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Forum » REATI DI TRIBUNALI MINORILI E CIVILI, SERVIZI SOCIALI E ALTRE ISTITUZIONI » DESCRIZIONE DELLA SITUAZIONE CON TRIBUNALI MINORILI E SERVIZI SOCIALI » GIRO DI DENARO INTORNO AGLI AFFIDAMENTI/ADOZIONI/ISTITUTI
GIRO DI DENARO INTORNO AGLI AFFIDAMENTI/ADOZIONI/ISTITUTI
dibattitopubblDate: Mercoledì, 20/05/2009, 23:51 | Message # 1
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Bambini sottratti ai genitori, un business miliardario

http://www.youtube.com/watch?v=m6YDlhlQaIU

 
VisitatoreDate: Giovedì, 21/05/2009, 00:19 | Message # 2
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http://www.aiutobambini.it/modules.php?op=modload&name=ContentManager&file=index&did=543

giovedì 5 ottobre 2006

Chiusura degli istituti: con l´affido il Comune ci guadagna.

Studio del Cergas-Bocconi: risparmio di 8mila euro per ogni bambino.

ROMA - Con l´affido i Comuni Italiani possono arrivare a risparmiare 8mila euro per ogni bambino: se infatti è di 13 mila euro la spesa media annua per ogni singolo minore ospitato nelle strutture di accoglienza, il costo in caso di affidamento supera di poco i 5 mila euro. Lo rivela uno studio del Centro di ricerche sulla gestione dell´assistenza sanitaria e sociale (Cergas) della Bocconi, che ha analizzato la situazione dell´assistenza ai minori fuori dalla famiglia, in relazione alla spesa degli enti locali per i servizi sociali a loro destinati. L´obiettivo di arrivare entro il 31 dicembre 2006 alla completa chiusura degli istituti minorili, potenziando nel frattempo lo strumento dell´affido, agli economisti della Bocconi sembra garantire, oltre ad una maggiore tutela del minore, anche un ritorno economico. Secondo lo studio infatti nel 2003, i Comuni hanno destinato ai servizi di adozione e affido e alle strutture residenziali per i circa 20mila minori "fuori famiglia” un totale di 339,5 milioni di euro dei circa 2 miliardi di euro spesi per i servizi sociali in genere. Di questi 339,5 milioni di euro, ben 275 milioni (l´81%) è assorbito dalla gestione delle strutture di accoglienza, tra cui gli Istituti per minori che ospitavano il 20% della popolazione minorile in esame, mentre la restante parte, circa 64 milioni, era destinata ai servizi per l´affido familiare e l´adozione (rispettivamente il 17% e il 2%). In particolare, il solo pagamento delle rette alle strutture di accoglienza assommava a oltre 155 milioni di euro.
Una “sproporzione notevole”, secondo l´economista Attilio Gugiatti, che ha curato la ricerca: “Bisogna spostare le risorse dalle attuali grandi strutture, come gli istituti, a forme di assistenza più soft e più vicine ai bambini e alle famiglie. Questo, non solo è moralmente più accettabile, poiché i risultati dal punto di vista della crescita e della serenità del minore sono migliori, ma anche perché rappresenta un risparmio sotto il profilo economico”. Forme di assistenza “dolce” in strutture più piccole, secondo Gugiatti, “sono più funzionali all´accoglienza e alle relazioni tra educatore e minore in difficoltà, con parametri di qualità e soprattutto di risultato più elevati rispetto alle strutture tradizionali”. Secondo l´economista è necessario “dare più soldi alle famiglie affidatarie e rendere più agevole il processo di adozione, che risente dei limiti troppo rigidi della legislazione”.

 
VisitatoreDate: Giovedì, 04/06/2009, 23:25 | Message # 3
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Molto spesso queste famiglie o coppie che subiscono provvedimenti dei giudici si affidano ad avvocati e consulenti vari (psicologi e altre figure) che a parte far spendere un sacco di soldi non vanno al nocciolo della questione, forse propio perchè queste persone lavorando da anni insieme, non vogliono provare a rompere quella routine che ormai è diventata la base per l'affido di minori sia per sempre che temporaneo.
Oltre tutto non tutti possono permettersi consulenti privati o avvocati, e anche se fosse l'ingiustizia sta nel fatto di utilizzare soldi che potrebbero essere utilizzati per i propi figli per farsi una propia linea di difesa, che cambia poco il nocciolo della questione, parlo sempre di casi in cui non vi sono reati diciamo penali, ma solo di provvisoria lacuna dei genitori o errata diciamo interpretazione degli assistenti sociali, dato che il contradittorio non esiste propio, altra gravissima lacuna. (oltre a diglierne di persona che poco serve).
Un aspetto che andrebbe approfondito è quello anche del mantenimento dei figli, dato che come scritto sul sito Europa per i diritti fondamentali, entrambi i genitori dovrebbero provvedere al fabbisogno dei figli, quando in realtà basterebbe che uno (il padre o la madre), abbiano i mezzi a sufficienza per vivere, e non pretendere l'impossibile in una sociètà che offre ben poco dal punto di vista lavorativo, cioè la famiglia ideale anche se esiste non può essere l'unico modello da prendere in considerazione dai vari tribunali per i minori e assistenti sociali, molte volte usando la retorica del "Bene superiore" per far andare avanti così la baracca.
E' la dove sarebbe richiesto di vigilare su casi molto più gravi, si arriva sempre dopo, il sistema per me andrebbe riformato se non addirittura abolito.
I punti secondo me dove bisognerebbe intervenire sono:

Figura del contradittorio, neutrale al di fuori della struttura,

Personale e psicologi vari, neutrali e al di fuori di vincoli amicizia assistenti sociali o altro.

Tribunale dei minori, richiesto (se non abolito) solo in casi dove vi siano reati penali, e non come mal interpretazione di resoconti di assistenti sociali più o meno in malafaede.

Possibilità per i genitori o il genitore di avere colloqui reali e non una volta ogni tot anni, presso il tribunale dei minori, e comunque di poter far valere le propie opinioni, se ripeto non vi sono reati tali da rendere inutile discorsi di questo tipo.

Figure di controllo al di fuori dei Comuni di residenza per assistenti sociali, non il tribunale dei minori che come tutta la giustizia italiana è magari intasato nelle sue procedure, o peggio si fida ciecamente di queste figure.

Nessun legame di strutture privato o pubbliche con chi si occupa di minori, onde evitare interessi di parte, cosa molto difficile.

Procedure di affido molto più trasparenti, non fingendo malattie o esami per poter far stare il minore in attesa di essere trasferito presso un altra famiglia, come se fosse un sequestro.

Famiglia che si deve conoscere almeno tramite documenti ufficiali, e non sapere dopo dove è andato a finire il minore senza nessuna garanzia di essere supervisionato da qualcuno al di fuori del servizio sociale.

Invio di documenti, efficienza in generale maggiore, dei tribunali e non metterci anni per fare qualche foglio da spedire alla famiglia per comunicare atti o provvedimenti, come se fossero le ultime persone ad averne i diritto.

Meno finto buonismo e più realismo.

Cosa quasi impossibili che si realizzino.

A voi il proseguimento del vostro forum.

 
AmmiratoreDate: Venerdì, 16/10/2009, 14:28 | Message # 4
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Bambini tolti alle famiglie e affidati alle comunità. Un business nato sul disagio

06/06/2009

http://media.causes.com/ribbon/542715

NOVARA - Si moltiplicano gli interventi di chi chiede che venga scelta una strada diversa rispetto alla sottrazione tout court e che si aiutino i genitori a imparare “ad educare”. Nel recente convegno organizzato dall’associazione “Tu sei mio figlio” tra le molte cose segnalate dagli intervenuti (qualcuna, come vedremo, anche particolarmente provocatoria) qualcosa è rimasta sullo sfondo, tra il detto e il non detto: un concetto che si può esprimere come il business nato sul disagio minorile, sul degrado familiare. E’ il concetto sul quale è nato, proprio in Piemonte, il progetto “Cresco a casa”, basato sull’assunto che “un genitore - si legge nel manifesto programmatico firmato da una dozzina di associazioni - di fronte a psicologi, psichiatri e assistenti sociali, può ritrovarsi accusato di colpe mai commesse, sulla base di opinioni soggettive proclamate o come parere ‘medico’ o come parere ‘scientifico’. Il fenomeno di cui parliamo è conosciuto come allontanamento coatto dei bambini dalla famiglia e loro collocamento in comunità alloggio, affido o adozioni”. Comunità che vengono finanziate con soldi pubblici e che sono cresciute in maniera esponenziale. I dati, forniti proprio in occasione del progetto “Cresco a casa”, sono significativi: nella Regione Piemonte, nel 2006, 3498 minori risultano allontanati dalle loro famiglie naturali. Di questi 2319 sono accuditi da altre famiglie con lo strumento dell’affido familiare e 1179 vivono presso comunità. Sono 130 i milioni di euro spesi dalla Regione per tutto quello che ruota attorno a queste situazioni. Le motivazioni per le quali i bambini vengono allontanati dalla famiglia sono le più varie. Alcune “voci” sono particolarmente significative: “Incapacità e metodi educativi non idonei”, “Impossibilità dei genitori a seguire i figli”, “Gravi problemi relazionali o comportamentali, “Problemi relativi all’ambito scolastico”. Qualcosa di ben diverso dagli abusi o dai maltrattamenti e, soprattutto, queste “voci” hanno un’incidenza preponderante nei casi di allontanamento: si arriva a sfiorare l’80%. “A monte c’è l’aspetto economico - suggerisce Vittorio Apolloni, presidente del Centro documentazione falsi abusi - A seconda dei casi, un bambino affidato a una comunità costa migliaia di euro al mese. Sarebbe sufficiente dedicare un decimo di quei 130 milioni spesi per i bambini in comunità o in affido per ‘educare’ le famiglie e la maggior parte degli allontanamenti non ci sarebbero”. “Non è un caso che in Piemonte ci sono 200 comunità - aggiunge Apolloni – e il numero è in aumento. Il business sui minori non risente della crisi...”

Added (16/10/2009, 14:28)
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http://www.sardegnaoggi.it/notizia.php?notizia=8497

lunedì, 12 marzo 2007

Provincia Cagliari: 131 affidi di minori in comunità

Sono 131 i minori ospitati nelle 21 comunità alloggio della provincia di Cagliari al 15 gennaio
2007. Si tratta di 69 maschi e 62 femmine, 87 provenienti dal cagliaritano, mentre 44 (tra bambini e bambine) arrivano da altre province.
Alla fine del 2006 i minori erano invece 208, 154 ospitati nelle comunità alloggio e 54 in affido eterofamiliare. Sono i dati principali che emergono dal “Primo
monitoraggio dei minori in comunità alloggio e in affido familiare nella provincia di Cagliari”, curato dall'Osservatorio delle Politiche Sociali della stessa Provincia ed illustrato dall'Assessore competente in materia, Angela Quaquero, dalla presidente del Tribunale per i Minorenni di Cagliari, Lucia La Corte, e dal ricercatore, Giuseppe Fara.

CAGLIARI - I problemi economici della famiglia, maltrattamenti o incuria e condotta non sempre esemplare dei genitori hanno suggerito ai servizi sociali, in caso di affidamento consensuale (74,8% dei casi), o al Tribunale per i minori, in caso di inserimento non consensuale da parte della famiglia di origine (1 su 4) l'affido dei minori ad una comunità protetta. In questo caso la differenza di genere si fa sentire laddove per i maschi viene rispecchiata la fotografia generale, mentre per le femmine si affaccia, in aggiunta, il problema di violenze sessuali (16,1% del totale) tra le mura domestiche o esterne ad esse, ma che non hanno trovato un adeguato sostegno all'interno della famiglia naturale.

I minori presenti nelle Comunità alloggio della Provincia di Cagliari provengono generalmente
dalle famiglie di origine (95 su 131) e meno da famiglie adottive, parenti o istituti di varia natura (36 su 131), ma, come si evince nel rapporto, solo il 44,3% dei genitori incontra di frequente il minore alloggiato nella Comunità, mentre nel 32,9% dei casi i minori possono riabbracciare il padre e la madre una volta ogni sei mesi o addirittura mai. Altra differenza che emerge dallo studio e' la tipologia del minore ospitato: le classi di età si equivalgono quando si tratta di maschi, mentre la prevalenza dei ragazzini in età pre o adolescenziale si fa maggiormente sentire tra le piccole ospiti (oltre il 65%). In media i minori vengono ospitati per meno di un anno (39,7%) e comunque per periodi che non superano i tre anni (circa 89%) e due minori su dieci sono disabili (26 su 131) con handicap legati soprattutto alla sfera psichica (69,2%). Nel caso di un eventuale affido in una famiglia che non sia quella di origine, dopo l'esperienza della comunità, viene espressa, dagli operatori e dagli stessi minori, una percezione piuttosto negativa: rispettivamente 70 e 75 casi su 131 ritengono che i risultati sarebbero “scarsi”.

Intanto, dopo due mesi di campagna per l'affido eterofamiliare, portata avanti dall'Assessorato provinciale delle Politiche Sociali, sono state raccolte 100 richieste da parte di famiglie che si sono rese disponibili a ospitare temporaneamente un minore (in massima tra i 7 ed i 10 anni). Ottanta famiglie sono in fase di formazione, mentre 10 hanno già concluso un percorso formativo e sono in attesa di poter accogliere i bambini. ''E' più facile ricoverare un bambino o un adolescente in una comunità alloggio che in una famiglia affidataria – ha sottolineato l'assessore Quaquero – perchè questo porta ad una immediata soluzione del problema che ha causato l'allontanamento dalla famiglia di origine”. In termini economici un minore inserito in una comunità alloggio “costa” al Comune di residenza 80 euro al giorno, mentre la famiglia affidataria percepisce un assegno di circa 500 euro mensili. Il passo successivo al rapporto vede l'allargamento della rete per l'affido eterofamiliare (ora coinvolge Provincia, 7 comuni dell'hinterland cagliaritano, Asl 8 e Tribunale dei minori) e poi la firma di un protocollo di qualità delle strutture protette. Attualmente le 21 strutture del cagliaritano possono ospitare circa 150 minori ed il coefficiente di riempimento si attesta sull'85%.

 
VisitatoreDate: Venerdì, 16/10/2009, 15:20 | Message # 5
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http://www.papaseparatilombardia.org/on_line/categorie.asp?pr=262

Da uno studio del Centro di ricerche sulla gestione dell´assistenza sanitaria e sociale (Cergas) della Bocconi

ROMA - Con l´affido i Comuni Italiani possono arrivare a risparmiare 8mila euro per ogni bambino: se infatti è di 13 mila euro la spesa media annua per ogni singolo minore ospitato nelle strutture di accoglienza, il costo in caso di affidamento supera di poco i 5 mila euro. Lo rivela uno studio del Centro di ricerche sulla gestione dell´assistenza sanitaria e sociale (Cergas) della Bocconi, che ha analizzato la situazione dell´assistenza ai minori fuori dalla famiglia, in relazione alla spesa degli enti locali per i servizi sociali a loro destinati. L´obiettivo di arrivare entro il 31 dicembre 2006 alla completa chiusura degli istituti minorili, potenziando nel frattempo lo strumento dell´affido, agli economisti della Bocconi sembra garantire, oltre ad una maggiore tutela del minore, anche un ritorno economico. Secondo lo studio infatti nel 2003, i Comuni hanno destinato ai servizi di adozione e affido e alle strutture residenziali per i circa 20mila minori "fuori famiglia” un totale di 339,5 milioni di euro dei circa 2 miliardi di euro spesi per i servizi sociali in genere. Di questi 339,5 milioni di euro, ben 275 milioni (l´81%) è assorbito dalla gestione delle strutture di accoglienza, tra cui gli Istituti per minori che ospitavano il 20% della popolazione minorile in esame, mentre la restante parte, circa 64 milioni, era destinata ai servizi per l´affido familiare e l´adozione (rispettivamente il 17% e il 2%). In particolare, il solo pagamento delle rette alle strutture di accoglienza assommava a oltre 155 milioni di euro. Una “sproporzione notevole”, secondo l´economista Attilio Gugiatti, che ha curato la ricerca: “Bisogna spostare le risorse dalle attuali grandi strutture, come gli istituti, a forme di assistenza più soft e più vicine ai bambini e alle famiglie. Questo, non solo è moralmente più accettabile, poiché i risultati dal punto di vista della crescita e della serenità del minore sono migliori, ma anche perché rappresenta un risparmio sotto il profilo economico”. Forme di assistenza “dolce” in strutture più piccole, secondo Gugiatti, “sono più funzionali all´accoglienza e alle relazioni tra educatore e minore in difficoltà, con parametri di qualità e soprattutto di risultato più elevati rispetto alle strutture tradizionali”. Secondo l´economista è necessario “dare più soldi alle famiglie affidatarie e rendere più agevole il processo di adozione, che risente dei limiti troppo rigidi della legislazione”.

 
VisitatoreDate: Giovedì, 22/10/2009, 09:56 | Message # 6
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DECRETO 23 giugno 2006 (GURS VENERDÌ 11 AGOSTO 2006 - N. 38)

Rideterminazione delle rette di ricovero delle comunità alloggio per minori sottoposti a provvedimento dell'autorità giudiziaria minorile, per l'anno 2006.

IL DIRIGENTE GENERALE DEL DIPARTIMENTO REGIONALE DELLA FAMIGLIA, DELLE POLITICHE SOCIALI E DELLE AUTONOMIE LOCALI

Visto lo Statuto della Regione;
Vista la legge regionale 9 maggio 1986, n. 22;
Visto il D.P.Reg. 4 giugno 1996, che ha approvato gli schemi di convenzione-tipo per la gestione da parte dei comuni dei servizi socio-assistenziali previsti dalla legge regionale n. 22/86 ed, in particolare, l'art. 14 dello schema di convenzione-tipo per la gestione delle comunità-alloggio per minori, che ha stabilito l'adeguamento annuale degli oneri di gestione in relazione all'indice ISTAT di variazione media dei prezzi al consumo;
Visto il decreto n. 1153/S3 del 19 aprile 2005, che ha fissato nella seguente misura le spese di gestione da rimborsare agli enti assistenziali gestori di comunità alloggio per minori:
- compenso fisso mensile per ogni posto convenzionato E 1.325,75
- retta giornaliera di mantenimento E 22,85

Rilevato che l'indice di variazione medio dei prezzi al consumo per l'anno 2005 da applicare al corrente anno risulta pari all'1,7%, così come da nota dell'Assessorato del bilancio e delle finanze - dipartimento bilancio e finanze - servizio statistica prot. n. 12438 del 16 marzo 2006;
Ritenuto di dover applicare agli oneri di gestione previsti per l'anno 2005 l'incremento dell'1,7% in attuazione del citato art. 14 del D.P.Reg. 4 giugno 1996;

Decreta:

Art. 1

Le spese di gestione che i comuni sono tenuti a corrispondere agli enti assistenziali gestori di comunità alloggio per minori sottoposti a provvedimento dell'autorità giudiziaria minorile, per l'anno 2006, sono così determinate:
a) compenso fisso mensile per ogni posto convenzionato E 1.348,28
b) retta giornaliera di mantenimento E 23,23

Art. 2

Il presente decreto sarà trasmesso ai comuni interessati e alla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana per la pubblicazione.
Palermo, 23 giugno 2006.
TAORMINA

Vistato dalla ragioneria centrale per l'Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e delle autonomie locali in data 4 luglio 2006 al n. 641.

 
dibattitopubblDate: Sabato, 31/10/2009, 22:32 | Message # 7
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http://www.youtube.com/watch?v=bzxJrJ0O7x4

Luca Steffenoni, criminologo - Abusi, falsi abusi, separazioni tra coniugi, business sulla pelle dei bambini-
Per ogni 10 bambini rinchiusi in una casa famiglia, 8 "specialisti" percepiscono lo stipendio.
26mila bambini rinchiusi in Italia x una spesa dello Stato di 1898 milioni di euro (cifra sottostimata).

 
VisitatoreDate: Sabato, 05/12/2009, 12:08 | Message # 8
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Vanno aboliti i tribunali minorili, istituiti nel 1934 per i soli reati PENALI commessi da minorenni e - oggi - tribunali "speciali", vietati dall'ordinamento repubblicano!
Vanno elimibate le case delle "mammone" semianalfabete, titolari con il coniuge di veri e propri lager, pagati dai contribuenti, insieme con le rette pagate alle case-famiglia oggi trasformste, ma pur sempre lager-ghetto, strutture che, con le altre, servono unicamente per sfruttare lucrosamente sulla pelle dei minori.
Vanno eliminati i servizi sociali, nati per ben altri scopi che non quelli attuali, quando addirittura svolgono compiti di istruttoria (normalmente riservata ai magistrati) senza contraddittorio, servuzi che oggi addirittura "consigliano" i giudici di sorveglianza, operatori del sociale in maggioranza "senza arte e senza parte", praticone isteriche femministe mutuate da cooperative e organizzazioni precedenti (scuole e corsi ENAIP), con tassativa tessera rossa in tasca!
VA ELIMINATA L'OTTUSA ED INCONDIVISIBILE DISCRIMINAZIONE VERSO IL SESSO MASCHILE, in prevalenza destinatariondelle più assurde accuse ed infamie in materia di sequestro di minori ai padri!
Va fatta tassativamente osservare la L 54/2006, bellamente elusa da magistrati per boicottaggio contro Berlusconi e, da avvocati e psicologi, fatta raggirare mediante sofismi penosamente e risibilmente contraddittorii nel corpo delle relazioni stesse!
In sintesi: BLOCCARE QUESTA ASSURDA STRAGE DEI RAPPORTI GENITORIALI: TUTTI QUESTI PARASSITI NON HANNO TITOLO ALCUNO PER POTER DISPORRE O PROGRAMMARE LA VITA ALTRUI IN TEMA DI GENITORIALIITA'.
<b>MINORI e GENITORI FUORI DALLE AULE DELLA (MALA)GIUDTIZIA ITALIANA ED OCCIDENTALE!!!!...
INCALCOLABILI ED IRRIMEDIABILI SONO I DANNI ARRECATI AI MINORI ED AI GENITORI DA QUEST'ORDA BARBARICA di VILI SPECULATORI!!!!</b>
Dott. Sergio Sanguineti
05/12/2009
 
MariaRosaDeHellagenDate: Domenica, 18/04/2010, 08:08 | Message # 9
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http://www.dirittominorile.it/news/news.asp?id=554

giovedì 5 ottobre 2006
Chiusura degli istituti: con l´affido il Comune ci guadagna.

Studio del Cergas-Bocconi: risparmio di 8mila euro per ogni bambino.

Chiusura degli istituti: con l´affido il Comune ci guadagna. ROMA - Con l´affido i Comuni Italiani possono arrivare a risparmiare 8mila euro per ogni bambino: se infatti è di 13 mila euro la spesa media annua per ogni singolo minore ospitato nelle strutture di accoglienza, il costo in caso di affidamento supera di poco i 5 mila euro. Lo rivela uno studio del Centro di ricerche sulla gestione dell´assistenza sanitaria e sociale (Cergas) della Bocconi, che ha analizzato la situazione dell´assistenza ai minori fuori dalla famiglia, in relazione alla spesa degli enti locali per i servizi sociali a loro destinati. L´obiettivo di arrivare entro il 31 dicembre 2006 alla completa chiusura degli istituti minorili, potenziando nel frattempo lo strumento dell´affido, agli economisti della Bocconi sembra garantire, oltre ad una maggiore tutela del minore, anche un ritorno economico. Secondo lo studio infatti nel 2003, i Comuni hanno destinato ai servizi di adozione e affido e alle strutture residenziali per i circa 20mila minori "fuori famiglia” un totale di 339,5 milioni di euro dei circa 2 miliardi di euro spesi per i servizi sociali in genere. Di questi 339,5 milioni di euro, ben 275 milioni (l´81%) è assorbito dalla gestione delle strutture di accoglienza, tra cui gli Istituti per minori che ospitavano il 20% della popolazione minorile in esame, mentre la restante parte, circa 64 milioni, era destinata ai servizi per l´affido familiare e l´adozione (rispettivamente il 17% e il 2%). In particolare, il solo pagamento delle rette alle strutture di accoglienza assommava a oltre 155 milioni di euro.
Una “sproporzione notevole”, secondo l´economista Attilio Gugiatti, che ha curato la ricerca: “Bisogna spostare le risorse dalle attuali grandi strutture, come gli istituti, a forme di assistenza più soft e più vicine ai bambini e alle famiglie. Questo, non solo è moralmente più accettabile, poiché i risultati dal punto di vista della crescita e della serenità del minore sono migliori, ma anche perché rappresenta un risparmio sotto il profilo economico”. Forme di assistenza “dolce” in strutture più piccole, secondo Gugiatti, “sono più funzionali all´accoglienza e alle relazioni tra educatore e minore in difficoltà, con parametri di qualità e soprattutto di risultato più elevati rispetto alle strutture tradizionali”. Secondo l´economista è necessario “dare più soldi alle famiglie affidatarie e rendere più agevole il processo di adozione, che risente dei limiti troppo rigidi della legislazione”.

 
MariaRosaDeHellagenDate: Domenica, 18/04/2010, 08:15 | Message # 10
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giovedì 19 marzo 2009
A Napoli chiudono le case-famiglia.

Mancano i soldi, ragazzini per strada.

A Napoli chiudono le case-famiglia. Adesso che ha chiuso anche Itaca le isole di Francesco sono davvero finite. Il nome è di fantasia, lo sguardo furbo, i capelli tinti di biondo con due dita di ricrescita nera e tutto il resto sono veri. Appena 14 anni, gli ultimi tre li ha passati in una comunità per minori, allontanato da una madre con gravi problemi psicologici ed economici. Il posto si chiamava Itaca, e nel grigio della periferia di Casoria era quel che prometteva di essere. Un rifugio per quei ragazzi perduti che sono il simbolo della crisi.
I ritardi nei pagamenti da parte del Comune di Napoli, gli educatori che scelgono di emigrare dopo due anni senza stipendio. Nessuna Itaca può resistere se rimane senza pane. La comunità ha chiuso nel novembre del 2008. Francesco entra in un altro centro per adolescenti, questa volta a Portici. Quattro mesi e si chiude per lo stesso motivo, l´atavico ritardo nei pagamenti. Il ragazzo finisce in una terza struttura, ma anche questa spegne le luci dopo poche settimane. Dall´inizio del 2009, sono cinque i centri di accoglienza per l´infanzia e per l´adolescenza che hanno cessato l´attività, tutti per lo stesso motivo. Francesco è stato «latitante» per due mesi, con l´aiuto della polizia i servizi sociali lo hanno ritrovato nei vicoli del centro.
Ce ne sono tante, di storie come queste. E negli ultimi mesi ci si è un po´ dimenticati di Napoli. Saturazione, forse. La politica locale, ritrovata una relativa tranquillità, ha gli occhi puntati al 31 marzo, giorno nel quale dovrà essere approvato il bilancio di previsione 2009. Passaggio sempre delicato, ancora di più quest´anno, visto che il professor Riccardo Realfonzo, «tecnico» scelto per far dimenticare l´inchiesta-Romeo, ha candidamente parlato di «voragine », stigmatizzando una gestione all´insegna di «sprechi, consulenze inspiegabili, spese dirigenziali assolutamente fuori controllo, mancate riscossioni di dimensioni scandalose ». All´ultima voce vanno aggiunti i 40 milioni di euro di multe che nessuno si è mai preoccupato di incassare.
La misura del disastro è nelle cifre dell´Ufficio Studi di Mediobanca, che in una ricerca sulle società controllate dai maggiori comuni italiani ha scoperto che tra 2003 e 2007 le perdite accumulate da quelle napoletane raggiungono i 225 milioni. Nella voragine sono caduti per primi i più deboli. Non c´è più un centesimo. «Massima preoccupazione per la profonda crisi che attanaglia i servizi sociali a Napoli e provincia, dove la situazione si è fatta del tutto insostenibile. Progetti e servizi essenziali sono sospesi, chiudono o vengono realizzati da enti che sopportano ritardi dei pagamenti da parte del Comune di Napoli che in alcuni casi oltrepassano i 24 mesi. Gli enti non riescono più a far fronte agli anticipi e gli operatori non riescono più a non essere pagati ». La richiesta d´aiuto del Coordinamento nazionale delle comunità d´accoglienza è caduta nel silenzio, così come quella delle comunità per disabili che hanno invocato lo stato di crisi. Ma la paralisi è totale, perché al cosiddetto terzo settore viene appaltato l´85% delle attività a tutela delle fasce deboli.
Chiudono le case-famiglia, quelle che dovrebbero accogliere i ragazzi che il Tribunale dei minori allontana dai genitori, a novembre hanno chiuso per mancanza di fondi i Nidi di Mamme, progetto che in quartieri come Barra e San Giovanni accoglieva 80 bimbi immigrati e non, dove lavoravano 24 educatrici e 60 madri volontarie. Ripartiranno per qualche mese con fondi speciali della Regione, ma il futuro si annuncio pessimo. La realtà napoletana è una continua corsa a misure-tampone. Alcune comunità incaricate di accogliere i ragazzi che il Tribunale ha allontanato dalle loro famiglie non ricevono soldi dal dicembre 2007. I bambini diversamente abili non sono andati a scuola per tutto l´inverno. L´associazione incaricata del loro trasporto non aveva i soldi per pagare polizze di assicurazione e benzina dei pullman.
«La colpa è nostra, non c´è dubbio ». Giulio Riccio, assessore alle Politiche sociali, è l´uomo chiamato a tappare la falla con un dito. «Napoli stanzia 20 milioni di euro solo per le comunità che accolgono i minori. Altre città del Sud non arrivano a 2». Il problema è che si tratta di soldi virtuali come quelli del Monopoli. «Non lo facciamo apposta. Ci mettiamo davvero 24 mesi a raccoglierli ». I motivi del ritardo? «Stato e Regione che mandano i soldi in ritardo, trasferimenti di risorse bloccati, tagli imposti al bilancio, 70 milioni di euro solo quest´anno. Colpa nostra, ma non prendiamoci in giro. Esistono diversi tipi di spese. In un´area socialmente disastrata come Napoli, quelle per i soggetti svantaggiati dovrebbero essere libere dai vincoli del patto di stabilità. Così non è, anzi. La crisi picchia forte soprattutto sui più deboli. Se ne ricordino tutti, quando ci sarà da commentare la prossima emergenza napoletana».

Fonte: corriere.it

 
amadeus96Date: Lunedì, 19/04/2010, 16:50 | Message # 11
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Se veri orfani (oppure ABBANDONATI), i parassiti "legali" AVREBBERO DOVUTO FARE IN MODO CHE VENISSERO ADOTTATI DA PICCOLI, APPENA NATI.
Se, invece, trattasi di "orfani artificiali" (ossia bimbi espropriati o - meglio - dai tribunali rubati alla famiglia naturale), si faccia in modo CHE QUESTI BAMBINI VENGANO RESTITUITI ALLA PROPRIA FAMIGLIA n a t u r a l e !!!!!!...
E' quasi giunto il momento in cui DEBBA essere fatta cessare la speculazione sulla pelle dei minori, unicamente protetti per l'altrui tornaconto, con sfacciata carità pelosa!.....


Sergio Sanguineti

Ein Herz für Kinder!

Message edited by amadeus96 - Lunedì, 19/04/2010, 16:58
 
AmministratoreDate: Domenica, 08/05/2011, 03:36 | Message # 12
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http://www.repubblica.it/cronaca/2011/04/29/news/inchiesta_italiana-15507476/

INCHIESTA ITALIANA
Bambini in casa-famiglia business da un miliardo all'anno
In Italia sono ventimila i minori ospiti di strutture. L'affare consiste nel prolungare i tempi di permanenza. Solo un piccolo su cinque è affidato a coppie in attesa

di PAOLO BERIZZI

Si chiamano Marinella, Mirko, Daria, Luciano, Valentina. Altri hanno nomi di battesimo esotici o che evocano genealogie di altri paesi europei (molto Est). Non si può nemmeno dire che siano figli di un dio minore: sono figli di nessuno. Anzi: sono, diventano, figli delle istituzioni. Dei servizi sociali. Dei tribunali. Di una sentenza. Entrano in una casa-famiglia da neonati e, sembra paradossale, a volte ci restano fino a quando diventano maggiorenni. E per tutto quel tempo capita che si chiedano perché non li affidano a una famiglia, visto che un nuovo padre e una nuova madre si sono fatti avanti e non vedono l'ora di riempirli di affetto, di amore. Può persino accadere che, una volta raggiunti i 18 anni, e uscito dalla struttura in cui sei cresciuto, ti tocchi ritornare nella famiglia di origine. Come se il tempo non fosse mai passato, o, peggio, inutilmente.

L'ESERCITO DI NESSUNO
In Italia ci sono oltre 20 mila giovani - tra neonati, bambini e ragazzi - ospitati da strutture di accoglienza. Sono istituti riservati a chi è stato allontanato dai genitori naturali o non li ha proprio mai conosciuti. Solo uno su cinque di questi ospiti viene assegnato (con adozione o affido) dai tribunali alle famiglie che ne fanno richiesta (più di 10mila). È una media bassissima, tra le più scarse d'Europa. Il motore che alimenta questa "stranezza" italiana è una nebulosa dove le cause nobili lasciano il posto al business e agli interessi di bottega. Ogni ospite che risiede in una casa-famiglia
costa dai 70 ai 120 euro al giorno. La retta agli istituti (sia religiosi sia laici) viene pagata dai Comuni. Soldi pubblici, dunque. Erogati fino a quando il bambino resta "in casa". Un giro d'affari che si aggira intorno a 1 miliardo di euro l'anno. Tanto ricevono le oltre 1800 case famiglia italiane per mantenere le loro "quote" di minori. Ma un bambino assegnato a una coppia è una retta in meno che entra nelle casse della comunità. E così, purtroppo, si cerca di tenercelo il più a lungo possibile. La media è 3 anni. Un'eternità. Soprattutto se questo tempo sottratto alla vita familiare si colloca nei primi anni di vita. Quelli della formazione, i più importanti per il bambino.

Anche da qui si capisce perché migliaia di coppie restano in biblica attesa che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Poi ovviamente ci sono anche altri fattori, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie.

Da dove nasce questo cortocircuito? Chi lucra sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche? "Il mondo degli affidi e delle case famiglia sta attraversando un momento difficilissimo - dice Lino D'Andrea, presidente di Arciragazzi, un'associazione nazionale che si occupa di diritti dell'infanzia - . Ci sono situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Mi riferisco, in particolare, ai casi più estremi. Che purtroppo sono diffusissimi. E cioè quei ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare. Una cosa del genere non dovrebbe essere tollerata. Perché è l'esatta negazione della funzione delle case famiglia. La rappresentazione esatta di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza - che dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di "parcheggio" temporaneo in attesa dell'affido - può naufragare". A Napoli ci sono due comunità di Arciragazzi. Altre tre erano a Palermo. Dopo mille difficoltà, D'Andrea ha dovuto chiuderle. Perché? "Il Comune di Palermo non ha mai pagato le rette (alla fine ammontavano a più di 750mila euro)" - spiega. In pratica l'epilogo opposto rispetto a quanto accade in altri comuni e per altri istituti, che campano proprio perché alimentati dal rubinetto dei fondi pubblici (ultimamente un po' a secco per la mancanza di risorse dei Comuni). "I ragazzi sono finiti tutti a casa mia. Uno l'ho anche preso in affidamento. L'alternativa era la strada. Ma uno che lavora coi ragazzi - con questi ragazzi - piuttosto che lasciarli in mezzo alla strada se ne va lui di casa".

COME PACCHI POSTALI
Il destino più comune per un bambino che cresce in una casa famiglia è quello di diventare un pacco. Sballottato di qua e di là, da una comunità all'altra. A volte i centri se li contendono come merce preziosa. Perché con un minore "in casa" ogni giorno piovono dal cielo rette da 70 euro a 120. Una "diaria" di cui si fa un utilizzo non esattamente "pieno". Operatori laici o suore riescono a contenere le spese facendole stare abbondantemente dentro la retta concessa dai Comuni. Quello che resta diventa liquidità a disposizione della struttura (molte case famiglia vengono mantenute con fondi messi a disposizione dal ministero della famiglia e anche grazie a donazioni private).

Quante sono le case famiglia in Italia? Chi controlla il loro operato, anche amministrativo? Le stime più recenti parlano di oltre 1800 strutture distribuite da Nord a Sud. Con alcune regioni - Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia - che raggiungono numeri più consistenti (tra le 250 e le 300). Nonostante le casse (e i relativi finanziamenti) di molti Comuni siano al verde, le case-famiglia sono in continuo aumento. Il problema è che non esiste un monitoraggio. Si conosce pochissimo di questi posti e di quello che accade all'interno. Numeri, casi, situazioni, problemi, nella maggior parte dei casi vengono portati all'esterno solo grazie alla sensibilità di qualche operatore e/o assistente sociale. Perché una banca dati c'è ma è insufficiente e non esiste un vero censimento. Dopo che nel 2008 i parlamentari Antonio Mazzocchi e Alessandra Mussolini (presidente della commissione bicamerale per l'Infanzia) hanno lanciato un appello al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e al presidente del consiglio Berlusconi, il sottosegretario alla giustizia Casellati ha varato un database "all'italiana - incalza Mussolini - perché riguarda solo le adozioni e non contempla anche i casi, numerosissimi, di affido. La realtà è che aspettiamo ancora un censimento vero e proprio e un adeguamento così come prevede la legge 149/2001" (progressiva chiusura degli orfanotrofi, inserimento dei bambini nelle famiglie attraverso lo strumento dell'affido, per arrivare gradualmente a un'adozione, o all'inserimento dei minori nelle case famiglia).

L'ASSENZA DI CONTROLLI
E i controlli sui luoghi dove i bambini vengono parcheggiati? Chi vigila sugli istituti che ospitano i senza-famiglia? "Esistono centinaia di enti e associazioni no profit che hanno il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi. Ma nessuno è in grado di fornire numeri esatti". Risultato: ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile. "Cerchiamo di raccogliere più dati possibili - dice Francesca Coppini, dell'Istituto degli innocenti di Firenze (tre strutture residenziali per piccoli da 0 a 6 anni, mamme e gestanti) - ma è tutt'altro che facile in mancanza di una vera organizzazione da parte delle istituzioni".

Buio pesto anche sul fronte delle verifiche. "Lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese - aggiunge Lino D'Andrea - . Sarebbe utile che ogni casa-famiglia rendesse pubblica le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto è che, in assenza di informazioni, i bambini stanno in questi posti e nessuno gli fa fare niente. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite".
Il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15mila e i 20mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei "flussi" è anche un problema legato alla sicurezza (adescamento, pedofilia).

C'è anche un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe deleghe sparpagliate tra vari ministeri (Pari opportunità, Lavoro, Giustizia, Gioventù) e anche senza portafogli. Con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente.

Gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati, c'è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a 30-40 euro. Teoricamente più la abbassi e più bambini riesci a far confluire nella tua struttura attraverso l'input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale.

Altra nota dolente, i tribunali. Solo nel tribunale di Milano, ogni anno si accumulano 5mila fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. "I magistrati non riescono a seguire la pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti dal territorio di competenza - ragiona un operatore dell'infanzia - . La maggior parte sono parcheggiati in un posto senza che nessuno lo segua davvero".

Le storie che vengono a galla compongono un campionario da fare accapponare la pelle. Ma se si prova a restare lucidi, si capisce come ogni vita congelata o sfilacciata, ogni odissea che abbia per protagonista un bambino "di nessuno" si deposita sullo stesso fondo di mala amministrazione. "Le case-famiglia sono una risorsa importante per il reinserimento del minore - spiega l'avvocato Andrea Falcetta, di Roma - ma la permanenza di un bambino va gestita con cura e deve rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare".

Paolo ha compiuto 18 anni dentro un istituto dell'Aquila. La responsabile, una suora, quando Paolo era adolescente, sostiene e favorisce per un anno gli incontri con una coppia con due figli, di cui uno adottivo. A legame consolidato, la coppia si offre per l'affidamento di Paolo, la suora cambia idea e il tribunale nega l'affidamento. Ora, con la maggiore età, è la stessa famiglia ad occuparsi del ragazzo. Brescia. Monica, 7 anni, subisce molestie dal padre; la mamma si rivolge al tribunale e ai servizi sociali: i quali decidono di mettere la bambina in un istituto punendo anche la madre. Una bambina di Lecce viene strappata ai genitori accusati di non nutrirla abbastanza perché vegetariani. la famiglia resta in una comunità per quasi un anno. la madre è autorizzata a stare con la bambina nell'istituto di suore, per essere "rieducata" dagli assistenti sociali. La signora testimonia che nei lunghi e numerosi colloqui con gli educatori non si è mai parlato delle possibili problematiche della bambina ma le domande che le venivano poste riguardavano solo i suoi rapporti sessuali con il marito. Oggi, riottenuta la figlia dal tribunale, genitori e bambina sono emigrati felicemente in Svizzera. Roma. Il tribunale affida Daria, 4 anni, ai servizi sociali e questi la indirizzano in un "centro di aiuto" contro la volontà dei genitori (gli esami escludono ogni tipo di violenza sulla bambina). Tuttavia sono gli stessi genitori a chiedere all'Asl un'insegnante di sostegno visto il lieve ritardo psichico di cui soffre la bambina. Ricusato il consulente del tribunale e nominato uno nuovo, emerge infine che i problemi di Daria erano dovuti ad una sofferenza da parto (mancanza di ossigeno per qualche istante) e che dunque avevano natura medica e non psicologica: dopo 8 mesi di casa famiglia la bambina viene rimandata a casa dal tribunale. Bologna. M. e C. sono sposati, abitano in periferia, redditi non fissi, lui operaio in nero. Hanno un bimbo di 8 anni. Vengono dichiarati decaduti della potestà genitoriale a causa di un procedimento nato dalla denuncia di due maestre: "Il bambino sa troppe cose riguardo alla sessualità". Era accaduto che il bambino si era alzato, era andato in salotto dove il padre stava guardando un film pornografico. L'uomo, secondo gli assistenti sociali, aveva manifestato un'assenza totale di autocritica rispetto all'episodio e si era sollevato da ogni responsabilità; mentre davanti al giudice aveva ammesso "aveva solo2-3 anni, pensavo non capisse. Credo ora di avere sbagliato". Ricoverato in una comunità, il bambino è stato poi dichiarato adottabile (è in attesa di una famiglia da quasi due anni) nonostante la zia materna (sposata e con figli) avesse presentato invano istanze per ottenerne l'affidamento e scongiurarne l'adozione. Strappati agli affetti e spremuti nella crescita. Così va la vita dei figli di nessuno.

(29 aprile 2011)

 
MariaRosaDeHellagenDate: Lunedì, 30/05/2011, 03:31 | Message # 13
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http://www.abusologi.com/indotto-abuso/

28000 bambini chiusi in orfanotrofi = 1.9 miliardi di €

Il «sistema antiabusi» con i suoi vari passaggi ha costi spaventosi per i cittadini e vantaggi economici ben consistenti per i beneficiari. Il sistema lievita ogni anno, si gonfia a dismisura ingurgitando ogni altra realtà che si occupa di bambini. Si parla di una cifra oscillante tra i 26mila e i 28mila minori tenuti fino alla maggiore età in case d’accoglienza, case famiglia, presidi sanitari e altri nomi inventati per celare la sola parola proibita: orfanotrofi privati. I motivi? Maltrattamenti, ma soprattutto situazioni impalpabili come l’incapacità genitoriale, la semplice indigenza dei genitori trasformata in diagnosi di problematiche psicologiche, i presunti abusi sessuali, le ordinanze contro l’elemosina e la conseguente denuncia per sfruttamento di minori.

Uscire dagli orfanotrofi è difficile, come riferisce un alto prelato che si occupa di adozioni nazionali e internazionali, chiedendo l’anonimato: «Meno del 10 per cento dei bambini torna in famiglia. Anche in caso di soluzione del problema o di assoluzione, psicologi e assistenti sociali fanno le barricate, e perfino per le associazioni cattoliche sta diventando sempre più complesso ottenere l’adozione nazionale. Ufficialmente la causa è di origine burocratica, ma quello che molti non amano dire è che tali difficoltà sono incrementate da chi gestisce i minori», Il motivo? Il prelato sorride: «Lei si immagina un ospedale senza malati?». Il dato relativo ai bambini che tornano (o meglio, non tornano) in famiglia è corretto, ma non bisogna dimentica re che molte cooperative di servizi e case d’accoglienza sono cattoliche: pare dunque che ci sia una lotta interna fra Il associazioni preposte alla custodia dei minori e quelle che vogliono favorirne l’adozione.

Enormi sono le cifre che volteggiano attorno ai piccoli e come avvoltoi dispiegano le ali sull’interesse supremo del minore. Se consideriamo che i soli finanziamenti di Stato, Regioni, Province e Comuni prevedono circa 200 euro al giorno per ogni bambino e ci muniamo di calcolatrice, arriviamo alla bella cifra di 1898 milioni di euro all’anno (sull’ipotesi minima di 26mila minori, giudicata da molti osservatori troppo ottimistica). Ogni bambino costa, o frutta a seconda di come la vediamo, circa 75mila euro all’anno, a cui vanno ad aggiungersi i costi per gli stipendi direttamente erogati agli assistenti sociali dal Comune di residenza e quelli con cui vengono remumerati i dipendenti Asl. Dunque questi 75mila euro vanno solo in parcelle di psicologi, educatori e cooperative di servizio (cuochi, accompagnatori, psicomotricisti, personale di pulizia).

Qualche altra cifra: solo nella Regione Piemonte abbiamo 212 comunità che provvedono alla custodia di 1940 minori. Si tratta in genere di SRL, ovvero di società che operano a scopo di lucro. La Lombardia ha una gestione più efficiente e i dati sono di facile accesso, Se ne deduce che nella regione, le case d’accoglienza sono ben 454 per un totale di 3349 bambini sottratti ai genitori. Il Comune di Milano nel 2006 ha provveduto all’internamento di 1706 minori. Se poi calcoliamo la media nazionale, scopriamo che la percentuale di lavoratori che gravitano su ogni bambino è pari allo 0,78 per cento: in una casa di accoglienza di dieci bambini, sono otto i lavoratori che grazie a loro percepiscono uno stipendio. Ogni anno si costituiscono nuove cooperative di servizio, che a loro volta premono sul sistema per entrare nel mercato. Un enorme business sulla pelle dei minori.

Sono cifre che parlano da sole, numeri da cortina di ferro, nei quali le diagnosi d’ingresso diventano del tutto ininfiuenti. Quando si «sequestra» una bambina di quattro anni perché ritenuta borderline e la si cura con psicofarmaci, le si può far dire di tutto. Indigenza, maltrattamenti, disturbi psichici, abbandono, abusi sessuali: tutto si può diagnosticare, in un sistema privo di controlli. Il paradosso è che sono molto più appetibili i bambini psicologicamente e fisicamente sani di quelli realmente problematici o portatori di handicap, per i quali il rapporto costi-benefici è deficitario, per cui oltre al danno c’è la beffa di un sistema che ignora i casi nei quali realmente servirebbe un aiuto da parte del servizio pubblico.

Si potrebbe provare a immaginare come sarebbe il nostro sistema di prevenzione e contrasto se gli stessi soldi fossero distribuiti e utilizzati per veri servizi sociali sul territorio in grado di svolgere il compito per il quale sono istituiti, per rendere più sicura la vita di tutti i minori, per attivare servizi di aiuto all’handicap, per non lasciare sole le famiglie che accudiscono malati psichici, per riportare le università e la ricerca pubblica in materia sociopsicologica al ruolo che loro compete.

Demagogia, ovviamente la nostra: quando si parla di soldi, si è sempre demagoghi e la questione è sempre un’altra.

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Abbiamo riportato, aggiungendo immagini, la sezione conclusiva intitolata “L’indotto dell’abuso” del libro-inchiesta “Presunto colpevole” del criminologo Luca Steffenoni, ed. ChiareLettere.
 
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