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Forum » MALAGIUSTIZIA IN ITALIA » (MALA)GIUSTIZIA IN ITALIA O GIUSTIZIA NON UGUALE PER TUTTI » ARTICOLI
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dibattitopubblDate: Martedì, 20/10/2009, 00:32 | Message # 1
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VisitatoreDate: Martedì, 20/10/2009, 00:36 | Message # 2
Group: Visitatori





http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo463397.shtml

"Miei stupratori non sono pentiti"
Parla 15enne dopo sospensione processo

Due anni fa, quindicenne, venne stuprata a turno da otto coetanei nella pineta di Montalto di Castro, nell'Alto Lazio. Oggi, due anni dopo, non solo nessuno ha pagato per quella violenza; addirittura il processo è stato sospeso fino al 2012 e gli otto sono stati "messi in prova". Per la giovane vittima una decisione incomprensibile: "Non sono pentiti, vogliono continuare a rovinarmi la vita? Dovrò continuare a incontrarli per strada?".

Domande che si pone non solo la ragazzina, ma anche coloro (a partire dalle "donne del Pd" e da Alessandra Mussolini) che non riescono a capacitarsi di come sono andate le cose dopo lo stupro. Perché già subito dopo la violenza era scoppiata la polemica: il sindaco di Montalto, il diessino Salvatore Carai, aveva stanziato 20mila euro non per aiutare la vittima ma per pagare la difesa agli stupratori. I quali ora, dopo due anni, sono ancora impuniti. E, se la "prova" avrà esito positivo, lo resteranno: il reato, infatti, in questo caso verrà dichiarato estinto, come se non fosse mai accaduto.

E la ragazza, attraverso la voce di Daniela Bizzarri, consigliere alle Pari Opportunità della Provincia di Viterbo che racconta la vicenda al Corriere della Sera, sfoga la sua rabbia. "Io non avevo capito l'altro giorno - ha spiegato la giovane -: credevo che la messa in prova fosse finita, non che dovesse ancora cominciare. Invece questo inferno va avanti, e durerà ancora a lungo. Sono stravolta, distrutta. A che cosa serve metterli alla prova ora, dopo tanto tempo? Ogni volta che c'è il processo sto peggio: non dormo, non mangio, quando mi addormento ho gli incubi. Non voglio più andare nemmeno dallo psicologo: a che cosa serve ripetere sempre le stesse cose?".

"Cose" che sono chiarissime: quegli otto ragazzi che l'hanno violentata a turno per tre ore "non sono pentiti. Non mi sono arrivate né lettere né parole di scuse. Niente. Hanno anche cercato di spingere un ragazzo a dire che ero consenziente". Nemmeno andarsene da Montalto ha aiutato la ragazza a dimenticare: è stata a studiare prima a Roma e poi in Sicilia, "ma non ha funzionato: mi sentivo sola senza la mia famiglia e sono tornata". Ma non è più riuscita a riprendere a studiare: si è cercata un lavoro.

Per l'avvocato Piermaria Sciullo, legale della giovane, la ragazza è stata abbandonata. "La Legge prevede che gli stupratori, in quanto minorenni, vadano reinseriti. Ma nessuno ha pensato alla vittima, che è stata abbandonata. Nessuno le ha chiesto di che cosa avesse bisogno, nessuno le ha offerto un lavoro". Per Alessandra Mussolini "una vergogna che si sta consumando nel silenzio".

 
MariaRosaDeHellagenDate: Sabato, 06/03/2010, 03:59 | Message # 3
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AmministratoreDate: Domenica, 08/05/2011, 03:03 | Message # 4
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http://www.ilgiornale.it/interni/quando_boccassini_dimentico_innocente_9_mesi_dietro_sbarre/06-03-2011/articolo-id=509973-page=0-comments=1

Quando la Boccassini dimenticò un innocente 9 mesi dietro le sbarre di Felice Manti

Gli scheletri di Ilda la rossa. Agli agenti non arrivò mai l'ordine del magistrato di rilasciare un ragazzo slavo rilasciato per "false generalità"

Milano - Ci sono detenuti e detenuti. Innocenti o presunti tali costretti a restare in cella per un errore o una dimenticanza. A Milano negli anni Ottanta i detenuti in attesa di giudizio erano abbastanza numerosi. Questa è la storia di due persone, diversissime. Per una singolare coincidenza succede che lo stesso magistrato chieda da un lato la scarcerazione di uno e si «dimentichi» in cella l’altro. Lei è Ilda Boccassini, agli albori di quel decennio già magistrato rampante e super protetta dall’ombrello di Magistratura democratica. Assieme ad altre toghe della sua corrente, Ilda il 17 febbraio del 1981 mette la sua firma sotto una lettera appello, pubblicata dal Manifesto, per chiedere che Mario Dalmaviva, da 36 giorni in sciopero della fame venga trasferito dalle carceri speciali per terroristi a un penitenziario comune. Scrivono i magistrati di Md: «Il regime carcerario speciale è del tutto al di fuori dei principi costituzionali». Dalmaviva, un pubblicitario che giocava in Borsa per finanziare il movimento studentesco, era accusato da due pentiti Br, Fioroni e Sandalo, ed era coinvolto nella famigerata operazione 7 aprile, la maxi inchiesta voluta dall’allora pm di Padova Pietro Calogero, che emise in tutto 22 mandati di cattura contro i leader di Autonomia operaia come Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone, accusati di associazione sovversiva e banda armata. Tutti prosciolti con formula dubitativa nel 1984 in primo grado, poi condannati in appello e in Cassazione. Dalmaviva fu condannato a sette anni di carcere, ridotti poi a quattro e già scontati col carcere preventivo. Lo stesso giorno dell’appello proprio il Manifesto pubblica la notizia dello spostamento di Dalmaviva in una cella comune. E quando il procuratore capo della Repubblica di Milano chiede al Csm la censura per la Boccassini (lei e Francesco Greco vennero sospesi dal «turno esterno») Md insorge: «L’impegno politico non è causa di turbamento nel corretto esercizio delle loro funzioni». Amen.
Pochi mesi dopo, il 13 novembre 1981, finisce a San Vittore un ragazzo di origine slava, Mirsaad Adzimuhovic. E lì resta per nove mesi, fino al 26 luglio. Fermato e portato in caserma per «false generalità», venne interrogato 4 giorni dopo dalla Boccassini. Il fermo, secondo il pm, non fu convalidato, ma all’ufficio matricola del carcere secondo l’agenzia Ansa non arrivò mai. Sempre secondo la Boccassini il verbale di carcerazione venne «smarrito». A marzo Adzimuhovic scrisse una lettera al giudice di sorveglianza e un magistrato dell’ufficio gli rispose due giorni dopo che doveva considerarsi «a disposizione della procura». Passarono altri mesi e il detenuto chiese di parlare col giudice di sorveglianza Francesco Maisto. Fu lui a chiedere al pretore la scarcerazione del detenuto, che scattò solo alcuni giorni dopo che la procura l’aveva a sua volta disposta. Il caso indignò l’opinione pubblica, tanto che alcuni parlamentari chiesero al ministro di Grazia e Giustizia quali provvedimenti avrebbe adottato per «accertare le responsabilità del drammatico episodio» e come sarebbe stato risarcito l’uomo per la «sconcertante negligenza dei pubblici poteri».

 
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