalmente alieni dal senso di colpa che ha marchiato la vita dei loro padri e dei loro nonni travolti dalla rivoluzione femminista. Non si sentono affatto in debito nei confronti del genere femminile. Anzi.
Depositari di diritti indiscussi e paritetici, sono estranei al senso del dovere e protezione che nella società patriarcale distingueva il ruolo maschile. Percepiscono rapidamente come le azioni positive promosse dalla politica delle cosiddette “Pari Opportunità” altro non sono che una discriminazione contro il maschio, e reagiscono di conseguenza.
Omologati al consumo impulsivo e narcisistico, non c’è più spazio nel loro mondo alla mistica del lavoro e dell’accumulo: il tempo libero ed il divertimento hanno ormai una valenza esistenziale.
L’esperienza vissuta dai figli della separazione li ha già addestrati ad un sistema che, anziché valorizzare le responsabilità paterne ne disincentiva l’assunzione. Dopo essere stati vittime di quel sistema come figli, difficilmente saranno disposti a diventarlo come padri.
La massiccia disgregazione familiare degli ultimi venti anni, e dei valori connessi, ha avuto l’esito – poco considerato – di esaurire anche le risorse capitalizzate dalle generazioni del boom economico
La flessibilità lavorativa che si va affermando azzera il mito del “posto fisso”, mentre i costi abitativi sono quadruplicati: a stento una famiglia appartenente alle classe media e medio/bassa, può farvi fronte senza un pregresso risparmio.
Le famiglie separate del futuro imminente saranno sicuramente più povere, ed i loro figli più soli.
I futuri padri, senza stipendio fisso, con occupazioni flessibili, sprovvisti di proprietà, non saranno più ricattabili, e certo non si affanneranno ad elemosinare la salvaguardia di un ruolo genitoriale in disuso.
Orfani di un modello cui riferirsi poiché già cresciuti in una società senza padri, saranno i primi a scappare di fronte alle difficoltà
L’assegno di mantenimento, oggi principale rivendicazione femminile, sparirà dal vocabolario forense
Le future madri dovranno contare solo su se stesse: lo Stato Sociale tende ormai a limitare l’elargizione di benefici economici ad personam. Si estende piuttosto il controllo ed il dislocamento dei bambini da una famiglia presunta “inidonea” ad una “casa famiglia” concretamente sovvenzionata, secondo criteri di valutazione troppo spesso lontani dalle reali esigenze dei bambini.
Che continueranno a pagare per tutti.
Si può concludere che una legge, ancorché lacunosa e disattesa e per quanto perfettibile, non è sufficiente.
Per arrestare il disastro sociale in atto, i padri, le madri, le famiglie non hanno bisogno di essere messi sotto accusa; ma di essere aiutati. Occorre pertanto che le Istituzioni preposte al Sociale si voltino ad esaminare con coraggio le macerie disseminate lungo il cammino fin qui fatto, e si orientino alla svelta in direzione di un nuovo percorso culturale.
Il principio della Bigenitorialità, nell’accezione di diritto inalienabile del bambino, per potersi effettivamente affermare deve essere coniugato al ripristino ed al sostegno della funzione paterna. Che automaticamente restituisce dignità e valore al ruolo materno.
I padri che hanno marciato per anni davanti al Parlamento quando chiedevano una nuova disciplina legislativa, e che di nuovo si mobilitano per rivendicare il loro ruolo, sono probabilmente l’ultima scheggia di una generazione ancora consapevole delle proprie responsabilità.
Bisogna ricominciare da qui.
Elvia Ficarra
Responsabile Osservatorio Famiglie Separate - GESEF
Roma, 19 marzo 2010