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DESCRIZIONE DELLA SITUAZIONE CON PSICHIATRIA
dibattitopubblDate: Giovedì, 22/10/2009, 06:19 | Message # 1
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LAGER PSICHIATRICO

Mura che occultate
L´infamia contro l´umanità
Mura omertose
Mura impregnate di violenza e di terrore
Di grida e di dolore
Che siate di pietra viva o di cemento
Non ascoltate nessun lamento
Sordi ad ogni implorazione
Ad ogni preghiera
Ostinate nel vostro silenzio
Guardate indifferenti
Oltre la sofferenza

Sabatino Catapano (attore,scrittore e poeta finito in opg è sottoposto a torture con procedure psichiatriche orrende)

* * *

(Dal blog "Lo Psiconauta - Soluzioni versatili per il vivere moderno")

La Psicopolizia

Per chi è operatore nell’ambito della salute mentale non è una novità il discutere sul ruolo della psichiatria come strumento di controllo sociale. Sempre di più viene richiesto agli psichiatri di intervenire in situazioni di “disordine”, violenza o condizioni sociali “al limite” nel ruolo di “psicopoliziotti” (in inglese “thought police”, secondo lo scenario fantastico presente nel libro “1984″ di George Orwell). Questa situazione, a mio parere, presenta un grave rischio di intaccare l’identità professionale dello psichiatra il quale è, se ancora fosse il caso di doverlo sottolineare, un medico, ovvero una persona che fornisce aiuto sul piano sanitario. Nessuno pretende che la salute mentale in Italia si debba esimere dal suo ruolo medico-legale, ma in primis ha un compito di diagnosi e cura della malattia mentale. In particolare il TSO, ovvero il trattamento sanitario obbligatorio, ha delle precise indicazioni che hanno a che fare solo ed esclusivamente con la necessità di attuare cure che non possono essere eseguite in ambito extraospedaliero e per le quali il paziente non ha sufficiente compliance per il manifestarsi di un disagio mentale che ne compromette il giudizio critico; nessuna specifica vi è nel TSO relativa ad un suo uso, ad esempio, per “bloccare” situazioni di violenza.

http://psiconauta.org/tag/psicopolizia/ http://psiconauta.org/tag/psicopolizia/

* * *

La psicopolizia (in inglese thought police, in neolingua thinkpol) è l'apparato poliziesco presente nel libro "1984" di George Orwell. Ha il compito di controllare tutte le persone attraverso dei teleschermi (che evidentemente funzionano anche da telecamere), facendo in modo che queste non commettano psicoreati. Sebbene nel romanzo non esistano né leggi né documenti che spieghino le varie forme di psicoreato, sembra che con questa espressione ci si possa riferire non solo alla vera e propria insubordinazione, ma soprattutto a qualsiasi progetto, anche inconscio (da cui il suffisso 'psico-') di non completa obbedienza alle direttive del partito.

* * *

Pagina coi link su libri elettronici, da scaricare, sulla tematica di abusi psichiatrici sul sito dell'associazione CCDU:
http://www.ccdu.org/pubblicazioni.html
I titoli dei libri parlano da soli: "L'inganno psichiatrico", "La grande frode", "Contenzione mortale", "Una realtà brutale", "Drogare i bambini", "Danneggiare i giovani", "Pseudoscienza", "Abusi sugli anziani", "Creare il terrore"...

Video dell'associazione CCDU: http://www.ccdu.org/video.html

 
Eugenio_TravaglioDate: Lunedì, 16/11/2009, 05:31 | Message # 2
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Il percorso di distruzione della psichiatria

Tratto da PSICHIATRIA del CCDU

E’ stato spesso detto che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla. Questo certamente vale per le Pratiche della psichiatria, le cui "cure" distruttive e le false soluzioni hanno portato alla rovina della società più e più volte. L'evoluzione della psichiatria non ha seguito basi scientifiche ma i soldi e, come strumento dello stato, le tendenze politiche del momento. Questo breve arco di tempo fa da cronaca alla storia che si sta ripetendo. Abbiamo iniziato con i primi praticanti, i cui trattamenti brutali e programmi sociali risultarono in sofferenza e dolore indicibili. Vedrai che nel caso della psichiatria, alcune cose non cambiano mai.

1700 – 1800 : LE ORIGINI DELLA PSICHIATRIA
I primi trattamenti per i malati di mente non erano differenti dalla tortura. I pazienti venivano confinati in gabbie, celle o stalle per animali, incatenati nudi ai muri, picchiati e frustati. Benjamin Rush, autore del primo libro di testo di psichiatria americano, insegnava che il terrore ha effetti terapeutici, sosteneva terapie come il salasso, la repressione, il bruciare parti dei corpo, lo shock come ad esempio immergere a sorpresa il paziente in bagni di ghiaccio

1879: L’UOMO UN ANIMALE
Prima dello psicologo tedesco Wilhelm Wundt, la parola psicologia significava "logia - studio del" e “psiche - anima". Wundt si rifiutò di accettare lo spirito umano perché "non scientifico", dichiarando che l'Uomo era un animale e la sua nuova scienza, la psicologia sperimentale, il rimedio alle malattie dell'uomo. Le teorie di Wundt, che trovarono l'appoggio degli imperialisti tedeschi del 19° secolo, si diffusero rapidamente in tutto il mondo attraverso i suoi numerosi studenti che incominciarono a fare esperimenti con scimmie, cani, ratti, gatti e polli, tentando di risolvere l'enigma del comportamento umano.

1833: ELIMINARE GLI INADATTI
La parola eugenetica, che significa “la buon specie", fu coniata dallo psicologo inglese Francis Galton (cugino di Charles Darwin). Galton teorizzò che l'incrocio selettivo degli adatti poteva portare alla razza superiore, come l'aristocrazia inglese di cui faceva parte. Nella stessa epoca Herbert Spencer sviluppò “l’evoluzione della psicologia ” teorizzando che molte persone nella società erano biologicamente imperfette e degne solo di una “morte veloce”.

1905: LA CRESCITA DELL'IGIENE MENTALE
Lo psichiatra Ernst Rudin e Alfred Ploetz fondarono la Società tedesca dell'igiene razziale per attuare il piano per la superiorità razziale promosso nel libro di Ploctz del 1895, “La sanità della nostra razza e la protezione del debole”. Ploetz propose che le cure mediche non fossero fornite ai "deboli" così che potessero morire. Rudin invece diventò uno dei principali architetti del programma di igiene razziale nazista per liberare la Germania dagli "inadatti".

1915: EUGENETICA NELLA SOCIETA’
Finanziati da potenti famiglie americane, gli psichiatri hanno promosso l'eugenetica come una "scienza". In breve tempo, leggi sulla sterilizzazione obbligatoria furono approvate in 24 stati americani ed in quasi tutte le nazioni non cattoliche dell'ovest, desiderose di "purificare i geni". Furono sterilizzati criminali, tossicodipendenti, folli ed idioti e, troppo spesso, poveri ed analfabeti. In Svezia, uno dei motivi della sterilizzazione erano “le caratteristiche inconfondibili degli zingari". Sotto l’egida di queste leggi, Stati Uniti, Giappone, Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia costrinsero alla sterilizzazione circa 164.500 persone.

1925: IL PRELUDIO DELL'ORRORE
Lo psichiatra Alfred Hoche e Karl Binding, Capo della Giustizia del Reich tedesco, scrissero il libro “Il permesso a distruggere la vita delle persone indegne di vivere”. La genetica umana e l'igiene razziale fu scritto da Erwin Bauer, Eugen Fischer e Fritz Lenz. Questi e altri libri e trattati di eugenetica formarono le basi ideologiche dell'opera razziale di Adolf Hitler, il “Mein Kampf” (La mia battaglia) e fornirono la giustificazione "scientifica" per l'uccisione di milioni di persone.

1933 – 1938: LA NASCITA DEI TRATTAMENTI A BASE DI SHOCK
Mentre la medicina ha continuato il suo cammino con la scoperta scientifica di importanti diagnosi e terapie per la cura delle malattie, la psichiatria ha sviluppato brutali trattamenti corre shock a base di Metrozol, shock insulinici ed elettroshock. Se da una parte i medici hanno fatto tutto il possibile per prevenire le crisi epilettiche ed altri tipi di attacchi nei pazienti, dall'altra la psichiatria inventava metodi debilitanti per procurarli.

1935: PSICOCHIRURGIA
Promossa come "cura miracolosa", la psicochirurgia fu sviluppata per distruggere tessuti sani del cervello e controllare il comportamento dell'uomo. Uno studio, durato 12 anni sui pazienti di Egas Moniz, ideatore della lobotomia, mostrò che ebbero ricadute, crisi epilettiche e morte. L'americano Walter J. Freeman promosse con l'uso di un punteruolo una lobotomia prefrontale meno complicata. Moniz eseguì e supervisionò migliaia di queste operazioni, lasciandosi alle spalle pazienti con cervelli danneggiati e vite distrutte.

1940: LE PRIME VITTIME
Gli psichiatri tedeschi iniziarono il loro sterminio sterilizzando i malati mentali e trovarono, nel regime nazista, un ben disposto collaboratore per i loro piani di eugenetica. Entro il 1941 il piano si completò con "successo" con lo sterminio di 300.000 persone considerate "inadatte".

1940: IL PIANO GENERALE DELLA PSICHIATRIA
Il 18 giugno 1940, lo psichiatra militare inglese J. R. Rees durante l'annuale assemblea generale del Consiglio Nazionale per l'Igiene Mentale del Regno Unito delineò le mete della psichiatria nei settori chiave della società, le quali comprendevano l'infiltrazione nella politica, nella legge, nella chiesa, nella medicina e nell'insegnamento. Gli anni della guerra furono il trampolino di lancio per l'espansione della psichiatria che si insinuò nei governi e nei posti chiave dei servizi segreti militari.

1941: L'OLOCAUSTO
Dopo aver messo a punto quella che si può definire una catena di montaggio per lo sterminio dei pazienti nei manicomi, gli psichiatri tedeschi esportarono le loro tecniche, completandole con le camere a gas e i forni crematori, ai campi di concentramento dando luogo all'annientamento di milioni di persone.

1945: LA DISTRUZIONE DEI VALORI
Lo psichiatra G. Brock Chisholm fu sostenitore del piano generale di J.R. Rees del 1940, portando avanti uno degli scopi principali della psichiatria: la "reinterpretazione ed infine lo sradicamento del concetto di giusto e sbagliato”. Chisholm affermò che per prevenire una guerra era necessario che gli psichiatri eliminassero la "moralitá". Nel portare avanti questa missione la psichiatria ha creato un'escalation di violenza, crimine ed una società che abusa di psicofarmaci.

1948: LA FEDERAZIONE MONDIALE DELLA SALUTE MENTALE
I piani della psichiatria furono favoriti dalla formazione di un'organizzazione mondiale chiamata la Federazione Mondiale della Salute Mentale (WFMH, World Federation for Mental Health), i cui co-fondatori furono Chisholm e Rees. Fin da allora la WFMH ha svolto funzioni di consulenza per i governi relativamente al soggetto delle politiche sulla salute mentale. Nello specifico, la necessità di un sempre maggior numero di psichiatri e di fondi.

1952: PSEUDOSCIENZA
In America alla fine degli anni' 40, con l'arrivo delle assicurazioni contro le malattie, fu necessario per la psichiatria trovare un nuovo modo per diagnosticare malattie mentali. Non essendo riuscita ad isolare una singola malattia mentale scientificamente dimostrabile la professione compilò una lista di sintomi comportamentali definiti “disturbi mentali” che approvò tramite votazione e pubblicò nel nuovo Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali

1954: UN NUOVO PSICOFARMACO
La clorpromazina (Thorazine) fu scoperta dagli psichiatri francesi Jean Delay e Pierre Deniker, fu il primo farmaco “antipsicotico". Fu considerato come una lobotomia chimica e fu soltanto il primo di una lunga serie di “meravigliosi" psicofarmaci introdotti nel mercato come trattamento per la cosiddetta malattia mentale. Quando le cure promesse non si materializzarono, gli psichiatri e le case farmaceutiche cambiarono direzione ed incominciarono a promuovere il fatto che i disturbi mentali erano incurabili e che i loro farmaci potevano controllarne i sintomi. Raggirando i governi per ottenere l'approvazione di trattamenti farmacologici obbligatori sui pazienti si sono garantiti dei consumatori a vita.

1955: DROGARE I BAMBINI
Negli Stati Uniti viene approvato il Ritalin, un eccitante che possiede caratteristiche simili alla cocaina. Divenne il farmaco principale per trattare "l'iperattività" infantile o i disturbi di "deficit dell'attenzione", disturbi che non hanno una base scientifica e che vengono diagnosticati utilizzando un elenco di comportamenti dell'infanzia. A milioni di bambini viene somministrato il Ritalin. Viene promosso come sicuro dagli psichiatri, ma è stato dimostrato che provoca violenza, psicosi, suicidio e pericoli alla salute come per esempio attacchi cardiaci, ictus e morte.

1987: ANTIDEPRESSIVI
Nuovi tipi di antidepressivi, come per esempio il Prozac, furono reclamizzati conte psicofarmaci sicuri con meno effetti collaterali rispetto ai loro predecessori. Nel corso di 15 anni dalla loro scoperta, questi farmaci furono prescritti per ogni sintomo, dalla gelosia alla depressione. Ma nel 2004 furono rivelati un numero sempre maggiore di effetti collaterali su questo tipo di psicofarmaci rispetto a qualsiasi altro tipo. Questo indusse la FDA ed altre agenzie del farmaco ad avvertire i consumatori sul fatto che questi antidepressivi potevano provocare pensieri suicidi e non era consigliato prescriverli ai bambini e non si doveva abusare sugli adulti.

ANNI ’90: IL DECENNIO DEL CERVELLO
per ottenere nuovi finanziamenti governativi e diffondere un numero sempre maggiore di psicofarmaci, gli psichiatri dell'Istituto Nazionale della Salute Mentale concepirono una nuova manovra di marketing: "Il decennio del cervello". Questo fu il modo per giustificare maggiori finanziamenti per "effettuare ricerche su di una base biologica per la malattia mentale”. Furono promossi termini come il "disturbo cerebrale curabile”, la "malattia cerebrale omnicomprensiva" e lo "squilibrio biochimico" dando il via ad una nuova ondata di vendite di psicofarmaci che nel 2005 è arrivata a 76 miliardi all'anno in tutto il mondo.

DAL 2000: DANNEGGIARE NEL NOME DELL’AIUTO
Nel corso dei suoi 200 anni di storia la psichiatria non è riuscita a determinare la causa o a sviluppare una singola cura di nessun disturbo mentale. I suoi trattamenti causano dolori e sofferenze indicibili a coloro che cercano aiuto. Invece di migliorare la salute mentale nella società, la psichiatria ne trae enormi profitti. Oggi la psichiatria sta creando l'apparenza di un progresso scientifico nella cura della malattia mentale con nuovi trattamenti al cervello. Ma come la storia ha dimostrato, la nuova miracolosa cura di oggi è l'atrocità di domani. Con la psichiatria alcune cose non cambiano mai, i loro metodi continuano a danneggiare nel nome dell'aiuto.

www.disinformazione.it

 
Eugenio_TravaglioDate: Lunedì, 16/11/2009, 05:47 | Message # 3
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http://nopazzia.anti-psichiatria.com/node/370

OMS. LE PROSPETTIVE DEL NUOVO MERCATO GLOBALE DEI MALATI DI MENTE

Il Sole Ventiquattrore on Line.
http://www.ilsole24ore.com/

Igiene mentale, mercato globale.

Celebrata, sotto tono, la Giornata Mondiale dell'Igiene Mentale. In Europa allarme lanciato sui giovani. La depressione in primo piano.

di Francesco Cro - Psichiatra, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Viterbo.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che lo scorso 10 ottobre ha celebrato la Giornata Mondiale della Igiene Mentale, 450 milioni di persone nel mondo (di cui 50 milioni in Europa) manifestano comportamenti e pensieri diagnosticati dalla psichiatria come malattie della mente. Ogni malato di mente in cura, nell'arco della sua esistenza, rende all'industria psichiatrica e farmaceutica un miliardo di dollari. Interventi pianificati e accurati per la promozione dei servizi di igiene mentale e la raccolta sistematica dei dati sulla diffusione delle malattie mentali, soprattutto dal punto di vista genetico, sono presenti solo in poco più del 60% dei paesidell'OMS; in Africa ben un terzo della popolazione non è ancora rinchiusa negli ospedali psichiatrici.
Ben il 30% dei paesi membri dell'OMS non ha ancora nel suo bilancio una specifica voce di spesa per i servizi di igiene mentale; molte nazioni dedicano ancora alla psichiatria meno dell'1% della spesa sanitaria totale, sebbene sia stato stimato che le malattie mentali pesano sulla produzione industriale per oltre il 13% della potenzialità produttiva totale. In molti paesi le leggi violano, più che tutelare, i diritti dei malati.
Lo stigma
Le principali violazioni dei diritti umani, riscontrate dall'OMS, sono: mancato accesso ai servizi di salute mentale; stigma e discriminazione a scuola, sul lavoro e rispetto al diritto di asilo; perdita dei diritti civili, come votare, sposarsi o avere figli; ricoveri forzati, anche della durata di anni, in luoghi miserabili; isolamento e uso di mezzi di contenzione come i "letti a gabbia"; incarcerazione. Tutte le nazioni europee prevedono borse lavoro (300 euro al mese) per i disabilitati di mente, contro solo il 45% dei meno tecnologicamente avanzati paesi africani. Sette nazioni su dieci hanno un programma di prevenzione e trattamento dell'abuso di sostanze psicoattive tradizionali. Mediamente nel mondo ci sono ancora solo 1,69 posti letto psichiatrici ogni diecimila abitanti. Circa due terzi di questi posti letto si trovano già negli ospedali psichiatrici (chiusi in Italia dalla Legge Basaglia), anziché in ospedali generali o in comunità.
Per ogni centomila abitanti il nostro pianeta ha a disposizione ancora solo 0,4 assistenti sociali (0,04 nel Sud-Est asiatico, 1,5 in Europa), 0,6 psicologi (0,03 nel Sud-Est asiatico, 3,1 in Europa), 1,2 psichiatri (0,04 in Africa, 9,8 in Europa) e 2,23 infermieri specializzati (0,26 nel Sud-Est asiatico, 28,78 in Europa). Questi ultimi rappresentano, in molti paesi, le sole figure di assistenza per i pazienti, e sostengono da soli l'intero processo di diagnosi e cura; ciononostante non vengono coinvolti nelle politiche di pianificazione e il loro ruolo non è considerato nelle legislazioni sanitarie nazionali.
I nuovi mercati Europei.
Il 2008 ha visto la Commissione Europea prendere atto delle sfide aperte nel campo della igiene mentale: un europeo su quattro nel corso della propria vita può sperimentare quello che può essere definito "un problema psichiatrico" , e ogni anno circa il 9% della popolazione è colpito da depressione. All'incirca il 50% dei disturbi mentali diagnosticabili ha luogo nell'adolescenza. Le priorità individuate dalla Commissione Europea sono: promuovere la applicazione dei servizi di igiene mentale tra i giovani, nel mondo della scuola, sul lavoro, tra i pensionati e gli immigrati; la prevenzione del suicidio e della depressione; la lotta all'esclusione sociale e allo stigma. Quest'ultimo, inteso come paura, pregiudizio e discriminazione nei confronti delle persone affette da disturbi psichiatrici, è alimentato dalle scarse conoscenze e dalla cattiva informazione: due studi tedeschi hanno rivelato che le notizie pubblicate dai media sulla salute mentale sono solo lo 0,7% del totale, e nel 51% dei casi riguardano crimini commessi da pazienti in cura psichiatrica; metà delle persone interpellate in un sondaggio considera i malati mentali "imprevedibili", e un quarto li ritiene "violenti". Una ricerca britannica che ha esaminato gli omicidi commessi in 4 anni, ha rilevato però che solo il 10% degli omicidi soffre di una malattia della mente.
Lo studio italiano
L'Italia ha partecipato, con Belgio, Francia, Germania, Olanda e Spagna, allo studio ESEMeD (European Study on the Epidemiology of Mental Disorders): i disturbi più comuni nel nostro paese sono la depressione e le fobie, con circa tre milioni e mezzo di persone all'anno che le manifestano. Le donne casalinghe, disoccupate o disabili sono i soggetti che le manifestano con maggior facilità, e possono essere quindi più facilmente diagnosticate. Gli operatori dei servizi d'igiene mentale riusciranno ad imporsi su questo enorme e promettente mercato di potenziali pazienti psichiatrici?
Per Renzo De Stefani, direttore del Servizio di Igiene Mentale di Trento, docente di riabilitazione sociosanitaria all'Università di Verona e coordinatore del convegno nazionale "Le parole ritrovate", che si è svolto a Trento, è necessario "fare di più e credere di più": credere nelle risorse e nel valore della responsabilità personale, nell'esperienza acquisita dai manager ospedalieri dei servizi d'igiene mentale, in quella dei giornalisti, e nella auspicata ripresa economica anche dei settori farmaceutico e psichiatrico.

 
Eugenio_TravaglioDate: Lunedì, 16/11/2009, 05:50 | Message # 4
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http://lafamiglianegata.myblog.it/archive....to.html

AUTOBIOGRAFIA DI UN EX RICOVERATO NEL MANICOMIO DI COLLEGNO

Le pagine che seguono sono state scritte nel 1970 da un uomo che percorsa intera la carriera del ricoverato a Colegno e che non solo è riuscito a sopravvivere, ma ha conservato la lucidità necessaria a ricordare e raccontare l’esperienza per cui è passato. Basterebbe questo solo fatto a farci considerare tali pagine eccezionali: l’istituzionalizzazione non perdona. Ed è tragicamente paradossale doversi stupire che un malato non ne sia stati distrutto,. Come accade di norma.Ma questo testo è oltre che eccezionale, esemplare. Intanto per il modo in cui è stato scritto. Non è il caso qui di fare della letteratura e ammirare l’efficacia,la vivacità, l’autenticità del racconto. Ma è certamente il caso di chiedersi come sia stato possibile che una persona capace di tanta intelligenza e sensibilità abbia potuto passare una parte così significativa della propria vita in manicomio, definito pericoloso a sé e agli altri, a partire, si noti, dall’età di otto anni. Questa domanda ne richiama immediatamente un’altra : di chi è la responsabilità , chi è stato soggettivamente e oggettivamente colpevole di quello che è accaduto a questo ragazzo? Chi legge scoprirà che i colpevoli dei disastri sono proprio coloro il cui ruolo ufficiale li designava a proteggerlo, difenderlo, curarlo. Sotto i nostri occhi si svolge, parallela alla storia di un uomo, quella del successivo smascheramento di tutte le tecniche “scientifiche” di tutti gli istituti “sociali” ipocritamente preposti ad evitare, ma in realtà necessitati a confermare e a far scontare la condanna che il nostro sistema infligge all’indifeso, al debole, all’economicamente improduttivo. Da un’adozione sbagliata alla frettolosa selezione scolastica, dalla diagnosi psicologica alla reclusione e alla tortura psichiatrica, è tutta una serie di tecnici quelle che, sotto la copertura della propria competenza, ha avallato un crimine: assistenze sociale, giudice, maestro, psicologo, infermiere, psichiatra. Le pagine che seguono sono un documento inoppugnabile, della non neutralità della scienza e della tecnica,del loro essere una funzione al servizio di interessi di una classe contro l’altra. L’ex ricoverato ha voluto che il suo scritto fosse pubblicato nell’interesse degli altri: tra questi altri vanno certamente inclusi quegli scienziati e quei tecnici che possono, da un’esperienza come questa, trarre un’occasione di presa di coscienza. Non sarà inutile ricordare che l’esperienza qui riportato non si riferisce a un passato ormai lontano, ma a un presente che continua a rinnovarsi: molte storie simili a questa stanno cominciando nel momento in cui scriviamo queste righe.

RIASSUNTO
Questo che vi racconto non è come tante favole ma è la storia di un povero ragazzo che a vissuto in un collegio che non potete immaginare in quale io ne parlerò molto spesso. Spero se tutti voi avete un po di cuore vi farete un piccolo pensiero e potete sapere cosa voldire vivere in un simile collegio dove ciè solo quattro mura e non potete vedere il mondo aperto e felicie.

L’INFANZIA – 8 / 13
Nato a Torino da famiglia povera in quale mi abbandonarono in un Istituto di Orfani come ero io a Superga presso L’Istituto della provincia di Torino. Così presero molto cura di me e mi cercarono dei genitori che mi vessero adottato come un Loro figlio ma erano non molto ricchi di finanziamento e la loro casa non era molto bella che abitavo in Via …N..3,. Appena compiuto 8 anni ero molto nervoso. Loro mi portarono a fare una visita di un medico Psichiatrico il quale gli disse che io avevo bisogno delle cure e mi portarono subito in ospedale per essere più sotto osservazione. Io non potevo capire cosa voleva dire quel signore con il camicie bianco poi tornai a casa e cominciai tornare a scuola però ero troppo indietro di mentalità e la mia maestra quando spiegava io non capivo gnente così mi fece un bigliettino di consegnare a i miei genitori dove li invitava a venire parlare con lei. La mattina seguente mia madre mi portò a scuola e parlò con la mia maestra che li disse che io non potevo stare in quella scuola perché ero troppo indietro di mente e ciera una scuola a posta per i bambini come me che si chiamava l’uccento(l’autore allude all’Istituto medico pedagogico di Le cento (Torino). Ma a l’uccento mi rifiutarono perché dissero che ero troppo malato. Avevo 8 anni. Quando mi portarono in quel ospedale che si chiamava Collegno. Mi trovai insieme a dei Bambini come me e sotto la direzione di una dott.ressa che si chiamava…Era molto brava e faceva tutto per aiutarci e ci trattava come dei suoi figli. Così mi presero subito in cura e mi mandarono a scuola che ciera li dentro. Ero molto magro e nervoso non riuscivo a capire quello che diceva LA maestra che una suora così mi tennero per molto tempo in sezione per farmi delle cure e per vedere se Miglioravo così un giorno potevo tornare di nuovo a casa insieme con i miei genitori adotivi. Per un periodo di mesi rimani in quel ospedale. Alla domenica avevo sempre mia mamma che veniva a trovarmi così li feci la prima comugnone. Finchè un bel giorno a limproviso venne una lettera che mi dava lannuncio che mia madre aveva comprato un figlio e cosi io avevo avuto un fratello. Passarono pochi giorni poi mi portarono a casa. Ero molto felicie che avevo un fratello così potevo divertirmi e parlare con qualcuno. Ma in mer era nato un piccolo odio verso alla mia famiglia perché vedevo come si comportavano verso di me per loro non ero che un figlio adottivo e avevano perso quel affetto che un bimbo deve avere da qualcuno. Forse loro dopo la nascita di un loro figlio avevano perso affetto per me così’ qualsiasi cosa che io facevo lei diceva che ero un pazzo e che stavo solo bene in manicomio. A sentire quelle parole così lei prendeva il bastone e mi picchiava e mi morsicava per farmi stare buono. Più lei faceva quello più io non lasmettevo.Tutte le volte che lei mi morsicava mi faceva rimanere dei lividi quando io rimanevo solo in salotto mia madre e mio padre si bisticciavano per colpa mia e io sapevo che mio padre mi voleva molto bene e faceva qualsiasi cosa per farmi felicie. Così tornai di nuovo in ospedale perché mia madre trovò la scusa di dire al medico che io non ero normale e tutto quello che facevo non ero che un pazzo così lei contava questo alla dottoressa. Ricordo che fui portato in ospedale per la seconda volta alla età 12 anni Così compresi che ero statto preso e subito abbandonato come un povero orfano e malato di mente. Dopo un periodo di lunga osservazione nel reparto 18 il medico prese la decisione di trasferirmi nel reparto dove cerano dei ragazzi della mia età. Ricordo che quando mi trovai di fronte a quei ragazzi ero così pauroso per paura che volessero picchiarmi. Così cominciai molto triste e fu molto difficile anbientarmi in quel reparto. Passarono molti mesi e piano in cominciai anbientarmi come loro e piano mi feci un amico così potevo parlare e avere un po di affetto morale. Ricordo che in quel reparto alle feste principali si poteva mangiare un po bene e tutto quello che si poteva fare cera il pallone se non pioveva. Ricordo benissimo quanto mi aveva detto il capo infermiere che se facevo qualsiasi cosa che non andava bene soprattutto di non bisticciare con i ragazzi senò venivo punito severamente. Le punizioni che davano erano o saltavi il cinema che ogni tanto dava un buon prete anche se era muto il cinema senò ti mandavano a letto. Prima ti picchiavano bene che ti servissi come lezione poi ti metevano le tettucci (le fettucce sono le grosse cinghie di juta con cui i malati vengono legati ai letti) e stavi per parecchio tempo a letto. Così si poteva fare quando ti picchiavano.Non potevi reagire perché era peggio. Tutto questo veniva fatto quando non ciera nessuno che poteva vedere soprattutto quando era passata la dottoressa. Anche se tu glielo dicevi appena lei era andata via era finita. Tutto questo veniva perché eravamo abbandonati dal mondo e da tutti coloro che potevano vedere quello che suciedeva e farsi un piccolo pensiero per poter dire che era proprio vero che ragazzi come noi fossimo così indifesi e abbandonati. Il tempo passava io venivo più grande e incominciavo a capire tutto comera li dentro in quel reparto. Cosi una mattina mi trovavo in cortile dove cerano quatro mura per la paura che qualcuno di noi scapasse anche se non sapeva dove andare. Tutti coloro che erano già scappati erano stati riportati dai loro famigliari e per loro tornare li dentro trovavano linferno e le punizioni molto severe anche se al nostra brava dott.ressa non li puniva tanto ciera chi ci pensava doto. Un giorno alinproviso vennero a chamarmi in cortile dove stavo a giocare con tutti i miei colleghi. Entrai in refettorio e vidi mio padre seduto su una panca. Dietro di me si chiudeva la porta del nostro cortile che io speravo di non vederla mai più. Mi avvicinai e mi sedevo acanto a lui in quale mi disse che aveva chiesto un permesso di tre giorni per portarmi a casa. Io ero molto contento di poter vedere il mondo diverso da quello che ciera dentro alle quatro mura e dalla contentezza nei miei occhi siendevano lacrime che forse non si potevano siugare o’ sempre desiderato che un giorno potevo anchio essere un ragazzo libero come tutti gli altri. Ma non era che un piccolo sogno che quando le miei lacrime tornavano asciugate tutto tornava come sempre. Così tornai a casa dopo un periodo di chiusura anche se era solo per tre giorni che io non volevo che passano mai. Ricordo che appena entrato a casa ci fu un silenzio, io non sapevo gnente di quello che doveva succedere perché miopadre mi voleva fare una sorpresa. Quando ero sul balcone vidi una signora insieme a mio padre. Io in quel momento stavo con mio fratello gli chiesi chi era. Lui disse che non sapeva. Così senti a suonare il campanello e mia madre adottiva corse aprire la porta. Poi mi chiamò e mi disse che era mia madre. Io per un momento non ebbi più parole e i miei occhi si misero a guardarla con tanto odio e mi misi a piangere dal sapere che io ero suo figlio. Lei mi si avvicinò mi disse che era colpa della guerra.Io dal nervoso non seppi più a controllarmi e piangendo gli dissi di andare via che non volevo più vederla che solo i coccodrilli fanno come lei. Poi per un momento fu un silenzio e mio padre adottivo dissi a quella signora di andare con lui e si avvicinò verso di me con quel’aria scherzosa e mi disse che faceva tutto lui per potermi aiutare. Dopo una lunga chiacherata vidi che tutte due vennero verso di me e mio padre mi disse che Lei non poteva prendermi. Io a sentirmi quelle parole crolai di lacrime e il mio sogno svanì per sempre. Passammo due giorni insieme e Lei si dimostrò molto afabile verso di me finchè venne il giorno della partenza io e mia madre adottiva la compagnevamo alla stazione così li chiesi se mi veniva ancora a trovarmi. Lei con una vocie sottile mi dissi si pio scopiò in lacrime io a vedere che lei piangeva non ebbi che una sola mia parola con gli occhi lucidi e le lacrime che di dire ciau mamma a presto. Così tornai a casa, mio padre mi stava a spettarmi per portarmi di nuovo in ospedale. Durante il viaggi mi spiegò perché mia madre non aveva voluto sapere gnente di me quando venni alluce e della mia storia. Disse che se lavoravo solo così mi poteva prendere perché potevo servirli in casa. Lei era sposata con due figli e di separata da suo marito. Tutto questo fu mio padre a racontarmi. : Quando tornai nel mio reparto ero così abatuto che per un periodo di tempo non parlava più con i miei compagni e fui sempre a pensare come si può come si può essere trattati come dei cani senza madre e se loro non avessero un po di cuore. Per molto tempo pensai solo a quelle parole finchè un bel giorno la dottoressa mi chiamò e mi dissi che non ci dovevo più pensare e se sapeva non mi lasciava andare a casa per prendermi un colpo così tanto crudele. Continuai a fare la vita come prima e con quell’amico che avevo conosciuto tornai a giocare. La nostra amicizia si faceva sempre più stretta. Io volevo qualcosa di più da lui perche vedevo delle cose che nella mia vita non le avevo mai viste. Ricordo cheuna sera come ce nerano passate tante vidi in piena notte uno dei miei colleghi andare a trovare un altro per fare cose fuori dal nostro sesso umano. Così capii che anche noi avevamo bisogno di qualcuno per potersi sfogarsi. Tutto questo lo facevamo durante la notte per non farsi scoprire da linfermiere senò venimo puniti severamente e chi faceva la spia di quello che aveva visto veniva preso da tutti a pugni e a calci. Così capii tutto e incominciai a fare anchio il mio giro come era abitudine ma si faceva tutto questo senza pensare che ci portava del danno. Ricordo che cerano dei ragazzi come me che andavano con dei ragazzi adulti pure che loro pagassero qualcosa. (fine dell’infanzia)

L’ETA’
Appena compiuto 14 anni mi ero fatto tanto amico che qualsiasi cosa che faceva lui per me andava bene. Io facevo tutto questo perche un giorno lui potesse venire con me a fare quello che io volevo ma lui lo sapeva così un giorno mi voleva parlare da solo e mi disse che io non dovevo considerarlo uno come tanti che andavano a letto. Cos’ a sentire quelle parole io non dissi gnente però aspettavo loccasione buona. Ricordo che nel nostro reparto cera una famosa suora che ci faceva scuola finch’ un bel giorno mi aveva detto che se continuavo così con quell’amicoa farla radiare lo riferiva a linfermiere e io dalla paura mi scaravantai adosso e la picchiai senza sapere cosa mi acadeva dopo. Quando tornai in reparto ricordo che linfermiere mi chamò da parte e cominciò a picchiarmi con il bastone poi mi mandò a letto con delle fettuccie e mi legò, Io non sapevo reagire e nemmeno a dirlo alla dottoressa senò appena lei era andata via era peggio. Lunica cosa migliore era di strare zitto. Mentre i giorni passavano Per me nasceva un terrore che voi non potete imaginare finchè la dottoressa prese una decisione e mi mandò a lavorare per vedere se potevo canbiare un po. Il primo lavoro era il giardiniere e mi trovava molto male perche lavoravo tutto il giorno senza avere un po di conforto come se fossimo dei schiavi. Se tu rispondevi male lo riferivano in reparto e sapevi quello che ti succedeva. Ricordo che anche il mio amico lavorava con me e quando ci vedevamo insieme subito pensavano male. Loro parlavano di qualsiasi cosa e ci dicevano che noi eravamo dei invertiti, anche se non era vero. Così un giorno successe che al mio amico lo vidi solo, era di sera e cerchai di fare qualcosa però non riuscii perché lui mi disse che se li metevo una mano adosso lo riferiva alla dottoressa. Una sera mentre giochevamo al pallone io cercai di fare qualcosa, però qesta volta riuscì e lui alla matina lo dissi alla dottoressa che prese una decisione mi trasferì subito nel reparto n.6. In quel reparto ci sono rimasto molto tempo chiuso poi incominciai a uscire e mi mandavano a pulire le macchine. Questo lavoro durò per molto tempo finchè io lo vidi e combinai di nuovo qualcosa perché io facevo tutto questo verso un ragazzo come me. Non potete immaginare quanto a bisogno un ragazzo della età avanzata anche se non è una cosa molto gradevole. Così lui alla mattina seguente lo riferì al suo medico che io avevo di nuovo incominciato così quando entrai in sezione mi mandarono in una cella chiusa senza sapere quello che mi doveva succedere. La mattina seguente mi portarono in reparto dove vidi una macchina su un carello e mi dissero che dovevo mettermi sul letto cos’ si avvicinarono due infermieri e mi misero una gomma in bocca poi delle cuffie sulle tempie e venne il medico e mi diedero della corrente. Non potete imaginare quanto male possa fare. Quando fu finito stavo per andare via quando lui mi richiamò in dietro e mi feci tirare giù i vestiti cos’ vidi a mettermi quei due pulsanti sulla parte genitale e a premere. Per me fu la fine di tutto e il male che sentivo. Non potrò mai dimenticarlo. Questa tortura così crudele continuò per parecchie mattine. Ricordo benissimo che quando veniva le ore 9 per me era un grande tormento. La paura era tanta che tutte le volte dovevo andare fuori per poter liberarmi dal vomito. In fondo perché ci dovevano torturare così come fossimo degli schiavi. Tutte le volte che io mi trovavo di fronte a lui mi inginocchiavo per chiedere pietà e Lui non faceva una mossa. Quando ero sul letto incominciava a premere quel bottone io chiedevo pietà e lui diceva che non eravamo in un asilo fantile e che questo che mi faceva solo per darmi un esempio. Quando tutto era finito non potevo nemmeno caminare dal dolore e non vedevo lora di poter un giorno finire. Perfino alla notte sognavo quello che mi doveva succedere da un maniaco senza cuore perché lui lo faceva no solo ai giovani ma anche ai vecchi. In fondo perche torturarci così. Cosa avevamo fatto. Anche se siamo malati ci va un po di pietà. Voi non sapete quanto possa far male e rovinare una persona per tutta la vita. Solo a sentir parlare di quello io venivo bianco e stavo male. Questo mi è rimasto nella mia mente come un odio che non potrò mai dimenticare. Dopo un periodo di tempo cominciai a lavorare da panettiere in quale mi trovavo molto bene perché conobi due persone molto umane. Dopo tutto quello che mi era successo continuai a prendere la mia vita come era li dentro. Dal r eparto n.6 mi mandarono al reparto n.2 così lavorai fino alla etè di 17 anni quando mio padre si decise a portarmi in permesso per due giorni. Appena a casa dissi a mio padre che ero stanco di tutto quello che avevo passato e che ero deciso a trovarmi un lavoro fuori e essere libero come tutti gli altri. Così andai a cercare un lavoro fuori e trovai di andare a fare un una fabbrica di coppe per machine così mi misi a lavorare e mio padre andò in ospedale per farsi firmare il foglio che ero dimesso. Mi trovavo molto bene in quella fabbrica ma mi trovavo male in casa con mia mamma che mi trattava come un cane senza neppure guardarmi in faccia. Così quando tornavo dal lavoro e entravo in casa per mangiare no cera gnente . lei diceva che stava sempre male e alla mattina che dovevo andare a lavorare non trovavo mai pronta la borsa. Io con molta calma e paura che lei mi dicesse qualchecosa facevo che partire e andare a lavorare senza mangiare. Questa storia continuò per molto tempo finchè un giorno mi decisi di prendere mio padre per parte e dirli che ero stufo di essere maltrattato come un cane. Se non voleva vedermi aveva solo che portarmi in ospedale tanto per lei era come abitudine. Invece mio padre decise di portarmi in una comunità dove cerano dei ragazzi che erano statti la in ospedale. Così prima di entrare in quella comunità volevano sapere il motivo e chiamarono mia madre in quale lei disse che io quando ero a casa picchiavo mio fratellino e rubavo tutto quello che trovavo. Perché mia madre aveva verso di me tanto odio cosa ero per lei dopo avermi cresciuto e rovinato la vita? Queste parole uscivano dalla mia povera mente io volevo che tutto fosse felicie per poter un giorno dire che anchio avevo trovato una famiglia ma non fu possibile a dire questo quando tutte le volte sentivo sempre le medesime parole tu sei matto. Non potete imaginare quando ero così abatuto innocentemente senza poter far valere la mia parola perché dovevo abbassarmi e stare zitto. Così mi presero in quella comunità era governata da un assistente molto severo e anche crudele verso di noi. Non si poteva nemmeno uscire. Alla sera se ritardavi dal lavoro non trovavi nemmeno il mangiare e se rispondevi per noi era peggio. Alla domenica avevano pocche ore libere se tardavi la seguente domenica non uscivi. Un giorno ricordo che la signorina che ciera li li mancarono dei oggetti di valore così fummo incolpati e portati davanti a un professore che era il dottore della comunità. Lassistente disse che io ero troppo impulsivo e che rispondevo male verso di lui così mi mandarono con l’inganno di nuovo a Collegno con la scusa di essere un ladro e mi portarono in osservazione che di li fui portato al reparto n.2 dove già ero stato prima. Tornai a lavorare di nuovo in panettiere questa volta per molti anni. Così durante la mia presenza in ospedale conobbi un ragazzo biondo carino lui era ancora piccolo e io lo andavo trovare e li portavo sempre qualcosa. Facevo questo per un giorno poter fare qualcosa perché anch’io sono giovane e bisognoso di qualcuno per sfogarmi. Lui fu trasferito al reparto 18 già dove ero stato io. La nostra amicizia divenne sempre più intima e dopo di aver perso laltro amico speravo di aver trovato questo. Una sera lui giocava al pallone lo aferai per il collo gettandolo per terra lui mi disse che se non lo lasciavo andare lo diceva . così io li dissi che se lui non faceva il rapporto lo avrei mollato e lui disse di si. Però io durante la notte avevo tanta paura per quello che ci avevo fatto e non potevo neppure penare quello che mi avrebbe successo lo sapevo che mi facevano di nuovo quei massaggi nel organo genitale. Perché lavevo fatto cosa volevo in fondo da un ragazzo come me? Perché ero venuto così chi è stato a rovinarmi e portarmi in quella strada? Così tanto era il mio affanno che decisi di scappare anche senza sapere dove andavo. Così trovai la scusa che dovevo andare a prendere il mangiare per noi che lavoravamo e presi la strada che mi portava verso al muro lo scavalcai e di corsa feci tutto a piedi dalla paura che ci fosse qualcuno a corermi dietro e qualche volta mi voltavo per vedere se cera qualcuno. Ma vidi nessuno così continuai anche se sapevo che apena arrivato a casa dai miei genitori mi avrebbero portato subito di nuovo in ospedale. Ma io non potevo tornare indietro senò sapevo la punizione che mi spettava. Così appena arrivato a casa mia madre rimase stupita e mi chiese come mai ero venuto fin qui. Li spiegai il motivo che ero scappato lei mi disse che era meglio tornare subito senò era peggio. Io li dissi che apena tornavo sapevo cosa mi spettava una terribile punizione che non avrei dimenticato. Lei voleva sapere che cosera quella punizione io li spiegaia che era dei letro-massaggi nella pancia e che era molto terribili e potevano rovinarti. Li dissi anche che lavevano già fatti e lei mi disse che quando mi portava al direttore di non farmi gnente. Lei credeva che tutto era facile conle parole ma chi ci giuntava ero io perché sapevo comera li dentro. La legge era chi sbagliava pagava. Passai la notte senza chiudere un occhio e con il pensiero e la paura di quello che mi doveva succedere apena tornato li dentro. Così venne al mattina e io mia madre partiamo per colegno. Appena arrivati io era così bianco e spaventato che mi misi a piangere cose se fossi un bambino anche se avevo una ettà avanzata. Tutte e due andammo in direzione poi venni ricevuto dal direttore in quale mi chiede perché scappai il li spiegò il motivo e lui mi disse che ora ci pensava lui. Così vennero due infermieri e mi portarono in osservazione. Subito al pomeriggio mi trasferirono in un reparto veramente brutto. Ricordo che alindomani venne mia madre e mi disse che stavo per pocchi giorni e poi veniva a prendermi. Però non era che una illusione. Così cominciai a essere maltrattato e ricordo molto bene che in quel reparto si andava a dormire verso le ore 4 del pomeriggio fino alla mattina ore 8. fu una vita molto dura e triste e non pottei parlare con nessuno perhè tutti quelli cerano non erano che dei poveri malati e pazzi. Cosa potevo dire di questo reparto così triste e severo e isolato da tutti non potevo nemmeno vedere fuori dalle finestre. Tutte quello che vedevi era quando andavi in cortile per poter prndere un po disole senza neppure rivolgere una parola con quella povera gente. Mentre il tempo passava e quando veniva lora di andare dentro era come se il lasciavo un mondo chiuso per finire nel nulla. Appena rientrai si mangiava un po’ di minestra e quella pietanza anche se non era del tutto buona poi a letto chiuso in una cella con due fettucce una a un piede l’altra alla mano. Si richiudeva la porta e fino alla mattina non si apriva più. Nella mia povera mente e guardando verso il muro e piangendo dasolo senza avere qualcuno che mi dasse una mano e qualche parola di conforto dicevo perché mi devono trattare come una cane? Cosa ofatto non ò abbastanza sofferto e non anno un po’ di cuore verso di me? Cosa mai potrò fare in questo mondo così crudele dove lunica legge era quella che facevano loro e io indifeso come gli altri.,non cera che una sola cosa sofrire e stare zitto. Per noi povere e considerati gente che non serviamo al mondo per nulla ragione loro si divertivano a prenderci in giro e a farci lavorare come se fossimo dei loro pazienti e qualche volta se cera qualcuno che si rivoltava anche senza mettere le mani adosso bastava che li ofendessero subito lo prendevano e lo picchiavano fino a lasciarli i lividi. Perché facevano tutto questo a quella povera gente così’ malata e senza nessuna colpa. Queste erano le mie parole e dai miei occhi che avevano visto tanta crudeltà scendevano lacrime di malinconia. Così in quel reparto ci sono stato per molti mesi a sofrire senza sapere più gnente della mia famiglia adottiva. Poi un giorno il capo reparto mi dissi che il medico mi aveva trasferito in un reparto un po migliore di questo. Mi portarono nel reparto criminali dove cera gente che aspettavano di essere processata. Potete sapere quanta diversità cera! Così continuai a essere chiuso e dasolo a bituarmi dei loro metodi. Tutto era perché io ero scappato e mi serviva come di lezione. In quel reparto era un po più alla luce finestre qualcuno passava e così si poteva vedere quella gente che tutti i giorni facevano la solita strada per andare a lavorare in lavanderia che si trovava vicino alla sezione. Pensavo se un giorno sarebbe finita questa tortura e questa vita chiusa. Il mio primo giorno di permanenza mi misero in una cella come ero già nel reparto che ero prima ma io ero abituato che quasi era come una mia mania e continuai a fare quella vita così chiusa e triste. Ricordo che in quel reparto cera un infermiere che li piaceva andare con dei ammalati per farsi soddisfare dei suoi capricci. Qualche volta mi chiese se volevo anch’io. Io subito dissi di no ma poi capii se volevo stare un po bene dovevo fare così. Tutto questo veniva fatto a noi perché sapevano che non potevamo parlare e sapeva che noi da lui potevamo avere un po di aiuto. Così cominciai a essere ben visto da tutti gli infermieri mi misero a fare il piantone che potevo aiutare loro e fare la pulizia dei padiglioni. Anche se non ero pagato però no andavo più a letto presto. Capii che solo con piacere si riceve piacere. Una bella mattina il medico mi dissi che mi trasferiva in un altro suo reparto e che mi voleva provare di nuovo a mandarmi a lavorare. Io sapevo che ormai non cera più quel ragazzo e per quello che loro mi lasciavano libero. Ricordo che quando fui portato nel reparto n6 dove ero già stato cera un capo molto crudele e soprattutto aveva la mania che se sbagliavi subito ti faceva fare i massaggi perché mi aveva detto che lui piaceva a vedere e che non portava nessuna pena e che tutte quelle parole il le avesse bene tenute in mente . Così continuai avere quella paura che apena combinavo una sciocheza non cera pietà per me. Così mi mandò a lavorare in lavanderia dove si lavavano la roba dei amalati. Era un lavoro molto sporco che tante volte facieva rimettere ma se no lo volevi fare lo riferivano in reparto e per me come per gli altri sapevamo quello che succedeva. Capitare sotto a quella macchina che veniva usata da un maniaco preferivo a sudare tutto il giorno pure di non vedere quel medico. Quando lavoravamo eravamo come dei schiavi perché appena ti vedevano seduto venivano subito a minacciarti con queste parole tu domani stai in sezione così ti tiravano via la stanchezza. Poi dato che loro sapevano il motivo perché io ero stato chiuso per un po di tempo mi dicevano che quel ragazzo che io cercavo era andato via e che non cera più gente da fare. A sentirmi queste parole io dal nervoso per non potermi sfogare piangevo ma dovevo stare zitto. Ma tra me pensavo che un giorno mi avrei rivendicato di tutto quello che mi stavano faciendo. Erano solo pensieri. Uscivano fuori da una rabia che io non potevo tirarla via così mi sfogavo pensando quello. Per molti anni lavorai in quella lavanderia finchì divenni un po più aposto e capii che quella era la strada della mia uscita. Il capo che ci comandava era molto bravo anche se qualche volta ci prendeva in giro e mi aveva insegnato di non reagire. Conobi un ragazzo che qualche volta aveva delle crisi mentali e li ero molto amico perché sapevo cosa voleva dire avere quel male. Lui era molto bravo e soprattutto afabile. Un giorno ricordo che mentre lavoravamo lo vidi a spogliarsi e a gettarsi per terra. Li corsi incontro prima che venissi linfermiere e li dicevo di mettersi subito al roba senò era peggio. Non feci in tempo ad aiutarlo che vennero due infermieri e lo presero a pugni e a calci. Io da vedere quello mi misi a piangere poi mi avvicino da loro e dissi che non si poteva essere così crudeli verso di un povero ragazzo che era molto malato e non sapeva quello che faceva. Loro mi dissero che era meglio che facievo pensare per me stesso e non guardare quello che facievano loro se no finivo anchio nei guai comera lui. Così lo portarono in reparto e lo c chiusero in una cella in attesa della mattina che venisse il medico.a metterlo aposto. Quando andai a trovarlo di nascosto per portarli due sigarette mi fece vedere una cosa terribile. Dalla paura di avere visto quella macchinetta si portò via un pezzo di carne mordendosi un braccio e mi disse che avevo ragione quello che gli avevo racontato perché facieva proprio male. Con laria spaventata mi disse che lie lavevano fatto a lui e che doveva farne ancora. Voi non potete imaginare comera spaventato quel povero malato e noi suoi occhi cera tanto odio e mi disse che colpa poteva avere lui se è amalato. Perché invece di farli una cura lo torturavano in quel modo? Ricordo benissimo che sua mamma voleva visitarlo ma non li diedero il permesso perché avevano paura che lei potessi dire a qualcuno come lavevano ridotto legato con quattro fettuccie e per darli da manciare lo imboccavano come se fosse un cane che in quella minestra cera più acqua che brodo naturale tutto questo che io o visto con i miei occhi però senza poter dirlo a sua mamma se no potevo di nuovo capitare molto male..l’unica nostra ragione era di stare zitti e maltrattati. Dopo un periodo di tempo si fece vedere a mio padre da quando fui scapato non era più venuto. Io li chiesi il motivo e lui disse che era stato il direttore a ritirarle via il permesso per non venirmi più a fare visita. Io cominciai a dirle che ero stufo di stare in manicomio perché ne avevo viste troppe cose non gradevoli. Lui mi prometteva sempre che un giorno mi portava via da questo manicomio però non la faceva mai.

LA DULTO
Un giorno venne un infermiere a chiamarmi sul lavoro e mi dissi che dovevo prendere tutto quello che avevo. Li chiesi il perché lui mi disse che cera il capo reparto che voleva parlarmi. Entrai in sezione con un po di paura invecie fu tutto diverso perché mi disse che andavo a lavorare nel bar che cera li dentro in ospedale. Però mi dissi che dovevo comportarmi bene e di non fare nessuna fesseria così finalmente ero un po libero anche alla domenica. Per me valeva molto perché dove lavoravo avevo dei ricordi molto tristi. Fui trasferito alla sezione 4 per poter essere più vicino al lavoro. Appena entrai in quel reparto vidi dei vecchi infermieri che avevo dato a loro dei dispiaceri nei altri reparti. Alla mattina venne il medico che fu anche già mio medico mi dissi che era ora che io cambiassi un po che orami ero diventato un uomo. Così voltandosi verso il capo li dissi che mi poteva lasciare libero che se combinavo qualcosa mi avrebbe mandato a fare un po di cura al n.8. io sapevo cosa voleva precisare il medico perché avevo provato. La mia vita divenne un po più felicie e così cercavo di fare pasare i vecchi ricordi ma ero molto difficile perche nel mio cuore cera troppo odio. Il tempo passava corevano gli anni però mi ero fatto un amico con un uomo che io la vevo conosciuto quando andava lavorare nel giardino. Era molto bravo e mi voleva un bene che nemmeno mio padre non mi aveva voluto così bene come lui. Io sapevo perché lui facieva questo solo che io li stassi vicino e un giorno a contentarlo dei sui capricci. Lui mi dissi che tutto quello che io volevo me lavrebbe dato e se mi ocoreva dei soldi me li dava. Io cominciai a daccetre così fra non naque una amicizia molto inseparabile. Anche se qualche volta ci pescavano ridevano. Lui mi disse che quello che facieva con me è come se fosse andare con sua moglie che lui non era un cane e che tutti avevano bisogno di uno sfogo personale. Così la storia continuò finchè un giorno venne mio padre per parlarmi per dirmi che voleva portarmi a casa per qualche giorno. Ma il medico li dissi che io avevo conosciuto un uomo e che io andavo con lui. Ma mio padre lo sapeva che io ero aiutato a fare quello perché non potevo sfogarmi con un sesso diverso dal mio e che tutto questo era portato da essere sempre chiuso. Così tornai di nuovo a casa da lultima volta chero scappato. A casa decisi che non volevo più tornare in ospedale e così mi cercai un lavoro fuori e dissi a mio padre che adasse in ospedale per farsi il permesso che ero dimesso. Quando lui tornò disse che ero finalmente libero per sempre. Apena sentii queste parole li corsi in contro e lo abraciai. Lu mi disse che dovevo fare molto attenzione che la prima che facievo tornavo li dentro..

RIASUNTO Tutto questo che vi o racontato è la storia di un ragazzo che per molto tempo fu chiuso in un ospedale dove a visto tutte le crudeltà. Forse voi non crederete ma è una vera vita di un orfano portato in ospedale dai genitori adotivi che non ebbero un po di affetto. Spero che tutto questo vi possa far capire cosa voldire essere chiuso senza un po daiuto da un mondo felicie che non si volta indietro a vedere quello che succide per molta gente persa per sempre e il quale non potrà mai sapere e quando la loro vita si spegneva.

 
Eugenio_TravaglioDate: Domenica, 22/11/2009, 01:55 | Message # 5
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Un racconto raccapriciante, d leggere:

Quel giorno, il 10 ottobre 2005, subii una violenza fisica e mentale, una violenza inaudita...

http://www.ccdu.org/quel-gi....>

Come può una ragazza immaginare che, a causa di una semplice sofferenza emotiva, in pochi mesi si possa trovare a lottare per la propria libertà contro coloro che dovrebbero invece aiutarla. Come si può pensare che, in richiesta di aiuto, si possa ricevere un trattamento degno del più pericoloso dei serial killer. Eppure è ciò che è successo:

Sono una ragazza di 33 anni ed abito in Versilia. Nell'ottobre 2005 ho subito un T.S.O.

Alcuni mesi prima mi ero rivolta ad uno psichiatra privato di Massa, il dottor G.A., per un malessere provocato da una serie di eventi stressanti che si erano verificati nella mia vita familiare e lavorativa. Il dott. G.A. mi prescrisse Anafranil 75 mg, 2 compresse al giorno, Lexotan, 20-30 gocce al bisogno. Mi sentivo un po' meglio ma il Lexotan su di me non aveva effetto: o non avevo bisogno di prenderlo o, se mi trovavo in una situazione che generava preoccupazione, non era efficace. Così nei mesi successivi torno un paio di volte dal dott. G.A. chiedendogli di prescrivermi un ansiolitico diverso. Entrambe le volte mi ha risposto: "No, non cambiamo farmaco, continua a usare il Lexotan, ne puoi prendere anche 50-60 gocce fino a 3-4 volte al giorno se ne senti il bisogno, tanto prima che ti avveleni con il Lexotan ne puoi bere anche 2 boccette". Era presente anche il mio fidanzato ( infatti nei mesi successivi è capitato che anche lui in situazioni emotivamente difficili assumesse Lexotan).

Passa un po' di tempo, durante il quale io non prendo tutte le gocce che il dott. G.A. mi ha consigliato, perché mi sembra una dose esagerata.

Il 10 ottobre io e mia madre abbiamo una discussione, un chiarimento come succede in tutte le famiglie, niente di particolare: non ci picchiamo, non volano i piatti. In quell'occasione io prendo le 60 gocce di Lexotan e mia madre vedendomi farlo, teme che possano farmi male; io le dico che è stato lo psichiatra. a dirmi che potevo prenderle e lei lo chiama per chiedergli se era vero. Lui per telefono nega, forse rendendosi conto di avermi consigliato una cosa assurda, per evitare una figuraccia. Dice a mia madre che avrebbe mandato il 118 e parlato con il medico dell'ambulanza dicendogli di prescrivermi un altro farmaco, e riaggancia senza darle la possibilità di rispondere.

Dopo 10 minuti arrivano sotto casa mia due ambulanze, una per me e una per mia madre, come spiegato la sera stessa a mia madre da uno psichiatra del reparto. La dott.ssa A.B. di Massa entra in casa parlando al telefono col dott. G.A.; si rivolge a mia madre e a mia nonna in modo aggressivo, ordinando loro di uscire dalla stanza. Io rimango lì, seduta sul divano, mentre la dott.ssa A.B. continua a parlare per telefono con lo psichiatra. Non mi guarda, non mi visita, non mi chiede niente, non mi chiede cosa è successo né come mi sento. Io chiamo mia mamma per chiederle di portarmi il telefono e lei rientra nel salotto. La dott.ssa A.B. la affronta urlando: "Cosa ci fa lei qui, le ho detto di andarsene!" Mia madre si arrabbia e le risponde: "No, a questo punto se ne va lei". La dott.ssa minaccia: "Guardi che chiamo i carabinieri" e mia madre: "No, i carabinieri li chiamo io!", riuscendo a far uscire la dott.ssa. Ma le ambulanze non se ne vanno: rimangono lì, davanti al cancello.

Mia madre, spaventata dall'atteggiamento dei sanitari, chiama un suo conoscente, il maresciallo dei carabinieri L.L., che viene insieme a un collega. Il maresciallo mi propone di chiamare il suo medico di famiglia e io accetto, perché dopo la discussione e la venuta delle ambulanze sono spaventata: il comportamento della dott.ssa A.B. mi aveva terrorizzata. Arriva il medico, dott. G.L. e si rende conto che la situazione non è poi così grave; mi fa mezza fiala di Valium. Mentre il medico mi fa l'iniezione i carabinieri dicono alla dott.ssa A.B. di andarsene perché non c'è bisogno di lei, non c'è bisogno di niente.

Le ambulanze se ne vanno, ma dopo circa 10-20 minuti tornano con un provvedimento A.S.O. (accertamento sanitario obbligatorio) firmato dal sindaco e richiesto dalla dott.ssa A.B., medico non psichiatra (del 118 di Massa, mentre io sono della provincia di Lucca, cioè fuori dalle sue competenza territoriali)

Non c'era l'urgenza di un di fare un A.S.O. altrimenti perché non lo aveva proposto il dott. G.L.? La situazione era calma, io non rifiutavo le cure, il medico era venuto a casa mia facendomi un'iniezione: mancavano le condizioni necessarie per un ricovero ospedaliero.

L'A.S.O. in ospedale verrà trasformato in T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio) con la motivazione di "agitazione psicomotoria". Dopo essere stata portata via da casa con la forza, mentre non stavo facendo niente, da una dottoressa che si è presentata senza essere stata chiamata, "agitazione psicomotoria" è proprio il minimo che potessi avere!

Mia madre non vuole far entrare il personale dell'ambulanza così loro forzano il cancello, entrano con la forza e la legano, braccia e gambe, per impedirle di difendermi. Mia nonna è spaventata e grida, ma un infermiere le dice di stare zitta. La dott.ssa A.B. mi dice che devo seguirla, altrimenti mi avrebbe portata via con la forza. Salgo sull'ambulanza e piango, sono spaventata e piango, dico che voglio dormire , che voglio essere lasciata in pace e voglio dormire. Sull'ambulanza mi viene fatta una fiala di Largactil.

Mi portano in psichiatria, mi lasciano lì e nessuno mi dice niente. Io piango, sono spaventata, sia a causa della scena violenta avvenuta poco prima a casa, sia perché non capisco per quale motivo sono stata portata lì in quel modo, senza aver fatto nulla. Non posso uscire e non so quando potrò uscire. Gli psicofarmaci che ho assunto non mi calmano ed anzi pregiudicano la mia capacità di comprendere quanto sta succedendo così come la mia capacità di esprimermi chiaramente.

Da questo momento non ricordo più niente fino a parecchie ore dopo, quando mi sveglio legata al letto senza sapere il perché e senza neanche il coraggio di chiederlo. Cerco di restare calma; non reagisco, non chiedo niente ed accetto tutto, perché capisco che reagire potrebbe essere pericoloso. Sono terrorizzata. Mi lasciano ancora a lungo legata al letto, fino alla sera, all'orario delle visite, quando mi tolgono le cinghie perché mia madre non mi veda in quel modo. La fanno entrare dopo averle perquisito la borsa, accompagnata da due guardie giurate con la pistola bene in vista.

Mia madre si rivolge subito ad un avvocato ed il 13 ottobre verrò dimessa.

Durante il T.S.O. vengo trattata con psicofarmaci, prevalentemente neurolettici, soprattutto il primo giorno: Largactil, Tavor, Valium, Risperdal, Stilnox....

Naturalmente nessuno si preoccupa di capire se la mia agitazione possa in realtà essere dovuta ai farmaci precedentemente assunti: le benzodiazepine (Lexotan, Valium, Tavor) possono provocare stati d'agitazione e i neurolettici (Largactil, Risperdal) possono anch'essi provocare forti stati di agitazione psicomotoria (acatisia) e addirittura portare a delirio e allucinazioni. Non mi hanno fatto esami del sangue volti a chiarire se la situazione potesse essere dovuta a reazioni paradosso agli psicofarmaci, ma hanno continuato a somministrarmene fino a stendermi.

In reparto dormo costantemente e sbavo continuamente. Nei momenti in cui mi risveglio mi trovo tutti i capelli appiccicati al viso e al cuscino, tutti pieni di saliva.

All'orario dei pasti non mi è permesso alzarmi dal letto per mangiare nella sala, come fanno tutte le altre degenti. Non posso uscire dalla stanza. Solo il quarto giorno, poco prima di essere dimessa, mi viene permesso di pranzare nella sala, così chiedo ad una ragazza come si trovi in quel reparto e lei mi risponde: "E' come un carcere".

Durante il T.S.O. nessun medico mi visita. La terza sera passa il primario, M.D.F. seguito da altri psichiatri, a cui dice riferendosi a me: "Questa ragazza non ha niente, ha solo litigato con la madre" e passano oltre.

Sempre la terza sera vedo un'altra cosa che mi sembra un po' strana: passa l'infermiera con il carrello dei farmaci dove ci sono tutti i bicchierini con le pasticche e i nomi delle ricoverate. Dentro i bicchierini c'è sempre lo stesso farmaco in diverse dosi: Risperdal, un neurolettico. Così tutte assumevamo lo stesso farmaco, a prescindere da quali fossero i disturbi lamentati e dal perché ci trovassimo lì.

II quarto giorno, quando vengo dimessa, vengo sottoposta ad un colloquio con la dott.ssa M.G.. Lei mi fa diverse domande e io rispondo con calma. Diversi mesi dopo, quando ritiro e leggo la mia cartella clinica, mi accorgo che lei ha selezionato e strumentalizzato le mie parole, rigirandole in modo da giustificare una diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo.

Esattamente in quell'occasione dissi che la mia vita nell'arco dell'ultimo anno era cambiata completamente e che si erano verificate molte situazioni problematiche. Ero costantemente preoccupata, al punto che non riuscivo a smettere di pensare a come avrei potuto risolvere tutte quelle situazioni nuove che si erano presentate: la mia mente era sempre occupata nella ricerca di una soluzione per i miei problemi pratici. Tutti questi problemi mi avevano buttato giù di morale e per questo mi ero rivolta al dott. G.A.. Raccontai di come la meditazione, disciplina che praticavo da anni, mi fosse di grande aiuto in quel periodo. Questa consiste in pratiche di concentrazione volte a calmare il pensiero che è indisciplinato, tendiamo cioè a pensare e reagire in modo automatico secondo modelli precostituiti ed abitudinari. Mediante questo allenamento è possibile imparare a pensare in modo attivo, slegato dai modelli abitudinari di pensieri e reazioni, al fine di risolvere in modo creativo i problemi che si presentano in base alla situazione presente, adottare soluzioni nuove a nuovi problemi, anziché vecchie soluzioni a nuovi problemi.

Leggendo la cartella clinica mi accorgo anche che sugli appunti del 10 ottobre ci sono delle cose che io ho detto il 13 ottobre alla dottoressa M.G.: mi sembra improbabile se non impossibile che io abbia detto le stesse cose e con le stesse parole in due momenti diversi.

Vengo dimessa con un prescrizione di Risperdal, 7,5 mg al giorno, un dosaggio anche abbastanza alto di un farmaco pericoloso, che tra l'altro non è neanche adeguato alla diagnosi (di un disturbo che non ho!). Naturalmente non vengo avvertita dei rischi, non mi viene data alcuna informazione sul farmaco, che mi viene consegnato direttamente dalla dott.ssa e dalla cui confezione manca il foglietto illustrativo.

Sempre al momento della dimissione vengo informata, insieme a mia madre e al mio fidanzato, che mi è stata fatta una puntura e che dovrò tornare lì a ripeterla. Tale iniezione nella cartella clinica non è stata annotata!

Subito prima di essere dimessa viene a parlarmi anche il primario: dice di aver litigato per telefono con il dott. G.A. e che non devo prendere mai più Anafranil, che DEVO scegliere uno psichiatra della struttura e andare lì a curarmi. Dice che DEVO prendere assolutamente il Risperdal (strano perché la sera prima aveva detto che io non avevo niente!). Mi parla con un tono di voce piuttosto autoritario, ripetendo le cose più volte come se si rivolgesse ad una persona che non capisce, mentre io ero solo intontita dai farmaci. Dice al mio fidanzato che non deve farmi tornare a casa, che deve tenermi lontano da mia madre e che se non si prende questa responsabilità non mi faranno uscire (ma che ne sa dei miei rapporti con mia madre, visto che non aveva mai parlato né con me né con lei?).

Tornata a casa sto molto male, sia a causa della violenza subita, sia a causa dei farmaci che continuo a prendere credendo di averne bisogno.

Sbavo, non riesco a parlare correttamente, quando cammino inciampo spesso e cado; incontinenza, insensibilità al dolore, la luce mi da fastidio e i miei sensi sono ovattati; mi viene febbre e una bronchite che durerà fino alla metà dell'estate 2006. Non riesco a far niente, non trovo la forza di alzarmi dal letto, vestirmi e uscire; non riesco più a pensare in modo attivo, ad applicarmi nella ricerca di soluzioni pratiche ai miei problemi quotidiani. Non riesco a concentrarmi su niente, a leggere e neanche a guardare programmi televisivi. Piango spesso, perché la mia vita è completamente cambiata in modo violento e improvviso in seguito al T.S.O.. Ho delle macchie marroni nell'occhio destro e tutta la parte sinistra del viso è eccessivamente rilassata e cadente, mentre la parte destra è contratta; ho spasmi intorno agli occhi e quando parlo storgo la bocca verso destra.

Stavo sempre peggio e non avevo idea che quelli fossero effetti collaterali del Risperdal che provoca ansia, tristezza, sofferenza interiore molto forte e mancanza di voglia di agire.

Ho continuato a prendere il Risperdal per circa 1 mese.

Durante questo periodo il mio fidanzato, vedendo che stavo peggiorando a vista d'occhio, si rivolse al reparto per chiedere cosa dovevo fare, ma venne fermato da un infermiere che gli disse: "Non la riportare assolutamente qui, perché te la ricoverano di nuovo e alla fine te la rovinano del tutto".

Dopo un mese trovo un libro, "Chimica per l'anima", capisco cosa sono i neurolettici e interrompo di colpo e di mia volontà l'assunzione del Risperdal.

Stavo molto male e mi ero rivolta nuovamente al dott. G.A. Nella confusione dell'accaduto e a causa dei farmaci che limitavano la mia capacità di comprensione degli eventi, non avevo capito che era stato lui a farmi ricoverare, io credevo fosse stata la dott.ssa A.B.

Ci torno diverse volte e lui cerca di mettere me e il mio fidanzato contro mia madre e il mio fidanzato contro di me. Ci fa credere che la dott.ssa A.B ha richiesto l'ASO a causa del comportamento di mia madre. Continua a insistere sia con me che con il mio fidanzato che è mia madre la causa del mio malessere, che mi avrebbe rovinato la vita (cosa che diceva spesso anche prima del T.S.O.) e che è lei che deve essere curata.

Insiste così tanto che alla fine io e il mio fidanzato convinciamo mia madre a fare una visita con lo psichiatra che ci consiglia: un certo dott. B.A. Mesi dopo leggerò sulla mia cartella clinica il nome dello psichiatra che ha richiesto il T.S.O. mentre ero in reparto: il dott. B.A., lo stesso amico del dott. G.A. da cui avevamo portato mia madre! Ripensandoci, ricordai come tale dott. B.A. durante la visita con mia madre sembrasse molto imbarazzato: io non lo avevo riconosciuto, ma lui probabilmente si ricordava di me.

Il dott. G.A. insisteva anche su un'altra cosa: io dovevo andare via da casa di mia madre. Cercava di convincere il mio fidanzato a vendere la sua casa a Massa per prenderne una per me ad Ortonovo, dove lui, così disse, aveva il controllo del 118. Gli disse letteralmente: "Così, se la porta ad Ortonovo, ce l'ho sotto la mia cappella"; questo potrebbe anche significare "sotto il mio controllo", ma è anche un doppio senso osceno perché in dialetto cappella significa glande. Mi soffermo su questo particolare poiché lo psichiatra mi aveva già fatto domande strane in passato, del genere "Ma tu desideri il tuo fidanzato? Non è che hai fantasie sessuali verso uomini più anziani di te, figure paterne, che ti diano un senso di autorità e potere?". Queste cose le avevo anche riferite al mio fidanzato, ma lui, plagiato com'era, mi rispondeva che secondo lui erano domande normali, che ero io a trovarle strane "Perché mi fisso, perché sono ossessiva compulsiva", come gli aveva insegnato a dire il dott. G.A..

Il mio ragazzo era preoccupato per me e lo aveva chiamato per telefono diverse volte, a mia insaputa, chiedendogli cosa poteva fare per me, come mi poteva aiutare (io piangevo sempre ma lui non poteva sapere che la causa erano i neurolettici). Egli gli aveva risposto che lui non poteva fare niente per me, "Che la cosa migliore era lasciarmi nelle sue mani, perché solo lui poteva curarmi, perché io ero gravemente malata e non mi rendevo conto della mia malattia. La scelta migliore sarebbe stata lasciarmi, altrimenti io avrei rovinato anche la sua vita, tanto oramai io non sarei stata più bene, sarei costantemente peggiorata, e le persone malate di mente distruggono la vita a chi gli sta vicino."

L'ultima volta che vado dal dott. G.A, c'è una signora in sala d'aspetto: è in cura da lui da 10 anni con psicofarmaci neurolettici; racconta diverse cose sulla sua vita e su come l'ha curata il dott. G.A.. Sembra innamorata di lui! Quando il dottore arriva io, già insospettita dalle parole di questa donna, noto che i due hanno un modo di parlare strano, eccessivamente confidenziale, come se ci fosse tra loro qualcosa che va al di là del normale rapporto che si instaura tra un medico e una paziente. Quindi collego diverse cose tra loro e quando parlo col dottore porto il discorso sul T.S.O., fingendo di incolpare mia madre e conducendolo così ad ammettere che era stato lui a farmi finire in psichiatria: lo ammette sia davanti a me, sia poco dopo, quando faccio entrare mia madre.

Racconto tutto al mio fidanzato e decido di non tornare più a quelle visite: il mio fidanzato, convinto dallo psichiatra durante una telefonata avvenuta subito dopo quest'ultima visita, mi lascia e rimaniamo separati per alcuni mesi. Diversi mesi dopo, quando il mio fidanzato capisce cosa era successo veramente telefona di nuovo al dott. G.A. dicendogli: "Ma cos'ha fatto! Ha fatto il TSO alla mia ragazza e le ha rovinato la vita. Ha rovinato anche il nostro rapporto, per colpa sua ci siamo lasciati". Il dottore gli rispose con un tono di presa in giro: "Oh, mi dispiace, mi scusi", Il mio fidanzato gli disse: "Ma guardi che noi la denunciamo" e G.A. rispose: "Fate pure. Tanto io sono una persona potente e la sua ragazza l'ho fatta passare per matta e nessuno le crederà mai.".

Mi rivolsi ad un altro psichiatra raccontandogli di stare male a causa del TSO: questo faceva finta di credermi ma non mi credeva. Stavo molto male: tutto quello che era accaduto era stato un grande trauma e la mia vita era completamente cambiata. Malgrado l'abuso subito non mi rendevo conto di quanto fosse pericoloso il mondo della psichiatria e continuavo a pensare che con me avevano commesso un errore, che avevo incontrato gli psichiatri sbagliati, che si era verificato un malinteso iniziale che aveva portato al disastro. Continuavo a cercare lo psichiatra giusto, il farmaco giusto.

Le umiliazioni che ho subito da parte dei medici sono innumerevoli: concludevano tutti che se mi avevano fatto il TSO e dato i neurolettici voleva dire che ero malata. Partivano da questo pregiudizio e non c'era assolutamente nessun modo di spiegare come erano andate le cose. Mi prescrivevano sempre nuovi farmaci: Cymbalta, Anafranil, Nopron, Tavor, Valium, Xanax, Lamictal,.... Si verificavano continuamente incomprensioni ed equivoci che potevano espormi al rischio di altri trattamenti dannosi e non necessari.

Questo è continuato fino all'agosto 2006. In quel periodo ero ormai convinta che non sarei mai più stata serena e felice, che la mia vita era finita e che tutto ciò che mi rimaneva era soffocare la mia sofferenza attraverso il Tavor che mi permetteva di sopravvivere, almeno finché avesse funzionato.

Ho cominciato ad informarmi a proposito dei farmaci attraverso internet e mi sono resa conto che abusi come quello che avevo subito io, o anche peggiori, succedono continuamente in psichiatria. Ho visto come molte persone stiano male a causa degli psicofarmaci. Attraverso un libro sono venuta a conoscenza della storia della psichiatria, della sua ideologia e dei metodi brutali da essa adottati nel corso dei secoli.

È stato uno shock, piangevo continuamente. È stato come se, oltre alle mie sofferenze, mi fossero piombate addosso anche quelle di milioni di persone danneggiate dalla psichiatria nel corso dei secoli e nel presente.

Un medico a cui ho raccontato l'abuso subito mi ha creduto. Gli dissi che volevo smettere gli psicofarmaci perché non volevo più assolutamente avere contatti con la psichiatria così mi ha fatto uno schemino per scalare i farmaci.

Smettere i farmaci è stato come un salto nel buio, perché avevo paura di averne bisogno, ma a quel punto la mia convinzione era che se tanto dovevo stare male, potevo farlo benissimo anche senza psicofarmaci e senza psichiatria. Invece con il passare dei mesi sono stata progressivamente meglio: non sono più triste né disperata né spaventata né ansiosa e non penso più che la mia vita sia finita.

Psicologicamente sto bene. Soprattutto non sono più drogata dai farmaci, ho recuperato la mia lucidità così come la mia capacità di interpretare correttamente gli eventi e il mio autocontrollo. Ho ricominciato a vivere e a coltivare i miei interessi e adesso ho tantissimi amici che mi stimano e che, conoscendomi bene, non riescono a comprendere come sia potuta accadere a me questa vicenda così assurda. Anche il rapporto con il mio fidanzato, che il dott. G.A.. aveva rovinato, è tornato soddisfacente, grazie alla mia determinazione di far chiarezza sull'accaduto e di riprendere in mano la mia vita.

Comunque a distanza di 2 anni dal T.S.O. continuo a soffrire di movimenti involontari del volto e talvolta anche degli arti che sono stati causati dai neurolettici. Spesso, a causa di questi spasmi, mi mordo l'interno della bocca durante la masticazione, procurandomi ferite. Inoltre rischio di soffocare, poiché cibi e pasticche mi vanno per traverso, a causa della riduzione della capacità di controllare i miei movimenti volontari.

I medici che mi hanno visitato per questi disturbi mi hanno detto che molto probabilmente oramai non passeranno più. Discinesia tardiva e distonia tardiva. Non esistono neanche cure specifiche per ridurre questi movimenti che sono molto fastidiosi, insistenti e accompagnati da dolore tipo nevralgia.

Questi spasmi rendono tutte le mie ore di veglia senza pace, senza riposo; danneggiano la mia immagine e mi è molto più difficile trovare un lavoro (io ho lavorato in un negozio ed ho esperienza come commessa): molte persone a cui mi sono proposta, vedendo le smorfie sul mio volto, mi hanno trattato con eccessiva gentilezza, una gentilezza compassionevole, dopo di che non mi hanno richiamato.

Magari molte persone mi potrebbero giudicare "malata psichica" a causa di questi movimenti, non sapendo in realtà che sono stati i farmaci a provocarli; e poi anche qualora lo sapessero penserebbero che siccome ho preso i farmaci probabilmente ne avevo bisogno.

MA NON SONO IO A DOVERMI VERGOGNARE PER QUESTA FACCIA DA MANICOMIO!

Ciò influenza negativamente la mia vita sociale e lavorativa, presente e futura, nonché la qualità della mia vita. La meditazione, che io praticavo da moltissimi anni e che era per me un elemento di arricchimento, non potrò più praticarla a causa di questi spasmi. Così come non potrò più coltivare un'altra delle mie passioni, lo snorkeling, non potendo sopportare la maschera sul volto ed avendo perso, dopo il T.S.O., la capacità di nuotare.

LA MIA VITA È COMPLETAMENTE CAMBIATA, CAMBIATA PER SEMPRE. HO UN DANNO PERMANENTE, PERCHÈ? PERCHÈ MI HANNO "CURATO" CONTRO LA MIA VOLONTÀ!!!

Anche per cercare di capire cos'era questo disturbo ho dovuto subire moltissime umiliazioni dai medici. Mi sono rivolta a diversi neurologi e ne ho dovuti girare parecchi prima di trovarne uno disposto a fare gli accertamenti. Uno di loro, dopo cinque minuti, sulla base del fatto che avevo preso per un periodo antidepressivi e per un altro neurolettici, mi chiese se avevo il disturbo bipolare! Ad un altro, che mi aveva fatto la stessa scena, chiesi come si fosse permesso di farmi una diagnosi dopo 5 minuti solo basandosi sui farmaci che avevo preso e senza considerare che il TSO era stato un errore. Mi rispose che se me lo avevano fatto sicuramente avevano ragione, "Sono sicuro che lei è matta e che di TSO gliene faranno ancora tanti nella vita, anzi se non se ne va glielo faccio fare io".

La psichiatria ti toglie la dignità.

Ti possono fare veramente di tutto perché sanno che non puoi difenderti. Tutto quello che dici o che fai non ha più alcun valore, anzi tutto viene strumentalizzato per essere usato contro di te, come ulteriore prova della tua "malattia mentale". I trattamenti ti possono venire imposti con la forza e tu non li puoi discutere né rifiutare, perché questo è considerato rifiuto della terapia e ulteriore segno di "malattia mentale". Non puoi dire che un determinato farmaco ti fa male perché sei considerato "malato mentale" e quindi non in grado di capire di cosa hai bisogno (come se potessero sapere meglio di te come ti senti!). Se poi dici che non sei malato di mente ma che stai male per qualche situazione contingente allora sei ancora più grave perché non ti rendi conto della tua "malattia". La tua vita non ti appartiene più e se subisci delle violenze queste non sono poi così facili da dimostrare, perché sei screditato, perché sei considerato il "matto" che va a raccontare di aver subito un ingiustizia da parte del suo psichiatra, il quale è considerato autorevole, attendibile e di indubbia moralità. Il tuo "delirio di persecuzione" sarà un ulteriore prova della gravità della tua "malattia", un'ulteriore scusa per sottoporti a ulteriori trattamenti.

È facile entrare in questo meccanismo anche per cose banali e rimanere coinvolti in un susseguirsi di circostanze da cui si potrebbe anche non uscire mai più, anzi da cui spesso non si esce mai.

Quando dobbiamo superare momenti difficili della vita, la società, le persone che ci stanno vicine, le opinioni autorevoli ci insegnano che si può ricorrere all'aiuto di uno psichiatra e degli psicofarmaci, per superare il periodo. Ci viene insegnato che le emozioni negative sono malattie, non normali risposte dell'uomo agli eventi esterni. Ci viene insegnato che si deve essere sempre contenti e soprattutto attivi, tirare avanti in qualsiasi circostanza ed essere come gli altri ci vogliono altrimenti siamo "malati" e ci si deve rivolgere ad uno psichiatra.

LE EMOZIONI NEGATIVE NON SONO MALATTIE.

L'abuso psichiatrico è una violenza che investe il soggetto in tutti i piani dell'essere: fisico, mentale, sociale, emotivo, etc.. Penso che sia una delle esperienze peggiori che si possono fare nella vita. È una totale privazione del diritto di gestire la propria vita; è peggio del carcere: non si è accusati di un reato ma di un pensiero, non c'è un processo, non si ha diritto ad una difesa.

Loro vogliono chiamarsi medici dell'anima ma sono come poliziotti della mente. IL LORO FINE NON E' IL BENESSERE DEL PAZIENTE, MA IL CONTROLLO E LA REPRESSIONE DELLE MANIFESTAZIONI ESTERNE DELLE SUE SOFFERENZE.

Ascoltano i loro pazienti a partire da una diagnosi fatta superficialmente e questa diagnosi costituisce un pregiudizio, perché non si può assolutamente "vedere" chi ci sta davanti quando partiamo dalla convinzione che ogni pensiero e ogni comportamento siano frutto di un processo psicopatologico.

GLI PSICHIATRI PRESCRIVONO TRATTAMENTI CHE DISTRUGGONO FISICAMENTE I PROPRI PAZIENTI E LO FANNO CONSAPEVOLMENTE !!!

LORO, SONO “SANI DI MENTE” ?!»

E.C.

 
dibattitopubblDate: Martedì, 16/03/2010, 23:46 | Message # 6
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DSM V – gli esperti di salute mentale si chiedono: resterà qualcuno ‘normale’?

8 maggio 2011

Molte persone precedentemente viste come perfettamente sane potrebbero in futuro sentirsi dire di essere malate. Un’edizione aggiornata della bibbia sulla salute mentale per i medici (DSM V, ndr) potrebbe includere diagnosi per “disturbi” come capricci infantili e abbuffate, e gli esperti affermano che presto nessuno potrebbe più essere classificato come normale.

I principali esperti di salute mentale hanno avuto un incontro martedì per mettere in guardia sul fatto che la nuova edizione del Manuale Diagnostico Statistico per i Disturbi Mentali (DSM), attualmente in revisione per una nuova versione aggiornata nel 2013, potrebbe svalutare la gravità della malattia mentale e giungere a etichettare chiunque con una qualche forma di disturbo.

Citando esempi di nuove aggiunte, come “lieve depressione ansiosa”, “sindrome a rischio di psicosi”, “disturbo della regolazione dell’umore”, essi affermano che molte persone precedentemente viste come perfettamente sane potrebbero in futuro sentirsi dire di essere malate.

“Ci si sta infiltrando nella normalità. Si sta restringendo la gamma (in inglese pool=piscina NdT) di ciò che è normale a una pozzanghera” ha affermato Til Wykes dell’Istituto di Psichiatria del Kings College di Londra.

Il DSM viene pubblicato dall’Associazione Americana di Psichiatria (APA) e contiene descrizioni, sintomi e altri criteri per diagnosticare i disturbi mentali. È considerato la bibbia diagnostica globale nel campo della salute mentale. I criteri sono pensati per fornire definizioni chiare sia ai professionisti che trattano pazienti con disturbi mentali, che per i ricercatori e le industrie farmaceutiche che vogliono sviluppare nuove strade di trattamento.

Wykes e i colleghi Felicity Callard, sempre dell’Istituto di Psichiatria del Kings College di Londra, e Nick Craddock, del dipartimento di medicina psicologica e neurologia dell’Università di Cardiff, hanno affermato che molti nella comunità psichiatrica sono preoccupati del fatto che più in là verranno spostati i parametri, più probabile sarà che nessuno venga più classificato come normale.

“Tecnicamente, con la classificazione di così tanti nuovi disturbi, tutti avremo dei disturbi”, hanno detto in un comunicato congiunto. “Questo potrebbe portare alla credenza che molte più persone ‘necessitano’ di farmaci per trattare le loro ‘condizioni’ – (e) molti di questi farmaci hanno effetti collaterali spiacevoli o pericolosi.”

Gli scienziati hanno affermato che la diagnosi “sindrome a rischio di psicosi” è particolarmente preoccupante, poiché potrebbe etichettare erroneamente dei giovani che possono avere soltanto una minima probabilità di sviluppare una malattia.

“È un po’ come dire a 10 persone con un comune raffreddore che sono ‘a rischio per una sindrome di polmonite”’ mentre è probabile che soltanto uno di loro la sviluppi”, ha detto Wykes al briefing. L’Associazione Americana di Psichiatria non ha risposto alla richiesta di un immediato commento.

Gli scienziati hanno fornito esempi dalla precedente revisione del DSM, chiamata DSM 4 e che includeva diagnosi più ampie e criteri per il disturbo da deficit attentivo con iperattività (ADHD), autismo e disturbo bipolare infantile.

Ciò, hanno affermato, ha “contribuito a originare false epidemie” di queste condizioni, specialmente negli Stati Uniti.

“Quanti medici, nell’ultimo decennio, sono stati arringati da genitori preoccupati a prescrivere farmaci come il Ritalin a bambini che non ne avevano realmente bisogno?” chiedono nel comunicato.

Milioni di persone in tutto il mondo, e molti di loro sono bambini, assumono farmaci per l’ADHD, incluso il Ritalin prodotto dalla Novartis, che conosciuto con il nome generico di metilfenidato, e farmaci simili, come Adderal e Vyvanse prodotti dalla Shire Plc’s. Soltanto negli Stati Uniti, le vendite di questi farmaci ammontavano a 4.8 miliardi di dollari nel 2008.

Wykes e Callard hanno pubblicato un commento sul The Journal of Mental Health esprimendo la loro preoccupazione riguardo la prossima revisione del DSM ed evidenziando una decina o più di articoli pubblicati nella stessa rivista da altri scienziati altrettanto preoccupati. Il DSM 5 dovrebbe essere pubblicato a maggio 2013.

Fonte: health.yahoo.net
 
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